TORINO – La Pasqua non è molto lontana ormai, anche se gli italiani quest’anno sono concentrati nell’affrontare l’emergenza sanitaria del Covid-19 e forse, l’idea di acquistare le uova di Pasqua non è tra le priorità dei cittadini. Anzi, l’aria di festa fa fatica proprio a farsi largo tra i pensieri di chi ha paura di uscire anche solo per fare la spesa. Chi soffre due volte in questo contesto, sono gli artigiani del cioccolato, che di solito traggono grandi profitti da questa ricorrenza religiosa. Il 2020 farà eccezione e sarà un duro colpo per molti imprenditori. A testimoniare questo momento di crisi profonda, Guido Gobino, che però oltre al commento di una situazione d’emergenza, lancia un messaggio di speranza. Dall’intervista per il torino.corriere.it.
Guido Gobino, a Torino si pensa a quando si ripartirà
Con uova di pasqua e giandujotti bloccati nel magazzino di via Cagliari, Guido Gobino ha tempo per «scervellarsi» e «rompersi la testa» e cercare di trovare una soluzione al rebus di questa crisi scatenata dal Covid-19. «Sì, c’è l’ecommerce: consegniamo a domicilio. E poi conserviamo un po’ di export, Giappone ed Emirati richiedono ancora i nostri prodotti che con qualche difficoltà riusciamo a far arrivare. Ma il problema non è l’immediato».
Per lo chocolatier più noto di Torino non è tempo di trovare riparo in qualche «bunker e salvare la pelle» o magari cedere alle offerte di vendita di qualche multinazionale. Perché oggi «bisogna buttarsi a capofitto nel rinascimento italiano».
Guido Gobino, viva l’ottimismo
Ma parlare di rinascimento non le pare un po’ troppo?
«Lo devo e lo dobbiamo fare. Per i nostri figli, almeno. Il mio ha 21 anni. Si chiama Pietro e studia tecnologie alimentari in Inghilterra. Siamo riusciti a farlo rientrare a Torino appena in tempo, prima della chiusura dei cieli. Lui governerà la terza generazione di Gobino. Di certo non voglio vendere questa azienda a un fondo di investimenti o una multinazionale anche se molti me lo propongono. E sa cosa le dico: il rinascimento è lì a portata di mano, anche se arriveranno tempi durissimi».
Ci indichi la strada allora
«Tutti dicono che questa è una guerra. Almeno la pandemia avrà l’impatto di un conflitto. Se torno indietro con la memoria penso che il made in Italy è nato nel dopoguerra. Nel ’45 il Paese era in macerie ma tra le macerie sono nati i gioielli del made in Italy. Ferrero nasce in quegli anni. Nello stesso periodo è nata Ferrari e Pininfarina è diventata una grande azienda. Armani si è formato negli anni cinquanta. Vado avanti con gli esempi?».
I tempi sono cambiati. Quelli erano gli anni dell’industrializzazione di massa e dei consumi estesi a tutta la popolazione
«Ma gli attori sono gli stessi. Tutte le imprese che le ho menzionato nascono da botteghe artigiane. Anche io sono un artigiano. La mia azienda si sta strutturando: fattura 7 milioni, impiega più di 30 persone ed esporta il 30% del prodotto all’estero, ma opera ancora come un laboratorio artigianale. Penso che il rinascimento italiano debba ripartire da noi piccoli. Almeno da quelli che riusciranno a sopravvivere, perché i caduti saranno tanti. Prevedo che due botteghe su dieci non ce la faranno».
Come conta di farcela lei?
«Da solo posso fare poco. Certo, metterò liquidità in azienda. Altrimenti i miei sei negozi non potranno ripartire. E continuerò a dire no a qualunque offerta di vendita. Ma dobbiamo riuscire a risollevarci tutti assieme. Io so che per almeno sei mesi avremo le casse vuote. Bene, approfittiamone per rimettere al centro la piccola impresa e gli artigiani che portano il nome di Torino nel mondo. Penso in particolar modo a un prestito d’onore per aiutare tutte le Pmi che non possono affrontare sei mesi senza un euro in tasca. è una misura necessaria. Ma questo è il primo passo».
E il secondo?
«Ripensare il nostro modello di sviluppo. Trovo vergognoso che i nostri medici combattano questa guerra senza le protezioni adeguate. E che in questo paese non si producano mascherine e ventilatori. Chiudiamo le Borse per un mese. Ripartiamo dall’economia reale. Ve lo dico perché la speculazione si sta abbattendo sulle grandi aziende ma anche sul nostro settore».
In che modo?
«Il prezzo del cacao è schizzato a tremila sterline. Significa che pochi grandi compratori ne stanno facendo incetta. A rimetterci siamo sempre noi artigiani. E questi rialzi di certo non aiutano i coltivatori africani e quelli del Centro America».
Come sarà la sua Pasqua per Guido Gobino?
«Amara. La festività ci garantisce in media il 20% dei ricavi di un anno. Purtroppo noi artigiani abbiamo dovuto interrompere le attività. Eppure nei supermercati si continueranno a vendere i prodotti della grande industria. Questa crisi sta mettendo in luce tutte le storture della globalizzazione. Non dimentichiamocene domani quando penseremo alla ricostruzione di questo Paese».