giovedì 26 Dicembre 2024
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Patrick Hoffer, Caffè Corsini: “Continuiamo a innovare e a tenere alto l’espresso italiano”

"Il futuro è difficile da prevedere, ma oggi l’industria italiana del caffè resta un punto di riferimento e lo sarà anche nei prossimi anni, grazie al lavoro delle oltre mille torrefazioni, che hanno fatto sì che in tutto il mondo, quando qualcuno chiede un espresso, un cappuccino o un macchiato, pensi ad un pezzettino d’Italia. La nostra capacità di creare e affascinare il mondo passa attraverso la tazzina e così sarà anche negli anni a venire”

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Patrick Hoffer, alla guida di Caffè Corsini dal 2004 e ceo dell’azienda, ritorna su queste pagine esponendo la sua opinione sul settore della caffetteria in Italia, ponendo particolare attenzione alle nuove dinamiche del mercato che si sono imposte nel Bel Paese dopo l’epidemia Covid.

Hoffer parla di come trovare la strada verso l’innovazione sia ancora un punto cruciale nel settore del caffè in Italia e afferma che “il percorso con il caffè si sta compiendo, è iniziato da 20 anni e c’è ancora tantissimo lavoro da fare”.

Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

Hoffer, lei ha all’attivo diverse esperienze: imprenditore, torrefattore, parte attiva dell’associazionismo, che cosa vede nel presente del settore per ciascuno di questi ambiti?

“Il settore del caffè sta attraversando un momento di cambiamento decisamente importante. Si stanno trasformando il prodotto e l’industria, a causa di diversi fattori: prima di tutto il Covid, che ha stravolto una parte della filiera, poi l’aumento dei costi, compresi quelli delle materie prime, che persiste ancora nel 2023.

Tutto questo porta ad una fase di transizione molto importante, che ci deve portare a stare assieme per ripensare l’associazionismo ed essere sempre più competitivi sul mercato. In Italia la torrefazione e la filiera produttiva, ovvero tutto il mondo industriale che ruota intorno al mondo del caffè (crudisti, logistica, imballaggi, macchine per il confezionamento, attrezzature professionali) rappresentano una forza molto importante.

La conferma è arrivata anche durante l’ultima edizione di Host, che ha visto il ritorno di tutte le più importanti aziende del mondo del caffè a Milano, venute per assistere a cosa siamo in grado di costruire nel nostro Paese.

Il futuro è difficile da prevedere, ma oggi l’industria italiana del caffè resta un punto di riferimento e lo sarà anche nei prossimi anni, grazie al lavoro delle oltre mille torrefazioni, che hanno fatto sì che in tutto il mondo, quando qualcuno chiede un espresso, un cappuccino o un macchiato, pensi ad un pezzettino d’Italia. La nostra capacità di creare e affascinare il mondo passa attraverso la tazzina e così sarà anche negli anni a venire”

Hoffer, molti affermano che la caffetteria italiana è in crisi: lei cosa ne pensa? È così, oppure si tratta di una fase di riscrittura del settore?

“La caffetteria italiana non è affatto in crisi. È quella che ha creato il cappuccino e l’espresso, ovvero un modo di vivere legato alla nostra cultura. Ovviamente i tempi cambiano e il mondo si evolve: l’accento si è spostato molto di più sul prodotto, sulle origini, sul coltivatore.

Oggi è quindi fondamentale mettere in contatto il barista e il consumatore finale con il mondo della materia prima, attraverso una rivisitazione del modo di presentare il caffè e di vivere la caffetteria.

Il bar tradizionale è stato, ed è tuttora, un esempio in tutto il mondo. Quello che oggi chiamiamo coffee shop non esisteva prima ed è una derivazione del bar italiano.

Il nostro compito deve essere quello di trasformarlo, ripensando il bar italiano in un’ottica più internazionale, che sia anche attrattiva per le nuove generazioni che hanno interessi diversi verso il caffè. Ma la caffetteria italiana resta vitale come non mai.”

Hoffer, la materia prima da commodity si sta trasformando e costa di più: questo cosa comporta per i torrefattori?

Il caffè non è un bene di lusso e ancora oggi, ad un prezzo che oscilla tra 1.50 e 2 euro al bar, resta una delle bevande più economiche che ci siano. Se invece viene preparato in casa, utilizzando la moka, il costo scende a circa 10-15 centesimi a tazzina.

Oggi ad incidere maggiormente sul prezzo è il costo della materia prima, all’interno della filiera. Prima si riusciva a far pagare il caffè un po’ meno rispetto ad oggi, ma da qui a dire che è diventato un prodotto di lusso ce ne passa”.

E per i consumatori?

“Non è cambiato niente. La speranza è che possa aumentare la consapevolezza di quello che c’è dietro ad un caffè, quindi nella conoscenza del prodotto, della filiera, ecc”.

Hoffer, oggi far parte di associazioni di settore ha ancora una funzione rilevante per far crescere la filiera?

“Si, è fondamentale. In un momento così complicato per l’industria del caffè, le associazioni di settore devono riuscire a mettere insieme tutti i protagonisti. Se vendiamo un pacchetto di caffè o una tazzina ne trae beneficio l’intera filiera, che è tra le più importanti in Italia”.

Hoffer, incontrarsi tra addetti ai lavori come a Host è sempre utile, ma quanto di quello che viene discusso tra le aziende ha poi una ricaduta sul consumatore finale?

“Tantissimo. Caffè Corsini, ad esempio, è stata la prima torrefazione in Italia ad introdurre gli specialty coffee e l’anno prossimo festeggeremo i 30 anni di Compagnia dell’Arabica, il primo caffè che, in Italia, dichiarava la propria origine, rappresentando una grande novità tra i consumatori. Quando si parla di caffè si parla di passione e di persone che lavorano all’interno della filiera: dai baristi ai ristoratori, fino alle famiglie che vivono coltivando il loro ettaro e mezzo di terra, producendo 30 sacchi di caffè all’anno”.

Come creare un ponte che si rivolga proprio al cliente medio, che poi è colui che paga tutti e che detterà le nuove dinamiche del mercato?

“Attraverso la conoscenza, fondamentale per far capire cosa c’è dietro ad una tazzina. Oggi le nuove generazioni stanno attente ad aspetti che fino poco tempo fa non venivano considerati. Far sapere da dove deriva il caffè, chi lo produce, cosa implica la coltivazione, le sfumature tra una materia prima e l’altra, tra una finca e l’altra è sicuramente un aspetto cruciale per sensibilizzare il consumatore. Questo percorso è iniziato 30 anni fa, ma è ancora lungo”.

Hoffer, lo sguardo dei grandi gruppi internazionali verso la torrefazione italiana, com’è stato il caso di Melitta Group con Caffè Corsini, è un fattore positivo oppure è un sintomo del fatto che da soli in Italia, è difficile ingrandirsi?

“Entrambe le cose. Oggi l’Italia ha un grandissimo potenziale nell’industria del caffè, ma in un mondo globalizzato, dove chi vince è colui che riesce a distribuire di più a livello internazionale e ad espandere le proprie vendite, avere la possibilità di trovarsi all’interno di strutture globalizzate è sicuramente un enorme vantaggio.”

La grossa frammentazione del settore in Italia è evidente sia per il gran numero di torrefattori sia per le tante scuole di caffetteria e le numerose associazioni: questo è il sintomo di un problema o è possibile trasformarlo in un’opportunità da sfruttare. E se sì, come?

“Bisogna fare una distinzione: il gran numero di torrefattori sicuramente è ciò che ha reso grande l’Italia. Avere tanta diversità tra un caffè triestino ed uno di Catania, passando per tutta Italia in cui ogni provincia ha più torrefazioni, indica una storia fatta di tradizioni e unicità.

Ovviamente l’evoluzione del tempo porta ad aggregazioni e alla concentrazione del numero di torrefazioni così come sta accadendo da un po’ di tempo. Siamo tanti e ci sarà chi prospererà e chi non ce la farà e avverrà una selezione: ma questi grandi numeri sono indice di positività.

Per le scuole di caffetterie ci vorrebbe più chiarezza e univocità sugli standard, ma restano un fattore positivo. Infine, per le associazioni ritengo che l’unione faccia la forza, che quindi più siamo uniti e più sarà facile portare avanti le proprie ragioni. Al contrario restare divisi non aiuta, quindi una maggiore concentrazione sarebbe preferibile.”

Lo specialty potrebbe essere una soluzione alla crisi che sta colpendo l’horeca italiana, oppure è destinato ad essere una nicchia per pochi?

La consapevolezza del prodotto, specialty o meno, quindi la formazione e la capacità di comunicare il valore della materia prima dietro alla tazzina, non può far altro che promuovere un consumo più sano. Perché pagare un espresso un euro al bar? Non c’è una sola ragione per cui ci debba ancora essere una mancanza di conoscenza del prodotto.

Quando bevo un bicchiere di vino, voglio sapere cosa sto bevendo e avere la possibilità di gustarlo. Perché questo non può accadere anche con il caffè?

Adesso ci stiamo arrivando, ma ci vuole tempo. Con il vino questo processo di formazione del consumatore è iniziato 50 anni fa. E poi c’è una seconda differenza: la vite cresce in Italia e la vicinanza territoriale rende più semplice per il consumatore comprenderne il valore.

Il percorso con il caffè si sta compiendo, è iniziato da 20 anni e c’è ancora tantissimo lavoro da fare. Le nuove generazioni stanno portando avanti un consumo sempre più consapevole, con la voglia di conoscere ciò che stanno bevendo. In questo discorso è incluso anche lo specialty.”

Che cosa vorrebbe che succeda nei prossimi anni, per restare competitivi e dare un’accelerata al motore del caffè italiano?

“L’Italia e l’industria caffeicola in senso lato è sempre stata all’avanguardia, in grado di trovare soluzioni per poter apprezzare il consumo del caffè.

Negli ultimi anni ci siamo un po’ adagiati sui successi del passato, ma sono sicuro che ci siamo resi conto della fase di stallo a cui siamo arrivati e anche nell’ultima edizione di Host c’era questa consapevolezza. L’industria mondiale del caffè, di somministrazione, le catene, ecc cercavano di capire cosa stesse succedendo in Italia, per poter guardare avanti.

Di sicuro dobbiamo continuare il percorso dell’innovazione nel costruire soluzioni sempre più valide per tenere alta la bandiera del caffè italiana.”

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