TRIESTE – Nuovo appuntamento con i contributi presentati a Trieste Coffee Experts. In primo piano, questa volta, Giuseppe Biffi, Digitalization Business Development Manager di Siemens: tema trattato, quello della digitalizzazione dei processi industriali. Titolo inglese della presentazione: “Thinking industry further! Digitalization for manufacturing”.
In Siemens mi occupo di digitalizzazione industriale e di industria 4.0, quindi penso di essere l’unica persona in questa sala che non è un coffee expert, tuttavia sono qui grazie all’invito della famiglia Bazzara e, soprattutto, per una questione di “contaminazione”: parola che ho visto comparire sul materiale distribuito.
Contaminazione significa prendere quello che di buono troviamo in altri ambiti, in questo caso industriali/produttivi, e cercare di trarne qualche beneficio per il nostro business.
Quello che cercherò di fare è proprio questo: condividere con voi un po’ di idee.
Siemens, come sapete, opera praticamente in tutti i mercati industriali, anche e soprattutto nel mondo dell’alimentare ed in particolare nel mondo del caffè. Quindi, cercherò di trarre un po’ di sintesi da quello che noi abbiamo visto in questi ambiti, sperando che sia interessante per voi.
Non vi presenterò la mia azienda perché è molto complesso e richiederebbe tanto tempo. Vi basti sapere che siamo circa 380 mila persone presenti in tutto il mondo con 83 miliardi di fatturato, ma la cosa più interessante secondo me è la capacità di investimento in ricerca e sviluppo di Siemens.
Noi investiamo qualcosa come quasi 6 miliardi di euro ogni anno in ricerca e sviluppo: praticamente il fatturato di alcuni nostri competitor. Quindi la capacità di fuoco su tutte queste tecnologie come realtà aumentata, cybersecurity, intelligenza artificiale e quant’altro, è veramente notevole e importante. Questo è un trend che noi continueremo a portare avanti anche nei prossimi anni con attenzione.
La digitalizzazione cambia tutto, stiamo vivendo un momento di trasformazione e gli osservatori internazionali sono tutti allineati su questo tema.
È giusto dunque che le aziende prendano consapevolezza di quello che sta accadendo.
C’è una differenza in quello che noi come Siemens osserviamo rispetto al cliente, e quando parlo di cliente io mi riferisco sia al consumatore finale sia al cliente business, quindi aziende con cui collaboriamo (alcune di esse sono elencate tra gli sponsor di oggi).
Il cliente digitale è diverso rispetto al cliente tradizionale perché è impaziente: se ci pensate, anche voi quando acquistate un servizio digitale pretendete che sia attivo subito; poi il cliente digitale è connesso, ossia è informato di tutte le possibili opzioni di una offerta o di un prodotto, le trova su internet e in poco tempo. Proprio perché il cliente digitale è impaziente e connesso, è anche infedele, cioè ci mette poco tempo a cambiare idea e a rivolgersi a qualcun altro, cosa assolutamente lecita ma che in passato accadeva meno facilmente.
Tutto questo determina degli input per le aziende che utilizzano beni di consumo.
La velocità sta non tanto nella produzione ma nella trasformazione di qualcosa di vendibile in un’idea: si chiama “time to market” in lessico. Flessibilità: anche qui non tanto seguire la stagionalità del prodotto, o non solo seguire una stagionalità, ma seguire per esempio la capacità di produrre lotti sempre più piccoli e con cambi di produzione quindi molto frequenti.
Efficienza: non sto nemmeno a dirlo, ne avete parlato anche voi nei precedenti interventi. Spesso si parla di nuovi business models: le aziende cercano nuovi modi per vendere e promuovere i propri prodotti, ad esempio macchine e impianti, e si parla di servizitizzazione sempre più spesso.
Ambiente e salute sono due temi attualissimi, l’ambiente in particolare, la sicurezza e la security intesa come sicurezza informatica e qui si potrebbe aprire un altro capitolo sulla cybersecurity anche in ambito industriale.
Questo determina la trasformazione attraverso alcuni strumenti tecnologici, dove Siemens realizza tecnologia per l’industria, che in buona parte sono stati già applicati e ricadono sotto il capitolo appunto industria 4.0.
La domanda non è tanto se la tecnologia ce la fa a soddisfare un requisito come quello della flessibilità o del time to market.
È già provato che in molti mercati questo è già oggi realtà. La domanda da farsi è se questo è sostenibile con il modello economico di quel prodotto. Per un’auto da 90 mila euro ci sono certi margini, per un prodotto da 60 euro un po’ meno, per prodotti come la tazzina di caffè che costa circa un euro è tutto ancora da vedere.
Per quello che riguarda il mondo del food & beverage, dell’alimentare, queste sono le sfide che ci vengono messe di fronte: la necessità di realizzare impianti e metterli in servizio in modo sempre più veloce e sempre più efficiente con meno sorprese possibile, quindi il commission in time deve essere abbattuto, e ci deve essere la capacità di produrre lotti piccoli.
Si parla addirittura di lotti size-one, ad un pezzo unico: può essere un po’ estremo ma in qualche mercato può avere anche senso. Qual è la risposta a questo tipo di esigenza? In estrema sintesi, secondo Siemens è la combinazione di due mondi: il mondo reale, quello dell’automazione, dei motori, della meccanica che muove i nostri impianti, le nostre macchine, e quello virtuale che è fatto di software, bit e bite, quindi qualcosa di intangibile ma molto importante che è quello che mi permette, ad esempio, di studiare un elemento utilizzando il cosiddetto “digital twin”.
Qualcuno forse ne ha sentito parlare: un digital twin di un impianto, di una macchina o di un processo è una rappresentazione digitale accurata, anzi accuratissima, per questo si parla di gemello, di quella parte di impianto che io intendo studiare.
Perché mi interessa farlo?
Perché come dicevamo prima io non voglio sorprese. Io voglio sapere dall’inizio a cosa vado incontro quando realizzo un nuovo sistema, un nuovo impianto, una nuova macchina. E voglio anche poter leggere dei dati da questo impianto, da questa macchina. Il dato, il software è l’elemento collante che tiene insieme tutte queste caratteristiche, questi passi.
Mi fermerei qua con la teoria. Preferisco riportare qualche caso pratico che abbiamo realizzato, proprio quando si parla di simulazione con il digital twin. Per esempio la possibilità di realizzare un’intera fabbrica, un intero impianto da un punto di vista abbastanza alto: stiamo infatti parlando di studio di flussi di materiali.
In una linea di confezionamento mi interessa capire dove ci sono colli di bottiglia, dove ci sono dei punti critici del mio processo, perché non voglio, appunto, scoprire quando ho già realizzato il mio nuovo impianto o quando ho modificato un impianto già esistente, che ho sbagliato il progetto, ho sbagliato il layout.
In questo modo io riesco non solo a rappresentarlo in modo digitale ma a farlo proprio funzionare, anche in modo accelerato se voglio, e riesco a simulare la produzione di tre settimane di attività dell’impianto in pochi minuti. In questo modo vedo se il mio impianto soddisfa i requisiti di produttività che mi sono dato come obiettivo. Fra le altre cose, lo posso collegare ai software gestionali che governeranno l’impianto una volta che questo sarà realizzato.
Quindi posso letteralmente comandare un simulacro, un gemello digitale del mio impianto senza aver neanche fatto una saldatura o senza aver messo un mattone sopra un altro.
Ma se io aumento un po’ il fattore di ingrandimento della lente, vado a guardare non più l’intero impianto ma magari una parte, una parcella dell’impianto. In questo caso è un impianto di pallettizzazione. Posso fare delle simulazioni ancora più dettagliate: ho dei robot, ho dell’automazione, potrei anche avere solo degli umani che svolgono delle confezioni di confezionamento, per esempio.
Posso modellizare tutto questo: se è un robot attraverso quello che il fornitore del robot mi mette a disposizione come libreria, se è un umano ho un modello simulato di comportamenti umani che posso mettere a punto. Posso, quindi, stabilire se quella cella di lavorazione è adeguata a supportare i flussi che deve lavorare (magari è un assemblaggio, un confezionamento manuale).
Se raddoppio i robot o raddoppio le persone, raddoppio anche la produttività o si intralciano? Sono queste le domande a cui cerchiamo di rispondere. Cosa accade se su una linea mi si guasta una parte dell’impianto o mi scioperano una parte dei dipendenti o se i mulettisti improvvisamente smettono di lavorare?
Posso sostenere la produzione?
Aumentando ulteriormente il livello di zoom della mia lente di ingrandimento, posso andare a studiare addirittura una parte del processo. Qui ho scelto una referenza nell’ambito del caffè che abbiamo realizzato con la Petroncini.
Qui siamo andati a studiare una parte precisa del processo di tostatura e l’abbiamo fatto (e non entro troppo nella tecnologia) utilizzando uno strumento che raggruppa al suo interno qualcosa come 6 mila equazioni matematiche, quelle che si studiano alla facoltà di ingegneria dell’automazione che, in questo caso, combino tra di loro per rappresentare tutte quelle che sono le parti critiche di un impianto di tostatura: il ventilatore, le valvole, il bruciatore, addirittura i chicchi di caffè.
Questo mi permette di fare che cosa?
Di simulare il processo di tostatura, senza dover realizzare il prototipo fisico della macchina ma sfruttando appunto queste matematiche che vado solo a parametrizzare, non le creo io, me le mette già a disposizione lo strumento.
Quindi ottengo dei grafici, in questo caso un grafico che rappresenta la temperatura, ma soprattutto mi permette di analizzare diversi scenari: questa è una tostatrice realizzata secondo 5 varianti costruttive, ognuna delle quali produce degli effetti in termini di consumo energetico.
Si vede che le diverse varianti progressivamente migliorano il consumo energetico della tostatrice, ancora una volta senza fare una saldatura, senza comprare un componente, ma studiando con uno strumento evoluto (il digital twin) il mio processo.
Non devo studiare tutta la fabbrica, studio quello che mi interessa, nello specifico, la parte di tostatura. Passando ad un altro argomento totalmente diverso, si sente parlare molto spesso di realtà aumentata, questa nel filmato è un’applicazione reale di realtà aumentata: si vede che si sta inquadrando una macchina, in questo caso una confezionatrice.
Realtà aumentata significa che io aumento la realtà: sovraimprimo delle immagini alle immagini reali.
Un po’ come in una partita di calcio: vedo i risultati, i rigori, gli espulsi, e sotto vedo la partita vera. Quindi non è realtà virtuale. In questo caso è un’applicazione di manutenzione, chiamiamola 4.0, su una macchina dove l’operatore viene guidato nella diagnostica di guasti sulla linea o sulla macchina stessa.
Quindi, per esempio, questo componente elettronico non esiste in realtà, è il sistema che lo sovraimprime all’immagine reale per spiegare all’operatore che cosa deve fare. Ad esempio, magari deve sostituire dei componenti o deve fare delle operazioni di cablaggio o di ricablaggio o deve fare dei test, ecco lui viene guidato attraverso questo sistema che è wireless, si sposta in giro per la fabbrica, queste sono le istruzioni di cablaggio e riconnessione che lui deve svolgere per risolvere un problema pratico in fabbrica.
È un’applicazione funzionante, esistente, non è un prototipo e alcuni clienti la stanno usando proprio in questo modo.
Non ci sono gli occhialoni, quelli che si vedono in qualche video su youtube, ma è un dettaglio implementativo: quello è un tablet industriale e se io proietto sugli occhialoni anziché sul tablet ho esattamente lo stesso effetto. Passo invece ad un’ultima applicazione di cui volevo parlarvi.
Parliamo di intelligenza artificiale.
Non entro nello specifico di che cos’è perché anche qui ci vorrebbe un po’ di tempo. Ma anche questa è una linea di produzione al termine della quale c’è un ispettore a raggi x che ha il compito di individuare i difetti di produzione del prodotto che si muove su questa linea, nello specifico parliamo di schede elettroniche.
L’ispettore a raggi x è anche il collo di bottiglia di questa linea: immaginate che tutti i pezzi che passano, che potrebbero tranquillamente essere anche dei prodotti alimentari, gli ispettori a raggi x si usano anche per rilevare il vetro piuttosto che pietre, piuttosto che metalli all’interno delle confezioni che io poi dovrò vendere.
Il problema era: come risolvere questo collo di bottiglia degli ispettori a raggi x?
L’azienda, che poi vi dirò qual è, stava per comprarne un altro, ed è un prodotto che costa svariate centinaia di migliaia di euro, e abbiamo provato a valutare insieme un’alternativa e l’alternativa è la seguente: leggere dei dati critici dalla linea di produzione, relativamente ai prodotti che questa linea sta producendo, portare questi dati sul cloud, basati sul motore di intelligenza artificiale, per scoprire che non tutti i prodotti che passano su questa linea hanno effettivamente bisogno di essere trattati dall’ispettore a raggi x perché si è visto, analizzando i dati, che solo alcuni pezzi che avevano una certa storia produttiva che passava attraverso certi passaggi e con certi parametri, se ispezionati producevano un risultato KO.
Quindi una serie di esami che venivano fatti sull’x-ray erano superflui. In base a questo tipo di considerazione che ha richiesto un training del motore di intelligenza artificiale con tantissimi dati, siamo riusciti ad implementare una logica che decide all’uscita della linea se quel prodotto merita di essere esaminato sui raggi x oppure no.
Quindi la macchina è rimasta una, non ne abbiamo comprata un’altra, abbiamo ridotto del 30% il numero di test a raggi x, il quality rate, cosa fondamentale, non è cambiato, cioè, non è che ci siamo persi qualche pezzo con questa tecnologia.
Il quality rate è rimasto lo stesso di prima e abbiamo risparmiato 500 mila euro di investimento per un nuovo ispettore ottico.
L’azienda dietro tutto questo è il nostro peggior cliente ed è la Siemens.
Noi usiamo questa tecnologia nelle nostre fabbriche. Siemens non è solo produttore di tecnologia ma è anche il primo cliente interno, e vi assicuro che è un brutto cliente.
Qualche conclusione che si possono trarre da questi brevi esempi che ho fatto, ma soprattutto che traggo dalle innumerevoli attività che svolgiamo presso clienti: intanto, l’ha già detto Mauro Bazzara poco fa, sfatiamo questo mito che la tecnologia 4.0 è appannaggio delle sole grandi aziende.
Non è più così da diversi anni. Potremmo fare molteplici esempi anche di start up italiane che hanno usato questa tecnologia con profitto. Le tecnologie, per quanto possano esservi sembrate complesse o complicate, forse lo sono in qualche misura, ma la buona notizia è che sono testate e disponibili già oggi. Non abbiamo trattato qualcosa che arriverà: queste sono tutte cose che esistono e già sono anche referenziate in molti casi.
Un consiglio per la trasformazione digitale
Un consiglio che do alle aziende che decidono di intraprendere una trasformazione digitale è quello di pensare in grande, avere una visione di insieme del medio e lungo termine, ma partire dal piccolo con progetti un po’ più gestibili che diano un ritorno dell’investimento un po’ più rapido. E soprattutto, oggi posso forse ancora decidere se cavalcare l’onda della digitalizzazione oppure no, domani no.
Domani sarà praticamente un must adeguarsi e questo vale per tutti i mercati. Se non lo faccio rischio di essere un po’ come Blockbuster che è scomparsa e Netflix che è rimasta. In tutto questo è fondamentale non tanto il ruolo del tecnologo, ma il ruolo del manager, del proprietario dell’azienda. Se decide lui e se lui riesce a guidare questo cambiamento, allora sarà un successo.