Andrej Godina ritorna su questo pagine con il quarto articolo dedicato a come creare maggiore consapevolezza del caffè in Italia. Secondo l’esperto, è necessaria una coesa azione di filiera che coinvolga tutti gli attori, dalle associazioni del settore, compresa la Fipe, ai giornalisti, con l’obiettivo di scardinare l’unico prezzo del caffè nel bar.
In secondo luogo, continua Godina, bisogna aprire un nuovo canale di vendita della bevanda che passi attraverso le migliaia di enoteche presenti sul territorio nazionale.
Il motivo? Godina afferma che i negozi di vino sono luoghi ideali dove l’abbinamento di un’offerta di caffetteria e di caffè per l’asporto troverebbe un pubblico già attento e predisposto alla scoperta di questa merceologia. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.
Come creare maggiore consapevolezza del caffè in Italia
di Andrej Godina
MILANO – Come creare maggiore consapevolezza del caffè in Italia? Il quarto passo riguarda l’intera filiera di produzione del caffè, compresa la Fipe, per sdoganare l’aumento del prezzo dell’espresso e la vendita del caffè nelle enoteche.
Uno dei più grandi problemi della filiera del caffè in Italia che è necessario smontare per favorire un rinnovamento è quello dell’unico prezzo del caffè al bar. Nel corso del secolo scorso, da quando nei bar si è iniziato a servire l’espresso, ordinato e erogato al momento, il prezzo della bevanda al banco ha subito un lento e inesorabile livellamento che ha portato il consumatore a percepire una totale indifferenziazione di prodotto.
Il bar oggi vive una situazione di estrema difficoltà economico-finanziaria dovuta a una serie di motivazioni trasversali tra cui l’unico prezzo di vendita del caffè e la mancata formazione dei gestori a fare impresa, argomenti che a mio parere coinvolgono in modo importante le associazioni di categoria.
Generalmente il gestore del bar tradizionale non ha alcuna formazione imprenditoriale e nessuna preparazione sui prodotti che vende.
In media circa un terzo del fatturato dei bar è costituito dalla vendita del caffè, quindi ci si aspetterebbe che su questo prodotto il gestore abbia consapevolezza del food cost, competenze di assaggio e che abbia scelto il caffè da servire per la sua qualità decidendo il prezzo di vendita in base al modello di business della sua attività. Ahimè, tutto questo non c’è.
Ad aggravare la situazione c’è il prezzo di vendita: non sono ancora riuscito a trovare nessuno che mi possa spiegare come mai il caffè espresso è venduto al bar ad un prezzo che non tiene conto dei costi di gestione del locale, che non tiene conto della qualità del caffè, che non tiene conto della formazione professionale del barista.
Infatti è possibile consumare allo stesso prezzo un caffè espresso 100% Arabica, a volte addirittura Specialty, ben preparato e dall’ottimo flavore in un bar nel centro storico di una grande città, così come consumare un caffè di una miscela con tanta Canephora, di bassa qualità, magari dal flavore difettato ed estratto male da personale non formato, in una periferia di una piccola città.
Si tratta di una vera e propria ingiustizia che colpisce sia il gestore del bar, il barista e alla fine della filiera anche il consumatore! Se ciò non bastasse la singola porzione di acqua dei 500 ml in bottiglia costa di più della singola porzione di espresso.
Ma come è possibile? L’acqua non ha aromi, non ha gusti, non ha la dose di caffeina, non ha bisogno di essere “preparata ed erogata al momento” e costa di più del caffè che proviene da piantagioni distanti decine di migliaia di chilometri, necessita di quasi un anno per la maturazione dei frutti sulla pianta, viene raccolto a mano, tostato in Italia ed erogato al momento.
In questo contesto non sono ancora riuscito a spiegare l’atteggiamento delle associazioni di categoria del mondo dell’horeca, come per esempio la Fipe, che sembra quasi criticare ogni azione che può portare a un aumento del prezzo del caffè.
Ricordo ancora l’apertura della Roastery di Starbucks Reserve a Milano quando usci la notizia sulla stampa del prezzo a cui il caffè sarebbe stato venduto, ovvero di 1,8 euro.
In quell’occasione sarebbe stato opportuno cavalcare l’onda e approfittare degli investimenti in comunicazione e marketing di un grande gruppo per cercare di alzare il prezzo della bevanda.
Tutto il personale di Starbucks, prima dell’apertura del locale, ha frequentato un corso di formazione sul caffè che è durato tre mesi, direi un esempio virtuoso da replicare sulla filiera.
Per esempio sarebbe sensato introdurre un corso di caffetteria obbligatorio a tutti i dipendenti dei 150.000 bar italiani.
Su questo punto credo fermamente che i gestori dei locali dovrebbero avviare una vera e propria rivoluzione francese chiedendo a gran voce con il fuoco e i forconi un profondo cambiamento di atteggiamento delle associazioni che li rappresentano e pretendere azioni di aiuto nei loro confronti, come per esempio l’organizzazione di corsi di aggiornamento alla professione imprenditoriale per migliorare la gestione economica delle attività.
Riflettendo ancora sull’unico prezzo del caffè credo che questo rappresenti l’unico esempio di un prodotto consumato giornalmente che viene venduto a un prezzo indifferenziato.
Questa indifferenziazione non aiuta gli attori sulla filiera, in primis il torrefattore che non riesce a far percepire ai suoi clienti la differenza di flavore rispetto ai prodotti della concorrenza, in secondo luogo il gestore del bar che non riesce a costruire il suo margine di profitto in base al singolo food cost, al terzo posto il barista a cui non viene riconosciuto un adeguato stipendio in quanto il fatturato del caffè non produce un profitto sufficiente, al quarto posto il consumatore che non percepisce le differenze qualitative di prodotto offerto dai diversi bar.
È quindi compito del comparto degli esercizi pubblici fare fronte comune intraprendendo un’azione forte di comunicazione nei confronti dei loro clienti per spiegare e motivare la necessità di una differenziazione di prezzo, di marca del caffè e di flavore in tazza.
Per andare in questa direzione sarebbe utile ridisegnare il vecchio schema di distribuzione del caffè e svincolare i bar dai contratti in esclusiva, copiando ciò che ha già fatto la filiera del vino.
Il vino è venduto nelle enoteche e nei ristoranti anche dalle distribuzioni che offrono ai locali una vasta gamma di prodotti diversi: è il gestore del locale che sceglie i prodotti che più si adattano al tipo di clientela e alla capacità di spesa.
Se il bar fosse libero di compare le referenze di prodotto più adatte ai suoi clienti acquisterebbe in autonomia l’attrezzatura, sarebbe più consapevole della differenza qualitativa di prodotto tra le diverse torrefazioni e avrebbe un diverso approccio alla formazione del personale.
In questo scenario le torrefazioni sarebbero maggiormente invogliate e incoraggiate a differenziare i loro caffè e a specializzarsi in storytelling di prodotto più mirati e specifici. Infatti, se analizziamo l’offerta media della torrefazione italiana, alla fin fine, si tratta di cataloghi molti simili: 5-6 miscele differenti, tutte con le stesse % di Arabica e Robusta, a volte sostanzialmente uguali di flavore.
Ho menzionato le distribuzioni dei vini per introdurre anche un altro argomento, le enoteche. I negozi di vino sono i luoghi ideali dove l’abbinamento di un’offerta di caffetteria e di caffè per l’asporto troverebbe un pubblico già attento e predisposto alla scoperta di questa merceologia.
I frequentatori delle enoteche sono persone formate al riconoscimento del flavore, hanno una grande dimestichezza alla descrizione della filiera di produzione fatta di varietà botaniche, regioni di produzione, processi di lavorazione e affinamento del vino e sono disponibili a pagare un prezzo differenziato e a volte elevato per ottenere un prodotto di alta qualità.
Nelle enoteche è facile introdurre un angolo caffetteria con un’offerta di caffè differenti e diffondere un nuovo stile di consumo. Per fare questo è necessario un coinvolgimento delle aziende che distribuiscono vino e la disponibilità a offrire un’offerta variegata di caffè da parte della torrefazione.
Le enoteche potrebbero essere la testa d’ariete che permetterebbe di scardinare l’ormai obsoleto sistema di distribuzione del caffè al bar, quello dove il barista non sceglie il prodotto ma piuttosto acquista i servizi accessori offerti dalla torrefazione.
La filiera del caffè, facendosi conoscere in una nicchia di consumatori già predisposti alla differenziazione, farebbe un notevole passo evolutivo che permetterebbe di innalzare il valore percepito del prodotto e una maggiore e migliore conoscenza della filiera di produzione.
In conclusione di questo quarto articolo le parole chiave che riassumono le azioni da mettere urgentemente in campo sono una coesa azione di filiera che coinvolga tutti gli attori per scardinare l’unico prezzo del caffè nel bar con un coinvolgimento attivo dei giornalisti, svincolare il gestore del bar dall’esclusività di fornitura rimuovendo i servizi accessori offerti dalle torrefazioni, apertura di un nuovo canale di vendita della bevanda che passi attraverso le migliaia di enoteche presenti sul territorio nazionale”.
Andrej Godina