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I tedeschi golosi di gelati preferiscono quelli italiani

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di Roberto Giardina*

Di che cosa si lamentano i tedeschi in vacanza in Italia? A leggere le lettere di protesta sui giornali, il problema più grave è che una pallina di gelato arrivi a costare 2 euro e 50 cent, un vero furto. E non sempre la qualità, soprattutto nelle località turistiche, è all’altezza della nostra fama di gelatai.

In Germania ein Kugel, una pallina, si può avere anche per 1 euro. Ma i gelati artigianali sono in minoranza, da noi e da loro, cacciati dalla grande industria.

«La gelateria tradizionale italiana, a conduzione familiare, è in pericolo a causa del gelato industriale e dei costi crescenti», dichiara alla Frankfurter Allgemeine Zeitung Annalisa Carnio della Uniteis, l’Unione dei gelatai italiani.

In ogni quartiere di Berlino, o nel più sperduto paesino della Foresta nera, si trova almeno un’insegna che promette Italienisches Eis, che sia italiano non è sicuro, e si è già finiti in tribunale per risolvere la questione.

I gelati li preparano, o li spacciano, libanesi ed egiziani, turchi e tedeschi. In questo caso dovrebbero scrivere «gelati all’italiana», tanto i consumatori sono distratti.

I nostri gelatai cominciarono a invadere la Germania al tempo del Kaiser, prima andavano e venivano secondo le stagioni, adesso i più sono diventati stanziali, ma sono patriottici e molti si sono dimenticati di iscriversi all’Aire, il registro degli italiani residenti all’estero, e così sono rimasti vittime del professor Monti che ha imposto una tassa sulle proprietà dei nostri connazionali oltreconfine.

I gelatai avrebbero dovuto pagare l’1% all’anno sul valore delle loro gelaterie, sul Baltico o in Prussia, magari aperte mezzo secolo fa.

Si sono ribellati, hanno protestato a Bruxelles (e alcuni hanno preso per disperazione il passaporto tedesco). Peccato, dovrebbero cambiare l’insegna: è italiano un gelato preparato da un veneto o da un siculo ma dalla doppia nazionalità?

Comunque il gelato è un grande affare: in Germania ne consumano 8 litri a testa, cioè, assicurano i pignoli, circa 110 palline, per un totale di quasi 2 miliardi di euro.

Non è un record: anche se potrà sembrare strano, più si sale verso i paesi freddi e più si consumano gelati, 12 litri in Svezia e quasi altrettanti in Norvegia. Il record mondiale è degli Stati Uniti con 25 litri, anche se per me, palermitano, il loro gelato non è degno di essere giudicato tale. Carico di calorie, privo di gusto.

I tedeschi preferiscono consumarlo a casa: 230 milioni di litri vengono venduti in confezioni super per l’asporto. I cornetti raggiungono i 208 milioni. Il cono da passeggio è in netta minoranza.

Colpa anche del prezzo: non è possibile competere con la produzione industriale.

«All’estero il gelato da passeggio è più caro, non solo in Italia, anche in Francia e in Spagna fanno pagare oltre 2 euro a pallina, il doppio che a Berlino», dichiara Annalisa Carnio, e i tedeschi stanno molto attenti alla qualità, che naturalmente ha il suo prezzo.

«Le gelaterie sono confrontate con l’aumento dei costi, dall’affitto alle materie prime, e da quest’anno devono anche rispettare la legge sulla paga minima 8,50 euro all’ora».

Nel paese le gelaterie diminuiscono dunque, sono 9 mila, ma poco più di un terzo (3.300) offre prodotti artigianali. La più grande fabbrica di gelati della Germania, forse d’Europa, si trova a Heppenheim, in Assia.

Seicento dipendenti producono ogni minuto 2 mila Magnum della Langnese, un miliardo e mezzo di confezioni all’anno. La Langnese è la prima produttrice con il 35% del mercato, seguita dalla Nestlé/Mövenpick.

Sui gusti non si dovrebbe discutere. Una gelateria (industriale) di Berlino offre ben 80 qualità diverse e, a quanto pare, il gelato dell’anno per il 2014 è stato il Birne-Parmigiano, la pera al reggiano, che per la verità non ho mai visto, o ho cercato di non vedere.

Chissà quale sarà il gusto di quest’estate?

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