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venerdì 22 Novembre 2024
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I Bazzara e il caffè a Trieste tra cultura e sostenibilità

L’ultima recente impresa in cui i Bazzara si sono lanciati è collaborare alle iniziative per ottenere la tutela Unesco per il rito del caffè espresso come patrimonio dell’umanità. Impresa difficile, avviata a condotta da anni dal conte Giorgio Caballini di Sassoferrato della Dersut e che richiede il sostegno convinto di tutto il mondo del caffè espresso italiano. Un percorso che viene condotto dai Bazzara con tenacia e che, per il momento, ha comunque ottenuto l’effetto di rinsaldare i rapporti e l’alleanza tra i produttori che hanno visione e passione

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Come famiglia e come azienda che opera nel mondo del caffè da più di 50 anni, il nome Bazzara non ha certo bisogno di presentazioni. L’interessante articolo che proponiamo di seguito è stato scritto dall’autore Dino Faraguna e pubblicato dal quotidiano di Trieste Il Piccolo e celebra le 3 generazioni della famiglia Bazzara, parlando delle sue origini e descrivendo i suoi componenti e i loro valori: cultura, efficienza e gusto della vita, presenti nelle cinque vite dedicate al caffè della famiglia di Trieste. Leggiamo di seguito l’articolo di Dino Faraguna per Il Piccolo.

La famiglia Bazzara

TRIESTE – Franco Bazzara è il mio vicino di casa, vicino ideale perché non c’è mai ma quando serve si materializza improvvisamente e riesce a fare cose che voi umani non potete immaginare, riesce a sollevare con una sola mano manufatti per cui chiameresti un traslocatore, è un appassionato di sport, è simpaticissimo, e non si capisce perché non abbia intrapreso la carriera dell’attore, del cabarettista.

O meglio, si capisce solo bevendo un caffè assieme, perché la sua passione è il caffè, è capace di viaggiare, di girare il mondo, sorseggiando un caffè e chiudendo gli occhi nel giardino di casa, sogna e viaggia nel mondo del caffè, e anche gratis…in omaggio alla indimenticata origine istriana.

Sapevate voi lettori triestini o turisti che a Casa Cassab, quella specie di Flatiron triestino, alla base del Viale XX settembre e Via Battisti, che richiama alla lontana il Flatiron per antonomasia di New York, quello a forma di ferro da stiro, ebbene che proprio là si cela un’azienda triestina, un’azienda modello, fondata da un signore di nome Dionisio (già difficile da reperire) di cognome Bazzara, cognome che riuscì a suscitare la gelosia di un’altra azienda nota in tutto il mondo, ma con solo metà del nome e che non si occupa del nobile caffè, ma “de straze”?

E per questa sovrapposizione di nomi ha addirittura portato in giudizio alla corte europea i Bazzara colpevoli di chiamarsi così dalla nascita e da generazioni. Causa che ha visto finora soccombere il “colosso de straze”.

Lo sapevate voi triestini? Voi turisti certamente no. Ma sapevate voi turisti che Flatiron di NYC viene dopo casa Scaccabarozzi? Sapevate che esiste Casa Scaccabarozzi, detta più prosaicamente “fetta di polenta” a Torino? Certamente, no. Pazienza.

Ebbene proprio all’interno di Casa Cassab, a Trieste, in via Battisti, due piani sono la sede e l’Accademia dei Bazzara, che per ora sono in quattro: Franco Presidente e Mauro Ceo in primis, ma già entrati nello spirito e nel futuro dell’azienda Marco, direttore dell’Academy e Andrea, export manager e anima di Trieste Coffee Experts, ormai già un evento. Aspettiamo altri! Magari femmine!

La sede dell’azienda è un ambiente moderno in palazzo d’epoca, luminosissimo perché rivolto a sud, luminosissimo perché di bianco vestito, colore dell’azienda per muri e barattoli, luminosissimo per l’accoglienza, luminosissimo per le sensazioni che produce.

L’ufficio centrale accoglie una ventina di persone in uno stanzone aperto e trasparente, ognuno alla propria postazione con cuffie, microfono e PC, tutti attivi, tutti indipendenti, tutti disponibili, nessuno disturba, almeno questa è l’impressione che ricevi. Efficienza, ma anche concentrazione e buona educazione. Ambiente modello.

Poi scopri che le 20 persone parlano più di 10 lingue diverse, che ognuno ha un compito preciso, che molti sono in visita o in formazione. Ti viene voglia di portare in gita qualcuno dei regni della burocrazia, degli uffici chiusi, dove non c’è mai nessuno, dove il telefono scatta subito per recitare una inutile filastrocca disarmante, dove non si sa perché – anche a distanza del Covid, ma per via del Covid – devi prendere appuntamento anche se chi c’è potrebbe rispondere, almeno Buongiorno! Portarli solo a vedere, senza commenti.

Ma non potrebbero capire. Loro sono convinti che siccome i capelli crescono anche in ufficio, allora un taglio di capelli ogni tre vada fatto in orario di servizio, in omaggio alle otto ore di crescita al lavoro.

Tanta bellezza

Ma qui capisci che questa bellezza, questa immagine pulita è un risultato che una sola unica origine: la passione, la passione per il caffè, misteriosa aromatica bevanda come veniva definita da un mitico professore del liceo Petrarca, quando voleva allontanare dall’aula uno studente poco disciplinato: “vada a bersi un’aromatica bevanda!”

Passione nata come? Difficile ricostruire come e perché, ma certo proviene da papà Dionisio da Parenzo.

Ne ho conosciuti solo due di nome Dionisio nella mia intensa vita di relazione, l’altro era il dirimpettaio Dionisio Cibeu, splendido insegnante e gestore di ricreatori. Ed è strano sia così poco usato, è un nome di fascino Dionisio, o i suoi corrispondenti Dioniso e Dionigi, ma sono meno di cinque all’anno secondo l’aggiornatissimo sito dei nomi dell’Istat. Colpisce come i genitori di Dionisio abbiano scelto proprio questo nome, nella versione greca, nelle campagne Istriane, agli inizi del secolo, anni ’20: Dionisio! Bellissimo! Non chiamateli tutti uguali!

Ebbene Dionisio avvia l’azienda nel 1964 e poi trasmette azienda e passione ai figli. Passione trasmessa come? Come tutte le persone che si identificano con il proprio mestiere, quelli che ci credono, quelli che vivono la fortuna infinita di poter fare della propria passione un mestiere, che è quasi la stessa cosa (dovrebbero riflettere coloro che indirizzano figli o allievi verso il solo scopo di avere successo), Dionisio parla spesso di quello, ma capiva di poter essere noioso, anche perché la consorte Teresa non mancava di farglielo notare.

Andavano spesso in gita in Carso, quando erano tutti assieme i Bazzara, come la maggior parte dei triestini amanti delle difficoltà: la bora e il carso sono simboli, come il tram de Opcina che non funziona mai, la bora in Carso è il massimo, rispecchia l’animo dei triestini: spirito forte e freddo (prima del calice).

Ebbene in queste camminate domenicali Dionisio si avviava raccontando ai figli le storie di Walt Disney con Bambi e Biancaneve, poi allungava il passo, si avvantaggiava sul resto della compagnia con i tre figli e gli raccontava sempre storie diverse, fiabe, ma tutte avevano un elemento comune, non la fata, non il lupo, non i nani, sempre e solo il caffè. E ha lasciato così una traccia indelebile.

Racconti che hanno trasmesso la voglia di sviluppare l’azienda, quasi fosse un allenamento per svolgere il proprio lavoro, per promuovere caffè Bazzara e venderlo.

E non è facile oggi, soprattutto quando devi affrontare una rivoluzione dei tuoi mercati: “Capirai che ho un periodo di lavoro intensissimo – mi disse Franco un paio di anni fa – tra i nostri mercati principali c’erano anche Russia e Ucraina, ovviamente dobbiamo cambiare”. E chiacchierando ti racconta la difficoltà a inserirsi in mercati che seguono logiche diverse. “Ti no te sa quanto e cossa che bisogna bever per vender cafè nei Balcani”.

Una naturale empatia

Franco ha una naturale carica di empatia e quindi non si sottrae a comparsate radiotelevisive.

Un giorno, di prima mattina partecipa ad una conversazione in una TV della vicina repubblica. Un amico del luogo lo incontra alla sera e immediatamente si complimenta: “Franco, sapevo che eri molto bravo a presentare i vostri prodotti, avevo letto i libri che tu e Mauro avete pubblicato, ma stamattina eri particolarmente brillante, disinvolto, spiritoso! Mai così”.

“Facile, perché mai prima di stamattina, mi era stato fatto trovare il solito bicchiere di acqua fresca che arreda gli studi televisivi, che io ho bevuto di un fiato, perché avevo sete, ma era invece grappa, per tutti, capirai che un ottavo di rakjia di prima mattina ti scioglie la lingua”.

E in seguito, forte di questa e di altre esperienze, Franco aveva ammonito un suo compagno di viaggio, un noto ristoratore triestino, che lo aveva accompagnato in uno di questi viaggi promozionali. Franco lo aveva avvertito: “Fai attenzione, bevi lentissimamente il primo bicchiere di vino e non seguire gli altri commensali, loro sono abituati, difficile competere, stai attento”.

“Ma dai cosa vuoi che sia, io sono esperto, bevo da anni, con tutti, non preoccuparti, tengo bene”.

“Ti prego stai attento, ti assicuro è difficile, ho visto crollare tutti”. Vanno a cena, più che cena una festa, ognuno segue una compagnia diversa, a festa finita, ben oltre la mezzanotte, albeggiava, Franco cerca il compagno di viaggio, il noto ristoratore. Non lo si trova in tutto il locale, cercano in macchina, niente, vanno in giardino, niente, oltre e da lontano sentono voci provenire da un bosco vicino, si avvicinano e lo trovano impegnatissimo in un’accesa discussione con una splendida quercia. Era chiaro che stavano parlando da tempo.

Nel dialogo con Franco arriviamo alla domanda elementare: il caffè è un seme o una bevanda? Entrambe le cose, dipende da dove lo guardi. Certo il passaggio da seme a bevanda è complesso, parte dalle piantagioni tropicali per arrivare in tutto il mondo con numerosi passaggi.

Come l’interesse in borsa per l’oro verde testimonia in modo inequivoco. Qualora foste interessati ad approfondire il tema sappiate che proprio a Trieste, proprio questi due esperti triestini, Mauro e Franco Bazzara sono protagonisti di un’avventura editoriale dedicata al caffè di grande prestigio.

Dalla filiera al cappuccino, passando per la degustazione del caffè, cinque libri molto documentati, bilingui italiano/inglese perché rivolti al mercato internazionale, scritti con competenza e piacere e che hanno trovato il proprio sbocco nell’Accademia del Caffè dei Bazzara. E Franco con naturalezza confessa: “Tutto merito de mio fradel Mauro”.

Mauro si occupa dello sviluppo dell’azienda, sintetizzabile in due intense parole: immagine aziendale con il vincolo costante della bellezza.

Ne emerge una azienda molto combattiva: dal packaging all’ambiente di lavoro. “Ogni sacchetto è un simbolo di eleganza sul quale mettiamo la firma e la faccia e nasce grazie al profondo senso estetico di Mauro autodidatta con la passione dell’estetica, attentissimo ai colori e affascinato dalla complessità della semplicità dove una delle sfide risulta il togliere più che aggiungere. Siamo molto orgogliosi dei risultati che sono frutto di studio ed attenta ricerca, di un lavoro complesso e dalla passione per lo studio e la filosofia, testimoniata dal numero di libri che ricoprono le case di tutti i Bazzara”.

Valori fondanti

Così accade che inevitabilmente i valori fondanti dei Bazzara siano il “buono bello e ben fatto”, strettamente legati alla cultura, alla bellezza e allo stile di vita italiano e alla sostenibilità. È così che dal 2021 l’azienda diventa “Società Benefit”, un’impegno ad associare agli obiettivi aziendali un costante impatto positivo sulla società e sulla biosfera.

Poi in ognuno dei Bazzara trova realizzazioni diverse. Marco, ad esempio è stato campione mondiale di arti marziali per otto volte e campione italiano per 14 e ha trasferito la disciplina di quel mondo nell’Accademia del caffè: frequentatissima, un fiore all’occhiello per l’azienda e per la città.

Organizza corsi per vari livelli e specialità attorno al tema del caffè. Lo scopo ultimo di tutti i corsi è diffondere passione e cultura. Ma meglio cliccare Bazzara Academy e seguire il sito, fatto benissimo, accessibile anche ai meno esperti, in italiano e in inglese. Sarà comunque un bel viaggio. Anche in questo caso si tratta di uno sbocco professionale che origina dallo studio e trova una competenza collaterale e integrata quella per la degustazione e i sapori in senso lato tradotta nel filone profumeria.

Trieste Coffee Experts

E poi Trieste Coffee Experts: manifestazione dei Bazzara e di tutti gli imprenditori triestini. È uno dei compiti che si è assunto Andrea, ultima generazione dei Bazzara in azienda, assieme alla responsabilità del settore export.

Molto empatico e di carattere positivo e stabile forte del 46 di piede, che traduce in una naturale facilità di relazione con i con clienti.

Mantiene intatta una passione collaterale per la musica, forse originata dalla intuizione del papà che lo faceva dormire da piccolissimo con le cuffie e avrà contribuito a farlo diventare un ottimo bassista e compositore.

E mette capolino in azienda Letizia, figlia di Mauro che scherzosamente osserva come lei e papà sono di due segni zodiacali che richiamano proprio la cosiddetta Coffee Belt, ovvero la fascia tropicale che si estende a nord e sud dell’equatore, tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno.

Quasi a presagire il suo ingresso in azienda. L’ultima recente impresa in cui i Bazzara si sono lanciati è collaborare alle iniziative per ottenere la tutela Unesco per il rito del caffè espresso come patrimonio dell’umanità.

Impresa difficile, avviata a condotta da anni dal conte Giorgio Caballini di Sassoferrato della Dersut e che richiede il sostegno convinto di tutto il mondo del caffè espresso italiano. Un percorso che viene condotto dai Bazzara con tenacia e che, per il momento, ha comunque ottenuto l’effetto di rinsaldare i rapporti e l’alleanza tra i produttori che hanno visione e passione.

Motti dell’anima

Il clan Bazzara segue alcuni motti, entrati nella loro anima. Dalla trasposizione al caffè del noto aforisma di Gothe dedicato al vino “La vita è troppo breve per bere un caffè mediocre”, all’ antico detto del mondo del caffè “come con arte va preparato, così con arte va bevuto”, ripetuto con insistenza dal papà Dionisio al “buono, bello e ben fatto!”.

E, alla fine di questa chiacchierata con i Bazzara, uno si chiede: c’è coscienza del patrimonio enorme che il caffè rappresenta per Trieste tutta? C’è coscienza che è unanimemente riconosciuta come la città del caffè e non solo, la città del caffè di qualità? E lo è per esclusivo impareggiabile merito di diversi imprenditori triestini che hanno saputo cogliere occasioni, studiare, allearsi e competere per costruire un sistema, difficile da replicare.

La politica sembra essersene accorta, per ora con la dichiarazione di Trieste Capitale italiana del caffè, ma anche con il supporto a manifestazioni come appunto Trieste Coffee Experts. Nella città delle statue, una al caffè, alla tazzina, al chicco, al rito meriterebbe un concorso e sarebbe anche originale e Franco si batte da sempre per la statua-caffè. Se non c’è coscienza oggi, è facile prevedere che ci sarà.

Come mai? Perché gli eredi di questi imprenditori sono altrettanto tenaci e strettamente legati a questo territorio, ma solo come trampolino per il mercato e la cultura del caffè in tutto il mondo. Almeno questa è l’impressione che l’ambiente ha lasciato a me.

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