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Bernardinelli, il segreto de La Marzocco? “È la ricerca di un prodotto di altissima qualità”

Bernardinelli:"In questo percorso di crescita, il nostro cuore e il centro della nostra produzione sono sempre rimasti saldamente in Italia, a Firenze. Teniamo a essere parte del "made in Italy", a restare nel solco della tradizione artigianale, pur sposando tutte le innovazioni possibili. Abbiamo per esempio dei sensori digitali sulle piante di caffè per capirne le necessità e lavoriamo per individuare e anticipare le minacce dei cambiamenti climatici."

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PIAN DI SAN BARTOLO (Firenze) – Condividiamo di seguito l’intervista all’amministratore delegato La Marzocco, Guido Bernardinelli, firmata da Lisa Ciardi e pubblicata nell’inserto Economia che QN, il quotidiano Nazionale del Gruppo Monrif, allega ogni lunedì ai suoi tre quotidiani: Il Giorno di Milano, La Nazione di Firenze, Il Resto di Carlino di Bologna.

Punto focale della discussione, l’evoluzione delle tecnologie nelle macchine espresso, verso dei modelli sempre più 4.0., per rispondere alle nuove esigenze degli operatori e le sfide del mercato cambiato dalla pandemia.

È partito tutto con il primo modello di macchina per caffè espresso professionale Fiorenza del 1927 e si è arrivati oggi ad essere uno dei brand iconici quando si parla di made in Italy legato al rito dell’espresso italiano.

Guido Bernardinelli e La Marzocco 4.0

Dai fanali per le carrozze alla prima macchina del caffè nel mondo della cultura italiana dell’espresso .Quella della società La Marzocco, azienda fiorentina specializzata in macchine da caffè, è una storia che parte da lontano, unendo capacità visionarie e passione per le tradizioni. A raccontare traguardi raggiunti e obiettivi, l’amministratore delegato, ceo nell’acronimo in inglese de La Marzocco Guido Bernardinelli.

Partiamo dal passato, la vostra è una storia tipicamente italiana…
“Proprio così e racconta quello che, ancora oggi, è il nostro approccio. Tutto iniziò ai primi del ‘900, quando a Giuseppe Bambi e a suo fratello Bruno, fabbricanti di fanali per carrozze, fu chiesto di costruire qualcosa di completamente diverso: una macchina da caffè. Al tempo si trattava di una bevanda esotica, da sorseggiare al bar per provare qualcosa di inusuale. Giuseppe e Bruno colsero la sfida e realizzarono la prima macchina: Fiorenza. Il committente però non la ritirò mai e loro decisero di portare avanti il progetto da soli. Era il 1927, data di nascita della società.

Fu un successo e, dopo di loro, Piero Bambi prese le redini dell’azienda del babbo e dello zio. È mancato lo scorso anno, ma per tutta la vita, fino agli ultimi tempi, ha continuato ad essere un punto di riferimento.”

Bernardinelli, avete resistito a tanti cambiamenti, tecnologici e di usi e costumi. Qual è stato il vostro segreto?

“La passione per il caffè espresso. Quasi un’ossessione che si traduce nella ricerca continua di un prodotto di alta qualità, fra prove, degustazioni, coinvolgimento di esperti. Quando sono arrivate innovazioni elettroniche che avrebbero compromesso il risultato finale, abbiamo detto no.

Abbiamo rinunciato a entrare nell’ottica della catena di montaggio, anche se questo significava rischiare di compromettere un processo di democratizzazione del caffè. Va detto che trattandosi di un prodotto che dà assuefazione, le persone tendono a consumarlo anche se la qualità è inferiore. Ci può essere quindi la tentazione di abbassare il livello: noi non l’abbiamo mai fatto”.

Siete però riusciti a entrare nel mercato americano e in catene come Starbucks. Com’è andata?

“Nel 1978, un americano in visita a Firenze scoprì le nostre macchine e si innamorò. Grazie anche a Riccardo Caretti, un fiorentino che faceva il rappresentante di vino negli Usa. La Marzocco approdò nel nuovo continente e riuscì a stipulare un contratto con Starbucks, vendendo 11mila macchine. Poi, quando Starbucks ha virato verso la tecnologia automatica, le nostre strade si sono divise, ma ormai negli Usa La Marzocco era un mito e si sono aperte tante altre strade.”

Oggi in quali mercati operate?

“Siamo un po’ ovunque, grazie a 12 filiali estere. I mercati principali sono la Cina e gli Usa, praticamente equivalenti. A seguire: Australia, Inghilterra, Arabia Saudita, Thailandia, Indonesia e Germania. Se invece dei singoli strati consideriamo poi i continenti, l’Europa assorbe la principale fetta di mercato.”

Quali sono i vostri numeri?

“Quando sono stato assunto, nel 2002, ero il dipendente numero quattordici, oggi siamo 670. Facevamo 3,5 milioni di fatturato, oggi abbiamo un bilancio consolidato di gruppo a quota 220 milioni di euro.”

Sempre restando saldamente ancorati alle vostre origini…

Bernardinelli:”In questo percorso di crescita, il nostro cuore e il centro della nostra produzione sono sempre rimasti saldamente in Italia, a Firenze. Teniamo a essere parte del “made in Italy”, a restare nel solco della tradizione artigianale, pur sposando tutte le innovazioni possibili. Abbiamo per esempio dei sensori digitali sulle piante di caffè per capirne le necessità e lavoriamo per individuare e anticipare le minacce dei cambiamenti climatici.”

Non c’è il rischio che l’innovazione cancelli l’artigianalità?

“E’ sbagliato pensare che l’artigianato sia qualcosa di vetusto, polveroso e fuori dal tempo. La nostra scommessa è controllare meglio il processo produttivo senza cambiarlo: oggi riusciamo a contare i colpi di cacciavite che servono per costruire una macchina, a gestire la personalizzazione, ad accogliere online le modifiche agli ordini fino alla consegna… il tutto abbinato all’impegno nella diffusione della cultura italiana dell’espresso grazie all’Accademia del caffè espresso La Marzocco”.

L’Accademia appunto: come nasce e quali obiettivi ha?

“E’ nata quasi per scherzo dalla voglia di recuperare il vecchio stabilimento di Pian di San Bartolo, lasciato nel 2008 per la necessità di maggiori spazi. Dall’idea di restaurarlo e dalla consapevolezza di quanto, nel mondo, sia forte l’attenzione verso la cultura italiana dell’espresso, ha preso vita l’Accademia.”

Che cosa offre, in concreto, per approfondire le cultura del caffè?

“Uno straniero oggi può venire a Firenze, vedere il Ponte Vecchio o gli Uffizi e poi fare un corso su come gestire un bar o fare il caffè, approfondire i concetti di leadership e imparare cosa significhi lavorare come agronomo o ingegnere meccanico. Insomma, l’Accademia permette un viaggio a 360 gradi nella cultura dell’espresso. Un tassello che arricchisce quello che resta, sin dal 1927, il nostro obiettivo principale: fare il caffè più buono di tutti.”

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