domenica 22 Dicembre 2024
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Maurizio Giuli, Simonelli Group, al talk Comunicaffè di Sigep: “Nella nuova ondata il caffè avrà mille sfaccettature e non più limitato all’espresso”

L'esperto: "Più che un prodotto tout-court, il caffè sarà sempre più un ingrediente da abbinare ad aromi e ad altri ingredienti per creare nuovi modi e nuovi momenti di consumo. Questo trend è confermato anche da un recente report di Starbucks, secondo cui oltre i tre quarti delle vendite negli USA sono generate da bevande fredde, e dalle proiezioni di crescita dei cold brew e dei RTD che sono doppie rispetto al resto del mercato"

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Riportiamo di seguito l’intervento integrale che Maurizio Giuli, executive for corporate strategy Simonelli Group, attuale vice presidente dell’Ucimac – l’associazione dei costruttori italiani delle macchine per l’espresso – ha tenuto al convegno Comunicaffè durante il Sigep sull’importante tema del futuro del mercato con il settore, ripercorrendone la storia per riflettere sul presente e sulle prossime sfide della filiera. Leggiamo il suo intervento.

Il futuro del mercato del caffè

di Maurizio Giuli

RIMINI – “Vorrei ringraziare Sigep e Comunicaffè per avermi coinvolto in questa interessante tavola rotonda, il cui tema è il futuro del mercato del caffè, che in realtà esprime la domanda che ci facciamo tutti noi operatori del settore a cui però non è facile dare una risposta.

Più che azzardare assurde previsioni, vorrei in questa sede contestualizzare il tema all’interno della cornice evolutiva del settore del caffè. La domanda a cui vorrei rispondere è: “il passato può aiutarci ad interpretare il presente e leggere il futuro”?

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Conosciamo tutti l’evoluzione ad ondate che ha caratterizzato il mondo del caffè; ciò che è interessante da questa prospettiva è comprendere quali siano state le precondizioni della loro affermazione, le loro peculiarità con il relativo contributo, i fattori competitivi che hanno sancito il successo dei protagonisti, ma anche i fattori che ne hanno poi decretato il loro superamento aprendo la strada alla fase successiva.

L’analisi di queste dinamiche ci permetterà di meglio interpretare l’attuale contesto e di individuare i possibili scenari futuri. Per i vincoli di tempo che abbiamo, la rassegna sarà veloce ed estremamente sintetica, per poi soffermarci un po’ di più sul futuro”.

Giuli afferma: “Partiamo allora dalle origini dell’industria del caffè, quella che è stata denominata “first wave”. Essa trae origine da una serie di innovazioni tecnologiche del packaging avvenute nel periodo a cavallo fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, le quali hanno permesso di separare il luogo ed il momento della tostatura da quello del consumo”.

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Giuli continua: “Il caffè tostato si è così avvicinato al cliente e tutto ciò ha favorito una forte espansione della domanda. Lo stereotipo del cliente era rappresentato dalla massaia di mezza età, che acquistava il caffè per il consumo domestico.

La priorità degli operatori in questa fase era quella di rendere il prodotto accessibile all’acquirente, sia in termini geografici e sia in termini di convenienza, per cui i principali fattori competitivi erano il prezzo, il canale distributivo, lo shelf placement e la pubblicità.

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Tutto ciò ha spinto le aziende a perseguire economie di scala, favorendo la comparsa nei vari paesi dei primi grandi torrefattori nazionali, molti dei quali continuano ad essere protagonisti anche ai nostri tempi.

Questa prima ondata ha caratterizzato il settore fino agli anni ’60, fino a quando cioè i limiti endemici che contraddistinguevano questo modello hanno alimentato la sua degenerazione.

L’eccessiva attenzione al prezzo con la conseguente focalizzazione sui costi aveva innescato la cosiddetta “trappola del prezzo” per la quale il caffè era diventato una sorta di commodity e quindi scarsamente remunerativo tanto per i torrefattori quanto per i distributori.

Per recuperare margini di redditività i torrefattori avevano progressivamente fatto ricorso a caffè più economici con il conseguente degrado della qualità. Nel 1963, gli Stati Uniti hanno registrato per la prima volta nella loro storia una contrazione dei consumi pro-capite di caffè”.

Giuli spiega: “Nasce così la “second wave”, che a partire dalla metà degli anni ’60 segna l’evoluzione del settore nei decenni successivi e che introduce lo specialty. Questa ondata si caratterizza per la crescita del consumo fuori-casa (caffetterie) e per l’emergere di un pubblico diverso, quello dei giovani”.

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Giuli riflette: “I protagonisti dell’offerta non sono più i vecchi grandi torrefattori, ma nuovi players come “The Coffee Bean & Tea Leaf” (1963), “Peet’s Coffee” (1966), “Starbucks” (1971 etc. I nuovi fattori competitivi, resi evidenti dal decollo di Starbucks nel corso degli anni ’90, sono costituiti da una maggiore attenzione alla qualità, da nuove bevande a base di espresso (EBB), dalla localizzazione e dall’atmosfera del coffee shop.

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Anche questa fase però alimenta dei fattori che segneranno il passaggio all’ondata successiva, che sono: l’eccessiva attenzione all’espansione con la conseguente standardizzazione dell’offerta, il ricorso spinto all’automazione, la spersonalizzazione dei rapporti e la dissipazione del concetto di qualità del caffè”:

Giuli prosegue: “Tutto ciò ha stimolato l’avvento della third wave, che dalla metà degli anni ’90 si è diffusa nel corso dei due decenni successivi. In questa nuova fase l’accento è posto infatti sulla scoperta dei profili aromatici dei caffè di specialità anche attraverso i vari modi di estrazione, sulla tracciabilità delle singole origini, sull’artigianalità e su una ricerca maniacale della qualità che passa attraverso un servizio altamente qualificato”.

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Giuli incalza: “I migliori interpreti di questa ondata sono piccoli torrefattori e coffee shops indipendenti che incarnano i valori intrinseci della third wave e che si erigono a veri paladini del culto della qualità, anche perché capaci di creare una sorta di relazione figurativa fra il consumatore ed il farmer. L’autenticità diventa così il fattore distintivo, vissuta quasi come un culto.

Proprio da questi aspetti sono scaturite le criticità di questa ondata: innanzitutto la non scalabilità del modello di business a seguito della incompatibilità che si è creata fra la grande scala e l’essenza della sua identità.

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A ciò si è associata una bassa produttività sia per la piccola dimensione e sia per l’alto livello di servizio erogato, a cui si è aggiunta una certa autoreferenzialità, che ha limitato l’espansione della domanda a nuove fasce della popolazione. Tutto ciò si è tradotto in una insostenibilità economica del modello di business proposto da piccoli torrefattori e coffee shop indipendenti, creando le premesse per una nuova ondata.

Si è entrati così in quella che l’International Trade of Commerce ha definito come fourth wave, ovvero la fase del caffè premium accessibile, che contraddistingue l’attuale situazione e che si caratterizza per alcune peculiarità che meglio rispondono ad un mutato contesto socio-economico.

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Innanzitutto non c’è più la netta distinzione fra consumo domestico (che ha contraddistino la first wave) e consumo fuoricasa (della second e third wave), perché nella nuova wave il caffè è in ogni luogo (in any place).

La valenza qualitativa del caffè è sicuramente più elevata rispetto alla first e alla second wave, anche perché il consumatore nel frattempo si è evoluto, senza però giungere agli eccessi autoreferenziali della third wave, rendendo il prodotto più accessibile ad un pubblico allargato.

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I protagonisti della nuova fase tornano ad essere i grandi torrefattori, insieme alle catene, che, rispetto ai piccoli indipendenti, vantano maggiori risorse economico-manageriali per presidiare opportunamente l’omnicanalità (fuori casa, retail, e-commerce, delivery, luoghi di lavoro, etc), vera protagonista di questa fase, ed hanno anche la scala necessaria per alimentare l’innovazione utile a fornire al consumatore un’esperienza gratificante in ogni punto di contatto col prodotto.

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Le dinamiche innescate dalla recente pandemia da Covid, che ha avuto forti ripercussioni in termini di modalità di consumo del caffè, hanno accelerato ulteriormente il passaggio alla nuova ondata, per cui i grandi players sono riusciti meglio ad affrontare il nuovo scenario avvantaggiandosi nei confronti delle realtà medio-piccole, sempre più in difficoltà nel superare le lacerazioni lasciate dalla pandemia.

Giuli: “Alla luce di questa disamina quali tendenze possiamo ipotizzare per il futuro? Mi limito a riassumerle in cinque parole”

Prodotto – Il prodotto caffè avrà mille sfaccettature. Non sarà più circoscritto alla bevanda pura classica, ma includerà nuove bevande, come ad esempio il già presente cold brew ed il ready-to-drink e nuovi modi di consumarle. Più che un prodotto tout-court, il caffè sarà sempre più un ingrediente da abbinare ad aromi e ad altri ingredienti per creare nuovi modi e nuovi momenti di consumo.

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Questo trend è confermato anche da un recente report di Starbucks, secondo cui oltre i tre quarti delle vendite negli USA sono generate da bevande fredde, e dalle proiezioni di crescita dei cold brew e dei RTD che sono doppie rispetto al resto del mercato.

Consolidamento Il mercato sarà sempre più l’arena per i grandi players. Ciò significa che diventerà un ambiente sempre più difficile per i piccoli. Questo non indica che i grandi players saranno in grado di occupare tutte le sacche della domanda, ma lo spazio lasciato libero per le piccole realtà sarà molto più circoscritto rispetto al passato.

Il forte processo di consolidamento in corso da un decennio ha già cambiato i connotati del settore, ma gli effetti di questo processo non si sono ancora manifestati nella loro complessità.

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Per la moltitudine di piccole realtà esistenti questo si traduce in un forte processo di selezione, che come un imbuto lascerà spazio solo a quelle che saranno meglio in grado di soddisfare i bisogni che i grandi players non riescono ad evadere. Gli altri potrebbero essere inglobati da qualche grande player, se sapranno essere sinergici alla loro strategia, altrimenti rimarranno sempre più relegati ai margini del mercato.

Consumatore – A fronte della vasta varietà dell’offerta il consumatore sarà sempre più confuso e incapace di distinguere fra ciò che è e ciò che non è specialty. Sarà chiamato ad orientarsi all’interno di uno spettro con varie tonalità di grigio, piuttosto che in un contesto di bianco o nero (specialty e non specialty appunto).

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La nuova generazione di consumatori (gen Z) inoltre presenta una minore fedeltà alla marca e si rivela meno sensibile al fascino dei marchi iconici dello specialty, perché non cerca necessariamente il meglio, ma vuole qualcosa di buono, veloce, pratico e coerente. Il prezzo torna a rivestire un ruolo importante, dal momento che una qualità assoluta in contrasto con la comodità o il prezzo, non verrà accettata dai nuovi consumatori.

Socialità – La socialità è sempre stata uno dei driver del consumo del caffè. In prospettiva lo spazio di consumo sarà sempre più virtuale e meno fisico ed anche più eterogeneo. Le nuove generazioni mostrano infatti sempre meno interesse allo spazio fisico per la socializzazione e così anche il ruolo fisico del coffee shop, come luogo di incontro, va rivisto e ripensato secondo nuove logiche.

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L’ampio ricorso agli acquisti via app, sia per il delivery, sia per il ritiro fisico, da parte delle giovani generazioni sta portando ad un profondo ripensamento degli spazi dei coffee shops, con un switch verso formati sempre più piccoli e con una maggiore automazione per una veloce consegna in take-away, fino a dei veri e propri gost-kitchen, ovvero spazi di produzione non accessibili direttamente dal pubblico.

Perdendo il fattore sociale del luogo fisico, il consumo del caffè si diffonde su format diversi da quelli tradizionali, dove deve trovare nuove leve per restare al centro dell’interesse dei consumatori.

Geografia – Il baricentro del mercato sarà sempre più spostato a Est del mondo. Dal recente report di Allegra emerge che la Cina ha superato gli Stati Uniti come il più grande mercato di caffetterie di marca al mondo per numero di punti vendita. Quelli che fino ad oggi venivamo considerati i nuovi mercati, in particolare i mercati asiatici, saranno sempre più centrali nel business mondiale del caffè e non più solo come meri mercati di sbocco, ma anche e soprattutto come nuovi players nell’offerta.

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Diverse catene e torrefazioni asiatiche stanno varcando i confini del loro paese d’origine per proporre il loro format in altri mercati, ivi inclusi quelli occidentali. In prospettiva la competizione del caffè si allargherà per abbracciare nuovi modelli, diversi da quelli occidentali,  e ciò costituirà una nuova sfida per gli attuali attori.

Concludo dicendo che anche questa ondata alimenterà i germi del suo superamento. Man mano che la concorrenza si farà più intensa le aziende avvieranno processi di razionalizzazione dei portafogli che porteranno ad una maggiore standardizzazione dell’offerta ed attiveranno misure di contenimento dei costi, che in una logica di mass-market, diluiranno i valori di autenticità e di qualità, che sono stati alla base del rilancio dei consumi di caffè dopo la first wave.

Tutto ciò potrebbe portare ad una progressiva disaffezione dei consumatori nonostante gli sforzi di marketing compiuti per contrastare questo fenomeno. Si aprirà allora la strada per una nuova ondata. Ma questo passaggio non avverrà a breve per cui, per ora, è bene sapersi muovere nell’attuale contesto”.

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