MILANO – Starbucks pagherà più tasse nel Regno Unito. Lo hanno dichiarato ieri i vertici della compagnia di Seattle rimandando a oggi per l’annuncio ufficiale con i dettagli. Con questa mossa, il colosso di Seattle punta a riscattarsi agli occhi dell’opinione pubblica britannica e sanare la propria situazione tributaria dopo che recenti rivelazioni stampa hanno inciso negativamente sulle vendite e suscitato le attenzioni del fisco di sua maestà.
Come già riferito da Comunicaffè, un’indagine della Reuters ha passato al setaccio a inizio ottobre i bilanci di Starbucks Uk svelando una realtà clamorosa. La filiale britannica – pur sbandierando risultati brillanti nei report e nelle conference call – non ha dichiarato nessun utile negli ultimi tre anni, né versato al fisco una sola sterlina a titolo di imposta sulle società, a fronte di vendite per un totale di 1,2 miliardi di sterline.
Il tutto grazie a una serie di complesse transazioni infragruppo aventi ad oggetto proprietà intellettuali, prezzi di trasferimento e prestiti intersocietari. Pratiche di ottimizzazione fiscale usuali per le corporation globali, che non determinano necessariamente elusione fiscale e di cui Starbucks continua a rivendicare la legittimità. Per alcune di esse, la compagnia americana aveva già reso conto un paio di anni fa fornendo chiarimenti che il fisco inglese giudicò allora soddisfacenti.
Ma in tempi di crisi, austerità a spending review drastiche, gli escamotage messi in piedi dal colosso americano sono apparse agli occhi dell’opinione pubblica britannica un raggiro insopportabile.
Lo sdegno popolare
Di qui un’ondata popolare di sdegno amplificata dal tam-tam dei media e dei social network, che hanno invitato al boicottaggio dell’insegna della sirenetta. Sono quindi scese in campo ben due commissioni parlamentari, che hanno preteso spiegazioni dalle autorità fiscali.
Si è arrivati così alla memorabile audizione dello scorso mese davanti al Public Accounts Committee (Pac), le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, dove i top manager di Amazon, Google e Starbucks – in visibile imbarazzo davanti al fuoco di fila delle domande degli MPs britannici – hanno dovuto giocare in difesa fornendo risposte evasive o trincerandosi nei tecnicismi finanziari e contabili.
Troy Alstead, cfo di Starbucks Global ha ribadito in tale occasione che Starbucks non porta i profitti fuori dal Regno Unito e ha spiegato che i risultati finanziari negativi registrati sul mercato britannico dipendono da alcuni errori commessi nelle strategie immobiliari, che hanno fatto lievitare gli oneri sui fitti commerciali.
Ma la giustificazione non ha soddisfatto i membri della commissione (“O gestite male l’azienda o c’è un trucco”, ha detto senza mezzi termini il deputato laburista Austin Mitchell”). Anche perché Alstead è apparso piuttosto vago (invocando anche una presunta richiesta di riservatezza da parte del governo olandese) quando si è trattato di chiarire i termini di alcune operazioni effettuate su una consociata dei Paesi Bassi.
L’accordo raggiunto
Ieri infine è giunto l’annuncio dell’accordo raggiunto tra Starbucks e l’Hmrc (Her Majesty’s Revenue and Customs, l’agenzia del fisco britannico), in base al quale la catena americana si impegna a versare un supplemento di tributi al fisco inglese, pur continuando a difendere la congruità di quanto già pagato e seguitando a sostenere di non avere violato la legge.
Come già detto, i dettagli dell’operazione verranno resi noti ufficialmente quest’oggi. Secondo indiscrezioni, Starbucks corrisponderà all’erario britannico tra i 5 e i 10 milioni di sterline a titolo di corporation tax. Ciò la sottoporrebbe a un livello di tassazione comparabile a quello della rivale Costa Coffee, riferisce Sky News.
Alstead sottolinea dal canto suo che anche senza le transazioni infragruppo, Starbucks avrebbe dovuto pagare ben poco sui propri utili, poiché la gestione in Uk “non è redditizia”.
“Ribadisco ad alta voce e con la massima fermezza che ci siamo attenuti strettamente non soltanto alla lettera, ma anche allo spirito delle leggi vigenti – afferma Alstead – Scegliamo, in una certa misura, di andare oltre e fare di più del dovuto animati dal sincero interesse di dare una risposta ai nostri clienti, che non capiscono e sono molto preoccupati”.
Continua intanto l’offensiva a tutto campo condotta, sul fronte tributario, dal governo Cameron, che afferma di avere recuperato entrate fiscali supplementari per 7 miliardi di sterline rispetto al precedente governo.
La Gran Bretagna a caccia delle evasioni di Starbucks
Lunedì scorso, il Cancelliere dello scacchiere George Osborne (il corrispondente del nostro ministro delle Finanze) ha annunciato l’ingaggio di 2.500 ispettori delle tasse. Nell’intento di perseguire aggressivamente chi evade o elude il fisco.
“Vogliamo avere il sistema di tassazione delle imprese più competitivo tra tutte le principali economie mondiali. Ma pretendiamo anche che le tasse vengono pagate” ha dichiarato Osborne. Che ha anche confermato la recente sottoscrizione di una convenzione fiscale con la Svizzera. Che ricalca quella che gli elvetici hanno siglato con la Germania nell’agosto 2011.
Cura dimagrante per il colosso Starbucks
Dopo la drastica cura dimagrante attuata a partire nel 2008, che ha portato alla chiusura del 10% dei suoi locali americani, Starbucks Corp. torna intanto a parlare di espansione del business. Con obiettivi ambiziosi anche in patria oltre che nei mercati emergenti.
Il portafoglio di Seattle si è arricchito da un anno a questa parte di nuovi asset funzionali all’allargamento, E al consolidamento delle merceologie al di fuori del core business del caffè. Sono stati acquisiti il produttore di succhi di frutta e smoothies Evolution Fresh per 30 milioni di dollari; l’azienda dolciaria La Boulange Bakery, costata un centinaio di milioni di dollari. E Teavana Holdings, un’insegna che vende tè sfuso di qualità in tutti gli States con 300 store, tutti all’interno di grandi centri commerciali.
Per quest’ultima operazione, funzionale allo sbarco in grande stile nel mercato globale del tè, Starbucks ha staccato un assegno da 620 milioni di dollari.
Gli obiettivi di Starbucks?
Superare il traguardo dei 20 mila locali in tutto il mondo entro il 2014 contro i circa 18 mila attuali. 18.066 alla data del 30 settembre scorso. Con la Cina (dove è stata accesa da poco la 100 insegna) destinata a diventare il secondo mercato dietro agli Usa e davanti al Canada.
4 mila caffetterie in Asia firmate Starbucks
Complessivamente, la regione Asia-Pacifico conterà, a fine 2013, un totale di 4 mila caffetterie. Di cui un migliaio in Cina. Destinate a diventare 1.500 entro il 2015. Con una rete di locali estesa a una settantina di metropoli.
Nelle Americhe verranno inaugurati 3 mila nuovi locali nell’arco del prossimo quinquennio. Di cui 1.500 negli Usa; che rimangono di gran lunga il più importante mercato di Starbucks con circa 11.100 insegne.
Un traguardo, quest’ultimo, molto più ambizioso di quello delineato appena qualche mese fa. Quando i piani per gli States erano di mille aperture in 5 anni.
Secondo il responsabile per il mercato Usa Cliff Burrows, il mercato interno non è affatto saturo. E i problemi degli anni trascorsi derivano semmai da un’espansione indiscriminata. Che ha portato spesso a scegliere delle location dove i riscontri di traffico e redditività non erano adeguati.