TORINO – Perché, 14 anni dopo, chiudersi in un barattolo? Federico Grom – fondatore assieme a Guido Martinetti (FOTO) della casa del gelato artigianale, nata a Torino nel 2003 – risponde semplicemente che “sarà il più buon barattolo di gelato del mondo”. Esigenze pubblicitarie a parte, sembra crederci davvero.
È certo che passare dal cono al barattolo è una scommessa per una società che della tradizione italiana ha fatto uno dei suoi punti di forza.
Ma il gelato confezionato è inevitabilmente la nuova frontiera commerciale: c’è da superare il pregiudizio per cui in gelateria c’è la qualità e al supermercato solo la quantità.
Chi abbatterà per primo questo muro avrà vinto davvero. La guerra del barattolo si annuncia particolarmente combattuta.
Uno dei colossi del frigorifero è la statunitense Haagen Dazs che, a dispetto del nome, non ha nulla di danese o di scandinavo.
È stata la trovata pubblicitaria di due ebrei polacchi di Brooklyn a scegliere un nome che ricordasse l’Europa, patria del gelato, e la Danimarca per l’aiuto dato da quel Paese agli ebrei in fuga dal nazismo.
L’aneddoto dimostra indirettamente quanto il gelato sia legato al Vecchio Continente. E all’Italia in particolare: “Per questa ragione ci siamo detti che proporre un prodotto di alta qualità confezionato può diventare una scommessa vinta”, spiega Grom.
E quasi rovescia la massima di McLuhan: “Il contenitore è molto importante ma il contenuto lo è di più”. Così l’obiettivo è quello di far coincidere i messaggi: il barattolo sarà trasparente perché trasparente deve essere il processo di produzione del gelato artigianale.
Anche oggi che Grom fa parte della multinazionale Unilever, uno dei grandi gruppi del food mondiale.
“Ci hanno garantito totale autonomia e hanno mantenuto la promessa”, spiega il co-fondatore.
La scelta di scommettere sul barattolo sarebbe una dimostrazione di quell’autonomia: “È sempre stato un mio sogno quello di offrire lo stesso gelato che produciamo per le gelaterie anche nei frigoriferi della grande distribuzione.
Sogno che non avrei mai realizzato senza l’abilità di Guido Martinetti, il mio socio gelataio con cui abbiamo cominciato l’avventura nel 2003”.
Grom affronta la guerra dei barattoli con un fatturato di 30 milioni e 900 dipendenti in 86 punti vendita sparsi per il mondo.
All’inizio la vendita sarà limitata all’Italia ma presto verrà estesa negli altri Paesi. E sarà proprio all’estero che si combatterà la battaglia decisiva per vincere la guerra.
L’esperienza degli americani di Haagen Dazs dimostra infatti che la Penisola è uno dei mercati più difficili per il gelato confezionato.
In Italia la multinazionale di Brooklyn ha chiuso l’ultimo punto vendita del marchio proprio nel 2003, negli stessi mesi in cui Grom e Martinetti affittavano un piccolo negozio di 25 metri quadrati vicino alla stazione di Porta Nuova, a Torino, per far partire la loro avventura.
Ora sono loro a scommettere che gelato artigianale e confezionato non siano ossimori. “Con tutti il rispetto per gli altri concorrenti nell’industria della gelateria, il nostro è un prodotto molto diverso”, dice Grom. Spiegando che “il criterio del mercato artigianale è quello di togliere ingredienti: togliere grassi, additivi chimici, coloranti”.
Che cosa rimane allora? “Rimane l’essenza: la frutta nei sorbetti, la crema o il cioccolato nei gelati”.
Nella prima fase di commercializzazione i barattoli di Grom saranno sette: quattro creme (pistacchio, caffè, cioccolato e Grom) e tre sorbetti (fragola, limone e lampone). Conterranno 500 ml di prodotto o, come preferisce dire il fondatore, “una pinta”.
Solo nei prossimi mesi si capirà chi ha vinto davvero la scommessa: “Abbiamo sempre venduto ai nostri clienti i limoni di Sicilia spremuti nei nostri sorbetti.
Abbiamo parlato soprattutto dei nostri fornitori. Convinceremo il mercato che con i barattoli non cambia assolutamente nulla”.
Paolo Griseri