Giuseppe Lavazza, 57 anni, già vicepresidente della multinazionale del caffè, è stato nominato presidente dell’azienda di famiglia. Si tratta di un passaggio di testimone che porterà la realtà simbolo del made in Italy in una nuova fase della sua storia. Nel giro di poco più di un decennio l’azienda ha raddoppiato i ricavi: da un miliardo del 2011 a 2,7 miliardi di oggi, soprattutto dovuto all’espansione all’estero, che adesso vale il 70% del fatturato.
L’ambizione del nuovo presidente ora è quella di puntare ai fatidici 4 miliardi di euro. Leggiamo di seguito parte dell’intervista Christian Benna pubblicata sul Corriere della Sera.
Presidente Lavazza il passaggio generazionale è ancora un momento critico per le aziende di famiglia?
“Nel nostro caso si tratta di un passaggio generazionale che è stato preparato a lungo e poi è stato formalizzato sul principio dell’alternanza tra i due rami della famiglia. Questo passaggio in realtà è una conferma. La conferma di un modello di governance che, nella sua estrema semplicità, attraverso le generazioni, è riuscito a generare coesione, sviluppo e attenzione per il territorio. Un modello di azienda di famiglia che ci teniamo stretti e su cui non smettiamo di lavorare”.
Si dice che la prima generazione costruisce, la seconda sviluppa, e la terza distrugge.
“La nostra terza generazione è stata fantastica. È riuscita a traghettare l’azienda negli anni più complicati, alla fine degli anni Settanta, riuscendo a trovare risorse che ci hanno permesso di crescere e fare il salto dimensionale. Noi che rappresentiamo la quarta generazione dobbiamo dimostrare di essere all’altezza”.
Come può crescere nel tempo un’azienda familiare? Tanti imprenditori stanno vendendo le aziende di famiglia.
“L’armonia e la coesione sono valori. Mai prevaricare. Bisogna capire che l’impresa è sì una proprietà ma fino a un certo punto. In realtà l’azienda familiare è un progetto che va oltre le aspirazioni e le ambizioni dei singoli. Perché la famiglia va avanti nel tempo, così di pari passo l’azienda, il territorio e le comunità di riferimento. Insomma lo sguardo deve andare più lontano”.
L’azienda di famiglia che funziona è affidata a manager esterni?
“Come azionisti abbiamo definito molto bene il nostro ruolo delegando l’operatività a manager, come il nostro ceo Baravalle. Abbiamo allocato risorse importanti, circa 2 miliardi, che dal 2015 abbiamo investito nell’azienda promuovendo una campagna di acquisizioni che non si è mai fermata, scelte che non erano scontate. L’azienda ha raddoppiato i ricavi nel giro di pochi anni: da un miliardo del 2011 a 2,7 miliardi di oggi, grazie soprattutto all’espansione all’estero, che adesso vale il 70% del fatturato. L’ambizione ora è puntare a 4 miliardi”.
Lavazza ha scelto di presentarsi nel mondo con il brand Torino nel logo aziendale.
“Una scelta non casuale: Lavazza, Torino, Italia, 1895. Non solo perché siamo orgogliosamente torinesi, investiamo a Torino e rispettiamo il nostro territorio, ma perché auspichiamo che la nostra crescita dipenda anche dallo sviluppo di quest’area. Ecco perché siamo rimasti a Torino, abbiamo investito in un nuovo quartier generale (la Nuvola), nel museo, la centrale in cui promuoviamo eventi (dalle Atp ai concerti) e l’alta gastronomia grazie al ristorante stellato Condividere”.
I Lavazza sono i nuovi Agnelli di Torino? Dinasty imprenditoriale a cui tanti torinesi guardano per scelte di leadership e sviluppo del territorio?
“Noi siamo noi e con i nostri progetti vogliamo dare un contributo ed essere un motore positivo. Soprattutto non siamo gli unici perché ci sono tante famiglie industriali in questa città che sanno lavorare molto bene. Torino si è un po’ ingrigita, ma siamo convinti che presto potrà tornare ad avere quella bellezza che l’ha sempre contraddistinta”.
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