Michael Ellis, Direttore Guide Michelin, intervista a Sergio Lovrinovich, Caporedattore Guida Michelin Italia.
Ci spiega perché ha deciso di stare in disparte e di non presentarsi né alla stampa né agli chef?
Perché l’anonimato consente di vivere la “prova a tavola” come un normale cliente. Inoltre, operare nell’anonimato è una scelta che aiuta anche gli chef e il personale di sala a lavorare più serenamente. Le mie passate esperienze maturate in importanti alberghi e ristoranti internazionali mi hanno spinto in questa direzione. Ricordo ancora l’effetto che aveva sullo staff sapere di essere sotto ispezione. Vorrei evitarlo.
Com’è la prima guida Michelin firmata da Sergio Lovrinovich?
La guida non è firmata. È il frutto del lavoro svolto dagli Ispettori Michelin e le decisioni sono prese collegialmente con il caporedattore in base a un metodo rigoroso, collaudato da oltre 100 anni e applicato in tutti i Paesi. L’omogeneità di valutazione in tutte le 23 guide è assicurata dalla rete di Ispettori che opera a livello nazionale e internazionale.
Che linea seguirà e quali tendenze di cucina predilige?
Il nostro ruolo non è dettare tendenze, è il consumatore che giudica e le delinea. Noi valutiamo la qualità dei prodotti, le abilità tecniche di manipolazione, la personalità dello chef nei piatti, l’equilibrio delle ricette.
L’interesse crescente per il settore food permea tutta la società italiana: si tratta semplicemente di una moda o c’è dell’altro?
Non credo si tratti solo di una moda, ma anche di una presa di consapevolezza, certamente veicolata anche dai media. I programmi televisivi e la carta stampata, le interviste agli chef e persino i piccoli eventi e i corsi di cucina organizzati nell’ambito di sagre stagionali in ogni città sembrano aver reso le persone più consapevoli dell’importanza della qualità del cibo, non solo come elemento determinante per la nostra salute, ma anche come piacere e momento conviviale.
La crisi influisce in qualche modo sulla qualità della cucina?
La fotografia scattata dalla nostra selezione registra già da qualche anno una reazione positiva del mondo della ristorazione di qualità al crescente interesse del pubblico e anche alla crisi. Negli ultimi 5 anni sono cresciuti del 25% i ristoranti Bib Gourmand che offrono pasti di qualità a meno di 30 €. Sono però cresciuti anche del 21% i ristoranti stellati, molti dei quali offrono proposte interessanti per il mezzogiorno e talvolta anche per cena. Anche questo è segno della “democratizzazione” del settore, oggi più accessibile a tutti.
La “democratizzazione” ha annullato le specificità culinarie?
Tutt’altro. Come evidenzia la guida, sono molti i ristoranti non stellati in cui si è diffusa una cucina personalizzata, attenta alle presentazioni, alla ricerca degli ingredienti di qualità e al perfezionamento delle cotture. La crisi ha incentivato la valorizzazione delle risorse del territorio del cosiddetto Km 0. Non sono necessari ingredienti costosi come caviale e foie gras per avere un piatto di qualità.
Quale ritiene essere il dato più interessante dell’edizione 2014 della Guida Michelin?
329 stelle ne fanno la seconda guida più stellata al mondo. Questo è certamente il dato più eclatante, ma anche una conferma della qualità dei nostri prodotti e dell’abilità dei nostri chef. Un segnale importante che emerge è il trend positivo di chef del Sud che, dopo esperienze importanti, ritornano nei loro Paesi di origine per valorizzare territorio e cucina.
A cosa si deve la “caduta” delle stelle?
A chiusure di attività e a cali di qualità rilevati attraverso le “prove tavola” degli Ispettori. Per raggiungere e mantenere la stella è necessaria la qualità in tutte le proposte del menu e la continuità nel tempo.
Che trend vede per la ristorazione nel prossimo futuro?
La guida fotografa la situazione attuale, che rivela il perdurante interesse per i prodotti e le tradizioni del territorio (oltre al concetto del Km 0, pensiamo, per esempio, ai ristoranti che si dotano di un proprio orto), ma anche un fenomeno opposto, un neo-esotismo che ricerca ingredienti rari, sconosciuti e d’importazione, e li combina con altri nostrani. Si prediligono cotture semplici, con l’obiettivo di rispettare l’integrità dei prodotti. È invece in diminuzione la cucina molecolare.
I dolci sono sempre meno “dolci”: diminuisce cioè la presenza degli zuccheri e i dessert a base di verdure non costituiscono più una novità. Da parte dei cuochi c’è una crescente attenzione per le allergie e le intolleranze alimentari, a volte con menu appositamente dedicati.
Gli Ispettori hanno rilevato cambiamenti nel settore turistico-alberghiero in questi anni?
Dal punto di vista alberghiero registriamo un grande interesse dei clienti per forme alternative di soggiorno, come B&B, agriturismi e residenze suggestive, di cui apprezzano il contesto storico, i prodotti del territorio, il rapporto personale con i proprietari e il piacere di aver scovato un indirizzo “di nicchia”.