MILANO – Il segno meno torna a fare capolino nei mercati del caffè, che segnano a luglio nuovi ribassi evidenziati dalle cifre del report Ico, diffuso nel pomeriggio di lunedì 10 agosto.
La media mensile dell’indicatore composto è scesa sotto la barriera dei 120 centesimi, il livello minimo degli ultimi 18 mesi, con tutti i gruppi in calo generalizzato.
Il trend negativo si estende anche ai robusta, che a giugno avevano trainato la parziale ripresa dei corsi.
L’indicatore giornaliero ha raggiunto i suoi massimi il 14 luglio (124,10 cents). Il successivo ripiegamento ha portato, due settimane più tardi (28 luglio), a un minimo di 116,02 cents.
Era dagli ultimi giorni di gennaio dell’anno scorso, che i futures degli arabica non toccavano livelli così bassi.
Come già detto, la media mensile dell’indicatore Ico ha violato al ribasso la soglia del dollaro e 20 centesimi per la prima volta da gennaio 2014, attestandosi a 119,77 cents per libbra (-4,2%).
Negativo l’andamento di tutti gli indicatori. Sul fronte degli arabica, la flessione più marcata viene registrata dai brasiliani naturali (-5,3%) seguiti da colombiani dolci (-4,9%) e altri dolci (-3,3%).
L’indicatore dei robusta segna un -3,5%, che lo spinge ai minimi da novembre 2013. New York e Londra arretrano rispettivamente del 5,4% e del 3,9%.
Si allarga la forbice tra altri dolci e colombiani dolci, ormai vicina ai 10 cents a favore dei primi: un dato – sottolinea il report – senza precedenti dall’avvento del libero mercato (cioè dal 1989) a oggi.
Questa anomalia riflette dinamiche opposte, con la produzione colombiana in netta ripresa e quella del centro America ancora lontana dai livelli di qualche anno fa.
La morsa della roya continua a stringere anche il Perù, dove il quadro fitosanitario appare peggiorato.
Si restringe ancora – per il terzo mese consecutivo – l’arbitraggio New York – Londra, più che dimezzato rispetto ad agosto 2014.
Le esportazioni sono sempre inferiori a quelle dell’anno scorso, come abbiamo già evidenziato nella nostra analisi dei dati mensili.
A luglio sono state pari a 9,7 milioni di sacchi: circa il 3,3% in meno rispetto a luglio 2014.
Ma si tratta comunque – osserva ancora il report – del secondo volume più elevato di sempre per questo mese dell’anno.
Il report si sofferma in particolare sull’andamento delle esportazioni nell’arco dei primi nove mesi dell’annata caffearia 2014/15 (ottobre-giugno) mettendo a confronto i dati storici dei 5 anni precedenti per i 4 principali paesi esportatori mondiali.
Nonostante la flessione registrata a giugno, l’export del Brasile raggiunge livelli senza precedenti nella sua storia (quasi 27,4 milioni di sacchi) evidenziando un trend di crescita ininterrotta da tre anni a questa parte, incoraggiata quest’anno da un real ai minimi degli ultimi 12 anni, che rende vantaggiose le vendite all’estero anche agli attuali livelli di prezzo.
Per mantenere un ritmo così intenso degli imbarchi, il primo produttore mondiale ha dato fondo alle scorte accumulate nelle due annate precedenti riducendo sensibilmente il livello dei propri stock.
La ripresa produttiva ha messo le ali all’export della Colombia (+8,2%), che ha beneficiato anch’essa dello svalutarsi della propria moneta nei confronti del dollaro.
L’export del Vietnam si ferma invece a 15,3 milioni di sacchi (-16,8%), risentendo dei bassi prezzi interni, che scoraggiano le vendite dei produttori.
Il calo più vistoso (-25,6%) è quello dell’Indonesia, che perde addirittura lo scettro di quarto esportatore mondiale a favore dell’Honduras (+24,9%). La forte flessione va attribuita alla minore produzione, ma anche alla crescita della domanda interna.
La forza del dollaro (moneta in cui vengono denominati i prezzi del caffè) e l’assenza di problemi immediati sul fronte dell’offerta motivano gli attuali livelli di prezzo.
Va tuttavia sottolineato, conclude il report, che in molti paesi produttori “le scorte si stanno assottigliando e, sebbene gli stock tampone nei magazzini dei paesi importatori siano abbastanza consistenti, ciò potrebbe non bastare a coprire un eventuale shock negativo di una qualche rilevanza.
Tale situazione rischia di rendere il mercato – come già accaduto nel marzo 2014 e a inizio 2011 – fortemente suscettibile a un’impennata dei prezzi, qualora la produzione dovesse rivelarsi inferiore alle attese.”