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venerdì 22 Novembre 2024
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Hub: espresso ok, arabica e robusta declinano però le macchine sono tutte diverse

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La professoressa Luciana Florēncio de Almeida dell’ Espm di Saõ Paulo, una delle relatrici al convengo sul caffè, con il professor Sauro Vittori dell’Università di Camerino membro del comitato scientifico

MILANO – Conclusi i due giorni di convegno all’Università di Camerino (Macerata) dell’International Hub for coffee research and innovation dedicato a «La qualità del caffè: una ricerca senza fine». Due giorni di conferenze, relazioni e poster a livello universitario, con tanti ospiti importanti e paganti: torrefattori e costruttori di macchine per il caffè. Interventi di livello altissimo. E anche oltre, se possibile. Dove non c’era spazio per l’ignoranza e le fake news che tanto vanno di moda altrove.

Ma che cosa è stato detto, in sintesi? Soprattutto che il caffè fa bene, se è di qualità. Ma che tenere la qualità sotto controllo lungo tutta la catena dal campo alla tazzina è estremamente difficile, non alla portata di tutti. Soprattutto se non ci sono le persone giuste con gli strumenti adatti.

Molto spazio anche alle macchine per il caffè con confronti tra i differenti tipi di estrazione. Confronti, si basi bene, non a naso o all’assaggio, ma corroborati da centinaia di analisi chimiche e tanto d’altro provate e riprovate in laboratori differenti.

E a proposito di macchine è emerso definitivamente che una macchina superautomatica, pur professionale, non potrà mai estrarre un espresso italiano come riesce invece ad una macchina professionale tradizionale. Lo dicono gli strumenti dell’Università di Zurigo attentamente compulsati dal professor Chahan Yeretzian, tra l’altro consulente della Sca.

Hub Chahan Yeretzian
Il professor Chahan Yeretzian dell’Università di Zurigo di Scienze applicate, membro del comitato scientifico del convegno, che ha tenuto un’applaudita plenary lecture sul tema A sceintist’s perspective of the coffee brewing charts: when science meets craft

Arabica e Robusta al capolinea, da rottamare

Un altro aspetto è emerso fortissimo. Non è più il caso di parlare di Arabica e Robusta come pure hanno fatto alcuni dei ricercatori italiani. Ma non i leader di questa nostra branca delle scienza che, in una delle Università più antiche del mondo, ha riunito per due giorni 90 professori di 15 Paesi.

Perché? Dovremmo saperlo già. Per esempio mai un enologo o un sommelier parlerà di vino bianco o vino rosso. Si parla di Chianti, della Toscana, di quell’appezzamento, con quella esposizione a nord o a sud.

Idem, per fare un secondo esempio, per l’olio d’oliva. C’è quello del Garda ma sponda bresciana o veronese. E c’è anche quello ricavato da olive che crescono, sempre nel bacino del lago più grande d’Italia, al limite dei 600 metri…

Ci ha fatto riflettere la precisione maniacale con la quale la professoressa Luciana Florêncio de Almeida della Espm di Saō Paulo del Brasile indicava i vari caffè brasiliani: sempre nome, cognome, indirizzo e anche, nei casi in cui c’era tra i produttori che esaminava (ne ha indicati 4) l’eventuale punteggio alla Cup of excellence. Carte d’identità circostanziatissime, altro che Arabica e Robusta…

convegno hub

D’altronde, spiegava la professoressa, a chi le chiedeva di tanta precisione, desueta dalle nostre parti: «Il Brasile è grande come l’Europa. Parlare di caffè del Brasile, ma anche di Robusta o Arabica del Brasile sarebbe come parlare di vino europeo o di rosso dell’Europa. Senza altre precisazioni. Anche la legge brasiliana sull’etichettatura del caffè richiede indicazioni più stringenti».

La professoressa Luciana Florêncio de Almeida della escola Superior de Propaganda e Marketing di Sao Paulo in Brasile che ha tenuto una keynote lecture su Brasilian coffee industry panorama: present and future challenge

Ricevuto. Vedremo che reazioni ci saranno, tempi e modi.

Naturalmente questo è soltanto uno degli episodi della due giorni del convegno sulla qualità del caffè, una ricerca senza fine organizzato dall’Università di Camerino e patrocinato da Simonelli Group.

Sì perché in sei ore più altre sei, alle quali si sono aggiunti i tempi delle pause caffè, tutti sfruttati all’osso. E anche le tre ore della festosa cena di giovedì sera, social dinner per i professori. Confronti che hanno portato in primo piano, e a livello universitario, di professori e ricercatori, tutti i temi del caffè.

La sala dell’Università di Camerino dove si è tenuta la conferenza dell’Hub

Dalla genetica alla coltivazione alla supply chain alle curve di tostatura alla qualità in tazza. Aspetti indagati con gli ultimi ritrovati della ricerca scientifica. Macchinari, come hanno mostrato gli scienziati, che individuano sostanze presenti in quantità infinitesimali. Zero seguito da una fila di altri zeri a piacere. Oltre la granulometria, fino alle molecole scandagliate con i super microscopi elettronici, osservate con le radiazioni X ionizzate. E altri gioielli che abbiamo sentito raccontare nei dettagli più minuti.

Sì perché il metodo scientifico, quello vero, quello inventato da Galileo Galilei, prevede di provare e riprovare. Ripetere le prove nelle medesime condizioni per avere le conferme del caso. E il metodo scientifico va applicato, si applica, anche al caffè. Anche all’espresso italiano tradizionale, in tazzina.

Nulla lasciato all’immaginazione, al piacere puro? Assolutamente no. Il professor Peter Schieberle riconosciuto guru a livello mondiale assieme al professor Chahan Yeretzian del Politecnico di Zurigo, ce lo ha detto con la semplicità che soltanto i grandi scienzaiti sanno usare.

Il professor Peter Sxchieberle dell’Università tecnica di Monaco di Baviera che ha tenuto una plenary lecture su The sensonomics approach: useful tool to understand the influence of processing parameters in coffee manufacturing on changes in the key aroma compounds of coffee beverages

Quell’espresso all’italiana del professore

«Le relazioni all’Hub? Fondamentali, alcune di altissimo livello ci ha detto il professore. Ma per me l’aspetto più importante di questo convegno – ci ha detto sorridendo felice – erano le pause caffè. Il poter bere del vero caffè espresso all’ìtaliana che in Germania non sanno fare bene. Mi sono abbeverato con grande gusto anche se era una macchina super automatica. Sulle quali il collega Yeretzian ha espresso dei pareri molto impegnativi e dei quali pur mi fido».

Perché proprio Yeretzian ha dimostrato all’Hub che una macchina super automatica non sarà mai in grado di estrarre un espresso italiano come una macchina professionale tradizionale. Con tanti dati, su basi scientifico-sperimentali. E senza tema di smentita perché già altri hanno ripetuto gli esperimenti con il medesimo risultato.

Antonella samoggia
La professoressa Antonella Samoggia dell’Università di Bologna che ha tenuto una relazione su Exploration of social media communication trends and marketing opportunities on health benefits of coffee

In due giorni intensissimi all’Hub e importanti abbiamo ascoltato 21 relazioni. Tutte fondamentali. Impossibili da riassumere. Ma alcuni temi ve li abbiamo detti. Da non trascurare quello relativo al cambiamento climatico e a tutti i problemi che sta creando al caffè: non in Brasile ma in Etiopia sì.

Torneremo sull’argomento nei prossimi giorni con altre riflessioni e interviste con i protagonisti del convegno che, è già sicuro, sarà ripetuto.

Luciano Navarini Head of research & sceintific coordination, illycaffè S.p.A. Trieste, Italy tra i relatori del convegno dell’Hub a Camerino con una plenary lecture su Coffee chlorogenic acids: the charm of complexity
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