domenica 22 Dicembre 2024
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POLEMICHE – A Gorizia scoppia la bufera sul prezzo del caffé

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GORIZIA – E’ scoppiata la polemica sul prezzo della tazzina di caffè espresso. Tutta colpa di un commento che il presidente della Provincia di Gorizia Enrico Gherghetta (nella foto) ha inserito sul suo profilo facebook:

“1,10 euro una tazzina di caffè è un aumento totalmente ingiustificato, e non può essere giustificato dall’aumento dell’Iva, perché al limite dovrebbe essere di 1,01 alla tazzina. Devo anche dire che pagare mezzo litro d’acqua 1,50 euro è altrettanto ingiustificato, l’acqua costa il doppio del gasolio! Anche pagare un bicchiere di vino vero a 3,50 euro è una follia. Il pane sopra i 3 euro al kilo è una cosa lontana dalla realtà. Poi oggi leggo che c’è chi chiama a raccolta i commercianti per difendersi dal Tiare di Villesse, ma caro mio mica tutti possono vivere come se fossero in una boutique. Ecco, quando si parla del sistema Italia bisognerebbe che tutti si mettano una mano sulla coscienza…”

Questi commenti hanno fatto immediatamente imbufalire i commercianti, per bocca del presidente provinciale di Confcommercio, Gianluca Madriz.

“L’adeguamento del prezzo del caffè nei bar mediamente fermo a Gorizia da 3 anni, che ha provocato le considerazioni di Gherghetta – dichiara – non deriva evidentemente dall’aumento di un punto percentuale dell’Iva, ma dalla continua crescita esponenziale dei costi fissi che tirare su una serranda implica ogni giorno.

Vorremmo parlare, caro presidente, degli studi di settore che ci definiscono non congrui se il rapporto tra costi e ricavi non è quello stabilito dall’Agenzia delle Entrate, che parametra le proprie valutazioni su dati revisionati mediamente ogni due anni: un’era geologica che non consente assolutamente una valutazione realistica delle nostre attività.

Vorremmo leggere con lei in modo analitico la busta paga dei nostri dipendenti, che ha un differenziale tra il netto versato al lavoratore e costo per il datore di lavoro, pari al 70%, il famigerato cuneo fiscale: significa, senza parlare difficile, che se un nostro collaboratore guadagna mille euro al mese, e fatica a pagare un affitto, all’imprenditore il suo lavoro costa 1.700 euro, che sale a quasi 2.000 euro se consideriamo i ratei per ferie, permessi, mensilità aggiuntive e Tfr”.

“Come si permette, caro presidente, di insultare con le sue chiacchiere da bar (ci consenta l’ironia…) il nostro lavoro quotidiano?” è la prima stoccata di Madriz.

“Lo sa – aggiunge – che, in un anno in cui l’occupazione ha segnato un saldo negativo da brivido, il 2012, nel conto economico dello Stato le uniche voci in aumento sono quelle derivanti dalle imposte applicate alle pensioni e al lavoro dipendente?
Sa cosa significa questo per le famiglie di imprenditori della sua provincia? Significa impegnare la casa di famiglia per pagare un Tfr o semplicemente per non mandare a casa i collaboratori di sempre. Significa ridursi o azzerarsi lo stipendio per far quadrare i conti, senza vedere la fine del tunnel, ma incapaci di rassegnarsi a buttare a mare il lavoro di più generazioni.

E non osi, non osi presidente concedersi facili populismi dividendo il commercio tra quello tradizionale per i ricchi e quello dei grandi magazzini per i tanti. Pensa davvero che la politica del sempre aperto e del lavoro festivo porti una diminuzione dei costi per il cittadino? Ne è proprio convinto? Pensa davvero che la coltura intensiva del tutto e sempre rappresenti un vantaggio sul consumo stagionale e a km zero? Ci assicura che i dipendenti regolari dei circuiti tradizionali, magari over 50, troveranno stabile collocazione nell’impiego mordi e fuggi della grande distribuzione?
Qui non si tratta della guerra tra boutique e fast fashion, caro presidente, tra panettiere e ipermercato, tra popolo e alta borghesia. Si tratta di sostenibilità di un intero sistema nazionale, economico, sociale e culturale, basato sulla piccola e piccolissima impresa, che abbiamo completamente e senza assumercene la responsabilità messo in discussione, prediligendo il redditizio consumo del territorio rurale e la desertificazione dei centri cittadini, professando il glamour di vite vissute alle periferie, e non più al centro delle nostre comunità”.

“Caro presidente – conclude il rappresentante dei commercianti – con una mano sulla coscienza, quella vera, ci sentiamo di chiederle, nella sua posizione, di mettere sempre il cittadino che amministra al centro dei suoi pensieri. E anche dei suoi stati di face book”.

Fonte: ilfriuli.it

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