di Caterina Giojelli*
Il modo giusto per parlare di chi non c’è più, cioè di Silvio Agostoni, della moglie Carolina (Lina) Vanini e dei suoi fratelli Giancarlo e Urbano è proprio qui, al principio della storia della Icam cioccolato, e lo è almeno per tre motivi.
Primo, perché nel passato c’è già tutto quello che è venuto dopo; poi perché nulla è bello e necessario come nutrire il quotidiano di miracoli accaduti; infine perché è lecito attendersi che gli uomini che guidano la Icam oggi operino nella misura dell’eredità ricevuta, perché ciò che è stato viva nel presente.
Eccoci quindi in Russia, una sera del gennaio 1943, il tenente artigliere Giancarlo Vanini si prepara alla battaglia di sfondamento per rompere il catenaccio sovietico che ostacola la ritirata del corpo alpino.
Attende che dalle figure nere all’orizzonte parta il primo colpo di fucile, ma quella sera non spara nessuno, perché non di soldati nemici si tratta ma di prigionieri abbandonati, prigionieri italiani!
E qui bisognerebbe immaginarla la faccia del tenente mentre scorge, tra quei disperati nella neve, il volto di suo fratello minore Urbano, partito anche lui per la campagna di Russia. Mezzo congelato, avrebbero dovuto lasciarlo lì per non rallentare la già disumana ritirata con temperature di 40 gradi sotto lo zero, ma Giancarlo invece issa il fratello su un mulo e si rivolge a Dio: «Me lo hai fatto incontrare, ora devo riportarlo a casa».
Feriti entrambi, divisi di nuovo (Giancarlo finisce in un campo di concentramento in Germania), quando i due fratelli si ritrovano, alla fine della guerra, si guardano, malconci ma vivi, inossidabilmente vivi.
Ecco, agli Agostoni piace pensare che la mano che ha guidato gli zii Vanini fuori dall’inferno russo e della guerra, è la stessa che li ha portati poi a condividere l’avventura iniziata da Silvio Agostoni e dalla moglie Lina Vanini a Morbegno, in Valtellina, dove erano sfollati in tempo di guerra.
Lì Silvio aveva rilevato un piccolo laboratorio di dolci e impastando farina di castagne si era fatto un nome con la sua Torta Montanina e la sua piccola Icam (Industria Cioccolato e Affini Morbegno). E qui finisce il principio della storia, quello che si racconta quando ci si riunisce a Natale, gli ingredienti ci sono tutti, e ha inizio la storia vera e propria.
L’arrivo in Africa
L’origine di un’esperienza è una cosa che non si può negare, e non negarla significa innanzitutto ricordarsi perché quella esperienza è nata. Altrimenti non si capirebbe che ci azzecca la campagna di Russia con Bundibugyo, un paesino ugandese a un tiro di sasso dal confine del Congo.
Qui per migliaia di contadini la vita è cambiata da quando è sorto un centro per la raccolta, la fermentazione e l’essiccazione di un cacao sostenibile e sempre più amato dal mercato internazionale, da quando cioè gli italiani di Icam hanno creato le strutture e le procedure ottimali per preparare un cacao a regola d’arte.
Solo cinque anni fa Bundibugyo era il far west del cacao, un mosaico di vite appese al lavoro in una miriade di piccoli appezzamenti frammentati, in balìa di compratori interessati solo a pagare il cacao – un cacao di qualità davvero scadente – il meno possibile.
Allora i contadini fermentavano il cacao in casa, in grandi buche scavate nel terreno e coperte da foglie di banano, cercavano di essiccarlo esponendolo a pioggia e insetti, i procedimenti arrugginivano i tetti in lamiera delle case, i bambini lavoravano nei campi invece di andare a scuola. Finché, nella primavera del 2010, gli Agostoni sono arrivati in Uganda.
Tutto è fatto in casa
Ecco, ricordarsi l’origine, perché questa esperienza è nata, è facile e bello come lo è per Plinio Agostoni, secondo di sei fratelli e oggi vicepresidente di Icam, ricordare chi era suo padre Silvio.
Aveva solo 17 anni quando Silvio morì, ma ha memoria di quasi tutti i nomignoli affettuosi che il padre affibbiava ai collaboratori, le battute, quella grande passione per le auto veloci: «Alla fine degli anni Cinquanta si comprò un’Alfa Romeo 1.900 e con quella sgasava tra lago e montagne. E cantava, cantava sempre quando si metteva al volante».
Non stupisce che uno con la gioia addosso e tante bocche da sfamare non vivesse di sola passione ma anche di buone intuizioni e ottima fu quella di mettersi a fare il cioccolato e renderlo “democratico” quando allora non era certo alla portata di ogni tasca.
«Nel primo Dopoguerra la Icam era già stata trasferita a Lecco, dove gli zuccherifici erano stati bombardati e il prezzo dello zucchero era alle stelle. Nostro padre fece richiesta al governo di poter ritirare le barbabietole essiccate e si ingegnò a costruire un impianto per l’estrazione dello zucchero, facendosi aiutare dagli zii miracolati in Russia. Il fatto è che – un altro mezzo miracolo – ci riuscì. Con i soldi ricavati dalla vendita dello zucchero furono acquistate le prime macchine e i sacchi di cacao in grani, e non era finita: quando parlava di fare il cioccolato, papà intendeva farlo dall’inizio alla fine, e questo significava produrre in proprio anche il burro di cacao e non acquistarlo come facevano – e fanno tuttora – tutti, o quasi, gli altri cioccolatieri. Chiese dunque a un amico lecchese, l’imprenditore Vitali, di realizzare una pressa per estrarre il burro cacao dalla pasta cacao. E, ennesimo mezzo miracolo, la cosa riuscì. Anzi, prese forma la prima pressa orizzontale che successivamente, col marchio Carle&Montanari, diventerà la più diffusa al mondo».
Silvio viene a mancare nel 1961 a soli 48 anni, e a quel punto tocca alla moglie Lina e ai fratelli Giancarlo e Urbano Vanini percorrere la bella e difficile strada del cioccolato.
Mezzo secolo e molti eventi dopo, quando Angelo Agostoni, primogenito di Silvio e oggi presidente Icam, è arrivato in Uganda ricordava proprio Churchill che guardando quei paesaggi verdissimi e pieni di fiori esclamò: «Questa è davvero la perla d’Africa».
Una bellezza che fa a cazzotti con l’amarezza dei coltivatori di cacao, alla ricerca di un po’ di gratificazione per quel lavoro che impegna le famiglie giorno e notte. Quello che accade dopo ha a che fare con un approccio etico fondato sulla persona che caratterizza la Icam fin dalla nascita.
E per raccontarlo ci vuole ancora una volta un po’ di storia, perché l’Uganda è solo una delle tante storie della collaborazione di Icam con i coltivatori di cacao avviate da Angelo fin dagli anni Settanta in tanti paesi della fascia equatoriale.
Nel 1989, per esempio, in Repubblica Domenicana Angelo dà inizio alla collaborazione con la Conacado, una cooperativa che produce una qualità di cacao pessima: in capo a 20 anni il cacao dominicano viene riconosciuto dalla Icco (l’Authority in tema di cacao) fra le migliori qualità al mondo, la Conacado è il maggior produttore al mondo di cacao biologico e la Icam la più importante fabbrica al mondo per la produzione di cioccolato biologico.
In Perù la collaborazione con le cooperative locali, come con la Acopagro cui aderiscono oltre 2.000 campesinos, ha portato, grazie anche al supporto governativo, a una massiccia riconversione dalle piantagioni di coca a quelle di cacao; quella con la cooperativa Aprocam, nel distretto di Bagua (Amazonas), dove esiste una qualità di cacao eccellente che discende da varietà coltivate già 5 mila anni fa dalla cultura Mayo-Chincipe, ha valorizzato e reso famoso il “primo cacao” del mondo.
Il rapporto con i lavoratori
Ecco, tutte queste storie diventano cruciali quando Angelo, prima su suggerimento dell’amico Filippo Ciantia (medico volontario in Uganda per trent’anni e oggi responsabile del Progetto Cluster di Expo 2015), poi su esplicita richiesta del vescovo di Kampala, visita l’Uganda e capisce che non di nuove piantagioni ha bisogno il paese ma di imparare “come si fa” a fare un buon cacao, e quindi di un centro per la raccolta, la fermentazione e l’essiccazione con procedure ottimali. E di qualcuno che ci “metta la faccia”.
In Uganda non ci sono cooperative, ma c’è Fabio Giomo, un giovane italiano che per gli ugandesi è «uno di noi». Venuto dal Veneto come cooperante, si è sposato con una ugandese e per gli Agostoni è quel volto umano che serve all’impresa.
Non sa nulla di cacao, ma viene spedito a imparare tutto in Repubblica Domenicana da dove, nel frattempo, viene richiamato un tecnico a insegnare i processi di fermentazione agli ugandesi.
Arriva anche un peruviano a dirigere i lavori per la realizzazione del centro: tutto a gesti, africani, latini, italiani, non c’è lingua che li metta d’accordo, ma alla sera vanno insieme a ballare, e prima ancora che il piccolo seme delle cabosse venga sparpagliato sui tavoli, il seme di una grande impresa comune ha già iniziato a germogliare: grazie alla collaborazione con la fondazione Spe Salvi dell’Università Cattolica di Milano è nata la Icam Chocolate Uganda Ltd, un’importante realtà che promuove lo sviluppo della regione.
Il modello, lo stesso sperimentato in America, si basa su una gestione “etica” dei rapporti stipulati con i coltivatori, che restano proprietari e responsabili delle loro terre, «entrambi diventiamo partner commerciali. Noi miglioriamo l’istruzione, le infrastrutture e la formazione degli agricoltori, assicuriamo loro prezzi equi, riferiti non solo a una remunerazione del raccolto, ma a un valore complessivo dove contano il capitale umano e i contratti di acquisto duraturi finalizzati a un commercio stabile».
E i risvolti sono strabilianti. «Il modello di Icam è un esempio chiaro di impresa sociale: mira all’efficienza economica e muta il contesto sociale in cui opera», va ripetendo ad Expo Andrea Perrone, ordinario di diritto commerciale all’Università Cattolica. «Non è un approccio “buonista”, ma è un modello che distribuisce le risorse e il profitto tenendo in considerazione tutti i fattori coinvolti nell’attività produttiva».
Quante storie a Natale
Basta questo? No, forse bisognerebbe dire di quelle mani non più disperate, ormai esperte e sicure che lavorano i semi di cacao, dei bambini che sono tornati a scuola, storie del resto incontrabili da tutti visitando Expo, dove Icam è presente proprio nel Cluster Cacao Cioccolato.
O forse basterebbe solo guardare la seconda e terza generazione di Agostoni al lavoro in Icam, contare le decine di volti che hanno reso grandissima la famiglia di Silvio e Lina e moltiplicato in tre continenti le storie da raccontare a Natale.
Oggi Icam registra un fatturato, in crescita costante, pari a 124 milioni di euro (55 per cento da estero), ha il controllo totale della filiera ed è leader di settore nelle produzioni non convenzionali come il biologico, fair trade, senza zucchero e gluten free. Nel nuovo stabilimento di Orsenigo, in provincia di Como, vengono lavorate ogni anno 20 mila tonnellate di cacao, destinate a coprire ogni segmento del mercato, dalla produzione di semilavorati al prodotto finito.
Lo scorso anno gli Agostoni hanno lanciato sul mercato un nuovo brand. «Si tratta di cioccolato di alta qualità prodotto con cacao provenienti da piantagioni accuratamente selezionate», conclude Plinio.
«È un cioccolato che vuole raccontare le storie di rispetto per l’ambiente, le storie di stima di tutte le persone che ne hanno curato ogni passaggio della filiera. È il marchietto delle 3P: Palato Pianeta Persone». Gli ingredienti, ancora una volta, ci sono tutti e anche per questo il nuovo brand non poteva che chiamarsi Vanini.
Come mamma Lina che, vedova di Silvio e con sei figli, ha guidato la Icam per oltre 40 anni, e come quei due zii che tornarono dal gelo della Russia lasciando ardere in petto la passione per la vita e per un lavoro che dà vita e lavoro a tanti. Germogliato fino in quella perla dell’Africa che stupì Churchill e cresciuto nello splendore dell’entusiasmo per le cose ben fatte, curate, amate: insomma, belle.