TORINO – Tutto è cambiato con l’arrivo del virus, a partire dall’ingresso dentro le aziende: è così che, per entrare dentro la nuova unità produttiva di Lavazza, la Factory 1895 che abbiamo abbondantemente esplorato di persona, si passa attraverso la misurazione della temperatura. Un piccolo prezzo da pagare per apprezzare questo imponente risultato di un investimento nel segmento alto di gamma, dove le miscele speciali sono poche, ma buone e personalizzate.
Un passo che dimostra ancora una volta che Lavazza c’è e non si ferma, pur rispettando le dovute distanze. Così come la partecipazione di Giuseppe Lavazza il 30 ottobre, all’apertura del Family Business Festival, in un’edizione in streaming e senza pubblico se non quello online. Qui il programma degli incontri della giornata. Leggiamo il suo intervento da corriere.it, l’articolo di Maria Silvia Sacchi.
Giuseppe Lavazza: alle sue spalle c’è lo stabilimento di caffè più grande d’Europa
Quello che ha portato il gruppo a essere uno dei maggiori del settore, con 2,2 miliardi di fatturato. Nonostante il periodo difficile, insomma, nessun progetto è stato fermato o rallentato. «Anzi — dice Giuseppe Lavazza, vice presidente del gruppo piemontese — abbiamo continuato a tenere la barra dritta, determinati a investire a 360 gradi, anche perché eravamo nella condizione di potercelo permettere. Nel pieno rispetto di tutte le norme di sicurezza, il nostro settore ha potuto continuare a lavorare anche durante il lockdown e la pandemia ha trovato la nostra azienda pronta grazie agli eccellenti risultati finanziari degli ultimi anni e grazie al fatto che la famiglia ha sempre deciso di reinvestire nell’azienda. Questo è uno dei benefici di essere un’impresa familiare».
Quote di mercato
Le linee di sviluppo poggiano sulla strategia impostata da tempo: crescita per linee interne, che rappresenta l’architrave dell’azienda, ma anche per linee esterne, attraverso acquisizioni. Il mercato del caffé è nel pieno di un processo di consolidamento a livello mondiale, «abbiamo cercato di cogliere le opportunità che si sono create e abbiamo acquisito aziende in Francia, in Danimarca, negli Stati Uniti, in Canada. E siamo sempre pronti a valutarne altre. Volevamo e vogliamo accelerare la crescita e spesso solo un’acquisizione ti consente di prendere quote di mercato che, partendo da zero, non potresti avere».
Purtroppo la situazione sanitaria è di nuovo peggiorata, generando nuovi, grandi, timori.
Giuseppe Lavazza: «Siamo pronti a reagire, come fatto la scorsa primavera. C’è un aspetto che mi ha fatto riflettere del periodo che stiamo vivendo. Come azienda, come famiglia, siamo da sempre attenti ai dipendenti e al territorio nel quale operiamo, ma il Covid ci ha spinto a fare approfondimenti maggiori sul welfare che offriamo, stiamo studiando interventi perché sia ancora più evoluto». Eppure Lavazza, come altre aziende, non è stata ferma nella prima ondata di Covid.
Una donazione di 10 milioni per gli ospedali e le fasce più deboli della popolazione piemontese. Un investimento di 15 milioni di euro «per poter assicurare la continuità aziendale senza far rischiare nulla a nessuno». L’integrazione della cassa integrazione per i soli reparti produttivi — «pochi», precisa il vice presidente — costretti a fermarsi, perché legati al consumo fuori casa, per esempio le caffetterie. Premi a chi è andato a lavorare nonostante la pandemia, assicurando le produzioni. Nessun licenziamento, ma anzi alcune assunzioni.
Giuseppe Lavazza:«Eravamo nelle condizioni economico-finanziarie per fare una cosa del genere perché l’azienda nel 2019 ha avuto un anno record»
«E anche il 2020 era partito benissimo. Ed eravamo super attrezzati nell’organizzazione — grazie a una squadra manageriale di primo piano — a cui avevamo lungamente lavorato negli anni precedenti. Tutte cose che ci sono tornate utilissime nel momento in cui la situazione è precipitata, perché è vero che noi abbiamo continuato a lavorare, ma è anche vero che una grossa parte dei nostri clienti ha chiuso: i bar, i ristoranti, gli alberghi, piuttosto che semplicemente il consumo dei caffè negli uffici, che per noi rappresenta una parte importantissima del nostro business e che improvvisamente è stata cancellata».
Eppure, c’è qualche cosa di più. «L’emergenza sanitaria ha fatto emergere bisogni nuovi a cui, come imprenditori, vogliamo dare risposta — dice Giuseppe Lavazza —. Pensiamo a una famiglia in cui una persona si ammala e deve essere assistita. Stiamo ragionando su quali azioni mettere in campo. Intanto, a breve presenteremo un importante progetto sulla gender equality».
Tutto il dibattito sullo smartworking e sulla scuola a distanza ha messo l’accento sulla condizione delle donne, ancora quasi sempre le uniche in famiglia a destreggiarsi tra la cura domestica e il lavoro fuori casa. Anche in Lavazza sono andati tutti in smartworking non appena è arrivato il lockdown.
«Devo dire che anche su questo fronte ci siamo fatti trovare pronti perché eravamo già attrezzati: lo smartworking era una policy che avevamo introdotto in azienda da un paio d’anni e nel nostro nuovo centro direzionale abbiamo un’infrastruttura tecnologica molto avanzata che ci ha permesso, nel momento del bisogno, di continuare a essere collegati a lavorare come se fossimo tutti sostanzialmente nella sede».
All’inizio del lockdown quasi il 100% dei dipendenti ha lavorato in remoto, mentre a partire da giugno si è tornati poco per volta in fabbrica e oggi la quota di lavoro flessibile è attorno al 30%.
Riflessioni
Non è però a questo che Lavazza pensa quando parla di un welfare aziendale più evoluto. Come molti imprenditori ha un’idea del lavoro flessibile e in remoto non assoluta. «La nostra è un’azienda che può certamente lavorare in smartworking — dice —, ma questo non significa che sia un dovere né tantomeno un vantaggio. Le stesse persone manifestano perplessità nei confronti di un lavoro continuamente spostato dall’ufficio a casa. Questo non vuole dire che quando sarà possibile tornare alla normalità abbandoneremo questa forma di lavoro, per molti è importante e non è un caso che l’avessimo introdotta con molto anticipo. Quando parlo di welfare intendo un ascolto più profondo dei bisogni dei dipendenti e della società. Stiamo arricchendo il nostro sistema di sostegno».
Dal lockdown di primavera resterà sicuramente all’azienda un diverso modo di lavorare
Giuseppe Lavazza: «Tutti abbiamo scoperto che possiamo farlo a distanza, risparmiando tempo e denaro per gli spostamenti e facendo correre meno rischi alle persone. Questo avrà sicuramente un impatto forte sull’organizzazione delle aziende e sull’economia più in generale».
Non si corre il rischio tra lavoro in remoto e riunioni via Zoom o via Teams di disperdere i codici aziendali che sono uno dei valori dell’impresa? «È fondamentale che tutto si bilanci, noi siamo maestri nel miscelare e speriamo di riuscire a farlo bene anche nell’organizzazione perché il risultato sia un valore aggiunto positivo e non sottrattivo. Questa sarà la sfida a cui dare risposta».