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venerdì 30 Agosto 2024
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Gianluigi Goi parla del Lupino giallo di Dorgali e dei semi di Sughera, surrogati del caffè

Goi: "Anche in questa estate 2024 madre, matrigna e figlia del riscaldamento del pianeta con tutti i problemi ambientali che si porta dietro e ci scarica addosso aggravati dalla follia umana che pensa di risolvere le grandi questioni con il ricorso agli arsenali bellici, basta poco, volendolo, per trovare spazi di serenità intrisi di cultura e di rispetto per l’ambiente. E’ quanto, in questi giorni, è capitato a chi scrive che, partito da un semplice svolazzo captato in un testo di orticoltura, grazie agli algoritmi in questo caso benefici di Google, è approdato nell’incanto naturale dell’imponente falesia di Cala Gonone, frazione di Dorgali, che vigila sulla tavolozza del blu, degli azzurri e dei verdi smeraldini di un mare trasparente come il cristallo con, alle spalle, le asperità, ma anche le nascoste intimità verdi, del Supramonte sardo. Questo lo spunto, lo ammetto, abbastanza insolito ma rispondente a verità, per fare la conoscenza del Lupino giallo (Lupinus luteus) che a Dorgali ha lasciato una impronta non banale nel tessuto delle tradizioni alimentari locali"

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Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista specialista di agricoltura affezionato a queste pagine che con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi esprime le sue considerazioni sul Lupino giallo di Dorgali in Sardegna e sui semi di Sughera, utilizzati come surrogati del caffè. Leggiamo di seguito la sua opinione.

Il Lupino giallo di Dorgali in Sardegna e i semi di Sughera

“Anche in questa estate 2024 madre, matrigna e figlia del riscaldamento del pianeta con tutti i problemi ambientali che si porta dietro e ci scarica addosso aggravati dalla follia umana che pensa di risolvere le grandi questioni con il ricorso agli arsenali bellici, basta poco, volendolo, per trovare spazi di serenità intrisi di cultura e di rispetto per l’ambiente.

E’ quanto, in questi giorni, è capitato a chi scrive che, partito da un semplice svolazzo captato in un testo di orticoltura, grazie agli algoritmi in questo caso benefici di Google, è approdato nell’incanto naturale dell’imponente falesia di Cala Gonone, frazione di Dorgali, che vigila sulla tavolozza del blu, degli azzurri e dei verdi smeraldini di un mare trasparente come il cristallo con, alle spalle, le asperità, ma anche le nascoste intimità verdi, del Supramonte sardo.

Questo lo spunto, lo ammetto, abbastanza insolito ma rispondente a verità, per fare la conoscenza del Lupino giallo (Lupinus luteus) che a Dorgali ha lasciato una impronta non banale nel tessuto delle tradizioni alimentari locali. Pianta erbacea annuale, radice a fittone, ramosa, fiori molto profumati di un giallo intenso con fioritura tra aprile e maggio, il Lupino giallo produce – secondo quanto apprendiamo dal sito della Regione “SardegnaForeste” – frutti costituiti da un “legume lanoso”. “Utilizzo alimentare (riportiamo la sintetica descrizione presente nella scheda di cui sopra): “Semi e produzione di un <caffè povero> molto usato decenni fa. Il seme torrefatto veniva utilizzato come surrogato del caffè nel territorio di Dorgali”.

Una caratteristica, questa, che sembra essere una peculiarità territoriale. Interessanti le digressioni gastronomiche, e non solo, che riportiamo sempre testualmente: “In Corsica il seme si consuma in minestroni e nei ragù, come quello di fagiolo, e da esso, macinato, si otteneva una farina. Con i semi e la farina si possono fare maschere cosmetiche ad azione emolliente”.

Senza dimenticare una curiosità di nome e di fatto: “Il nome del genere Lupinus deriva dal latino ‘lupus’ ovvero lupo, per l’azione depauperante della pianta sul suolo” così come il lupo “depaupera”,  ovviamente in senso lato, la fauna che incrocia nel suo territorio di caccia”.

“E’ comunque doveroso segnalare che l’uso di alcune varietà di lupino quale sostituto del caffè continua ad incontrare il favore di non pochi consumatori particolarmente attenti alle peculiarità nutraceutiche di questo legume che ha nel riconosciuto “Caffè di Anterivo (“Altreier kaffee” in tedesco, che è ottenuto dal Lupinus pilosus) la sua ben nota punta di diamante ed è parte integrante della memoria collettiva di questa località altoatesina. Per ritornare al fronte per così dire marino dopo la digressione montana, una breve segnalazione – che riportiamo integralmente – spetta di diritto al Lupino selvatico (Lupinus angustifolius – Vasoleddu ‘e marzane nell’idioma locale) i cui semi  – apprendiamo da uno studio dell’Università di Sassari che approfondiremo a breve – “venivano utilizzati come surrogato del caffè. E’ considerato pericoloso per il bestiame che se ne ciba in quantità. E’detto anche Lupinu”.

Un piccolo tassello, anche questa citazione, di una tradizione “lupinesca” che intriga e induce a segnalare immediatamente la fonte, molto autorevole, da cui abbiamo tratto queste righe: Ignazio Camarda (Istituto di Botanica Università di Sassari), Ricerche etnobotaniche nel Comune di Dorgali (Sardegna centro-orientale) – Bollettino Società Sarda di Scienze Naturali 27: 1990, p. 147-204.

Giunti in questo contesto naturale tanto affascinante e ricco di storia e tradizioni spesso ataviche che tendono a confondersi e comunque si innervano reciprocamente fra mare e montagna, crediamo lecito sospettare – per meglio dire augurarsi – qualche altra sorpresa in ordine all’utilizzo di sostituti/succedanei del caffè.

La ricerca etnobotanica citata – resa possibile dalla collaborazione molto attenta e qualificata di numerosi anziani di Dorgali che hanno consentito importanti conoscenze dal punto di vista medicinale, magico, alimurgico, agrario, naturalistico e artigianale – pur nella sua stringatezza ed austerità anche lessicale, ci sembra sollevi il velo, ricordandone l’importanza e la validità sia storica che culturale, su abitudini di vita significative quanto peculiari di questo territorio.

E’ il caso della pianta più iconica della zona, la Suerza, la quercia da sughero: la Sughera, al femminile, come viene definita nell’ambiente, che è un po’ la “mamma” per antonomasia delle piante sarde. Resiliente, come usa dire oggi, al massimo grado e tenace nel dare frutti (il sughero) reiterati negli anni, base e sostegno di attività artigianali e industriali antiche ed anche modernissime che spesso profumano perfino di arte.

“Le ghiande della sughera – Quercus suber, in italiano quercia da sughero, in sardo Suerza n.d.r. – venivano utilizzate – leggiamo nel testo dell’Università di Sassari – come surrogato del caffè ed erano ritenute anche più pregiate delle altre querce”. Il sughero, viene inoltre sottolineato, “era molto ricercato per fare recipienti (ispesales), adibiti agli usi più disparati (e) la scorza presente sotto lo strato suberoso, ricca di tannini, veniva raccolta per la concia delle pelli”.

A questo punto è bello immaginare, almeno ci sembra, che “mamma Suerza” abbia con le sue ghiande, infuse nel pentolino magari riscaldato con il carbone tratto dal suo stesso legno, da sempre pregiato ed utilizzato per il peculiare potere calorico, rifocillato ab immemore – è una suggestione di chi scrive – stuoli di pastori e uomini della montagna portatori di una civiltà agro-pastorale antichissima che cerca di resistere come meglio può.

Ma il capitolo delle ghiande utilizzate, a parere nostro, anche e non solo in sostituzione del caffè, non è finito. In quanto deve ancora fare il suo ingresso il Leccio – Quercus ilex, Eliche nell’idioma locale – la pianta più diffusa e conosciuta nel territorio di Dorgali e come tale ben presente nei fitotoponimi registrati nello studio che sostanzia queste note.

Le ghiande del leccio si utilizzavano come surrogato del caffè: si tostavano al forno, si macinavano e quindi si mettevano in infusione”. Il riferimento alla tostatura al forno si deve all’ampio uso della preparazione anche casalinga del pane, sia tradizionale che del ‘carasau’ tipico dei pastori. “Con il legno – precisa il testo universitario – veniva preparato un ottimo carbone, ma soprattutto si utilizzava come legna da ardere. Il legname idoneo era usato per costruire diverse parti del carro a buoi. La corteccia, ricca di tannini, si utilizzava per la concia delle pelli”.

Finiamo con un’ultima piccola curiosità, l’utilizzo dell’Artemisia arborescente (Artemisia arborescens, in sardo Atetu), o Assenzio aromatico, sempreverde perenne dalle foglie aromatiche bianco-argentee: “L’infuso ottenuto dalle varie parti aeree della pianta si beveva per combattere il mal di testa. Per lo stesso motivo si metteva un rametto nel caffè”.

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