MILANO – Gli stili dell’espresso sono tanti, soprattutto se si guarda all’Italia: la tazzina di Napoli è la stessa di quella che si serve nei bar di Trieste? A dare una risposta esaustiva e soprattutto basata su competenze concrete, l’Istituto espresso italiano, insieme all’Istituto internazionale assaggiatori caffé.
Gli stili dell’espresso spiegati in maniera scientifica
Vi siete mai chiesti perché, trattando di caffè, sia così bello parlare di monorigini e perché le denominazioni di origini dei vini in Italia stiano passando dal nome del campanile al nome delle regioni?
Forse non tutti tra le due cose ravvisano un collegamento immediato, ma c’è, è molto forte e va nel segno del futuro. Narrare un prodotto attraverso l’origine significa proiettare il consumatore in un mondo diverso da quello in cui vive e farlo sognare nell’esplorazione di luoghi nuovi.
Ma nel caso del caffè significa portarlo all’estero, perché da noi non si coltiva: questo è bellissimo, ma giova poco alla nostra cultura e all’arte dell’espresso italiano, o meglio, giova solo nella misura in cui serve a spiegarla.
L’Istituto espresso italiano, insieme all’Istituto internazionale assaggiatori caffé, attraverso una poderosa ricerca, ha classificato gli stili dell’espresso italiano in funzione delle loro caratteristiche sensoriali. Ma le differenze sono percepibili dal consumatore?
Tratto dall’articolo Gli stili dell’espresso italiano sul banco di prova a firma di Luigi Odello e Gian Paolo Braceschi pubblicato su L’Assaggio n.70 ottenibile in pdf iscrivendosi al link:
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