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sabato 02 Novembre 2024
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Giuli: “Un futuro possibile per l’industria italiana del caffè”

Come sta evolvendo il settore del caffè italiano? Cercheremo di rispondere a questa domanda partendo da dati che ci prospettano una lettura un po' diversa rispetto al vissuto quotidiano.

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MILANO – Tenere il punto su un contesto in evoluzione, anche di fronte agli effetti collaterali ereditati da una pandemia indebolita seppur presente e dal conflitto ucraino russo: questo l’obiettivo dell’analisi condivisa con i lettori di Maurizio Giuli, Executive for corporate strategy Simonelli Group e vice presidente dell’Ucimac, l’Associazione dei costruttori italiani di macchine per il caffè espresso.

Il suo è uno sguardo chirurgico e puntuale, basato su dati raccolti e organizzati con cura, di un comparto italiano che sta rispondendo alle nuove esigenze del mercato, in continuo confronto con i cambiamenti delle abitudini di consumo e con la scena internazionale.

Di seguito, la prima delle due parti che compongono il suo intervento.

La seconda parte dell’analisi è disponibile a questo link.

di Maurizio Giuli

Giuli: come sta evolvendo il settore del caffè italiano?

“Cercheremo di rispondere a questa domanda partendo da dati che ci prospettano una lettura un po’ diversa rispetto al vissuto quotidiano. La presente analisi può essere considerata un nuovo capitolo del percorso iniziato con il libro “Il ritorno alla competitività dell’espresso italiano”, scritto insieme alla professoressa Federica Pascucci, e proseguito con alcuni articoli successivi, volti a fornire un quadro interpretativo di come l’industria italiana del caffè si posiziona all’interno dello scenario internazionale.

L’ultima di queste analisi risale al dicembre 2017 quando, in occasione del convegno Gran Caffè Italia di Napoli organizzato dal Comitato italiano del caffè, fui chiamato ad illustrare l’evoluzione del mercato del caffè italiano. Da allora sono trascorsi cinque anni, complessi sotto molti punti di vista e che costituiscono un lasso di tempo sufficiente per interpretare alcuni processi strutturali ed intravvedere le sfide a cui il settore del caffè italiano sarà chiamato ad affrontare nel prossimo futuro. Anche in questa circostanza l’analisi prende spunto da un keynote tenuto in occasione dell’assemblea annuale dell’European Coffee Federation, ma che è stato successivamente integrato con ulteriori dati per fornire un quadro ancora più rappresentativo.

Come si posiziona l’Italia nel ranking mondiale?

In termini di consumi, secondo le stime dell’International Trade Chamber, l’Italia è il settimo maggiore consumatore di caffè al mondo (Vedi fig. 1).

Tuttavia se si osserva i volumi di importazione di caffè verde, l’Italia con le sue 617 mila tonnellate (che corrisponde a 10,25 milioni di sacchi) di caffè importato nel 2021 ha rappresentato il terzo maggiore importatore al mondo, dietro solo a Stati Uniti e Germania. In termini percentuali l’Italia ha importato il 10,3% del totale caffè verde esportato (vedi Fig. 2).

Nel corso degli anni i volumi delle importazioni italiane sono cresciute costantemente, com’è evidenziato nella fig. 3; dal 2000 ad oggi sono cresciute con un tasso medio del 2,8% annuo che, in termini assoluti, è equivalso al raddoppio. Questi primi dati evidenziano che il comparto italiano del caffè sta crescendo.

Giuli: ma com’è percepito il caffè italiano?

E’ indubbio che in alcuni contesti il caffè italiano è sinonimo di buona qualità, al pari degli altri prodotti alimentari, ma in altri, esso è stato spesso bistrattato. A volte decritto come “pieno di Robusta”, o “tostato scuro” (che in questi contesti è antitetico al caffè di qualità come ad esempio dal seguente articolo https://www.tastingtable.com/956172/types-of-coffee-roasts-explained/), o più banalmente “di scarsa qualità”. Ma è così?

Chiaramente all’interno di un settore così articolato com’è quello del caffè italiano, in cui operano più di 1000 torrefazioni, convivono caffè diversi e con vari gradi di qualità; non è possibile quindi fornire un indice sintetico ed allo stesso tempo esaustivo di qualità. Tuttavia è possibile verificare se alcuni degli appellativi utilizzati nei confronti del nostro caffè siano o meno fondati.

Se si osserva il mix delle importazioni di caffè verde secondo la nomenclatura dell’ICO (Colombian milds, other milds, Brazilian naturals, Robusta) e si confrontano i dati dell’Italia con quelli della media europea riportati nell’ultimo ECF report disponibile (anno 2018-2019), emerge che il mix non è poi così diverso. Come evidenziato dal grafico Fig. 4, l’Italia importa Arabica in tutte le forme per il 59,1% e Robusta pe il 37,4%, quando l’Europa nel suo complesso importa Arabica per il 60,5% e Robusta per il 35,4%. Differenze poco significative che oggettivamente non giustificano le critiche rivolte al caffè italiano proprio relativamente al maggior contenuto di Robusta.

Ma com’è stata l’evoluzione del mix delle importazioni di caffè verde da parte dell’Italia?

La figura 5 mostra l’andamento delle curve delle quattro macro-categorie di caffè verde nel corso del tempo. Una prima evidenza che emerge è che il caffè Robusta non è costantemente dominante nelle importazioni italiane di caffè verde; infatti nel decennio 2002-2011 le importazioni di Brazilian Natural si sono mantenute superiori a quelle di Robusta, per poi eclissarsi negli anni successivi. Una spiegazione di tale andamento può
essere attribuibile all’andamento del prezzo del verde. Nell’area bianca sottostante, il grafico riporta il composite index dell’ICO, che com’è noto è un indicatore sintetico del prezzo di scambio del caffè verde.

Dall’osservazione del composite index si osserva che i torrefattori italiani tendono ad utilizzare il caffè Robusta per mitigare gli effetti dell’aumento del costo della materia prima: quando i prezzi sono bassi i Brazilian Natural sono dominanti, mentre quando salgono sale anche la quota dei Robusta. Ciò denota una sorta di price-cap presente nel mercato italiano.

Com’è noto infatti la questione del prezzo di vendita del caffè è particolarmente dibattuta, soprattutto nel fuoricasa. Ricorderemo tutti l’episodio dello scorso maggio quando Ditta Artigianale fu al centro dell’attenzione dei media nazionali ed esteri a seguito di una multa di 1.000€ comminata dalle autorità comunali dopo la protesta di un cliente per aver pagato 2€ un decaffeinato.

Giuli: quanto è competitivo il settore italiano del caffè?

Un primo indice della competitività dell’industria di una nazione è rappresentato dalla sua bilancia commerciale: se le esportazioni eccedono le importazioni significa che i prodotti di quel Paese sono per qualche ragione (valore o costo) più attrattivi rispetto a quelli di altri, mentre nel caso di bilancia negativa sono i prodotti esteri ad essere più competitivi.

La figura 7 mostra la bilancia commerciale italiana del caffè tostato; nel 2020 l’Italia ha esportato in volume 237.120 tonnellate di caffè tostato a fronte di 18.555 tonnellate importate. Un rapporto superiore a 13 volte, che nel 2021 è salito a 14,5 volte; nel 2021 le esportazioni sono infatti salite del 13,1%, mentre le importazioni sono scese dello 0,57%.

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Tradotto in valore ciò ha significato per l’Italia un surplus commerciale nel caffè tostato pari a 1.227,872 milioni di Euro nel 2020, salito a 1.446,429 milioni di Euro nel 2021. Questo surplus è tale da permettere di vantare una bilancia commerciale positiva anche includendo le importazioni di caffè verde e caffè in ogni sua forma. Come è evidenziato dalla figura 8 infatti la bilancia complessiva del caffè presenta un surplus pari a 173,275 milioni di Euro nel 2020 e di 252,154 milioni di Euro nel 2021, nonostante l’intenso consumo interno.

Un’ulteriore conferma della forza competitiva del comparto italiano viene dall’analisi della bilancia commerciale con i singoli paesi; com’è evidenziato dalla Fig. 9, l’Italia vanta un saldo attivo a volumi positiva con tutti i partners commerciali. I principali mercati di esportazione sono la Germania, la Francia ed il Regno Unito.

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Tutti questi dati denotano che il settore italiano del caffè è forte e competitivo.

Come si sta muovendo l’export italiano in rapporto all’export mondiale?

Per rispondere a questa domanda abbiamo estrapolato da Comtrade e messo a confronto i volumi dell’export mondiale di caffè tostato con quelli dell’export italiano in un arco temporale che va dal 1994 al 2021. Come si evince dalla Figura 10 entrambi gli aggregati mostrano un costante trend di crescita, con un rallentamento negli ultimi 3 anni anche per effetto del Covid.

Per meglio comprendere la performance dell’export italiano in rapporto all’export mondiale abbiamo estrapolato la quota di mercato; dalla figura 11 notiamo che dal 1994 al 2011 la quota italiana ha oscillato intorno al valore medio del 15,5%, per poi registrare un’accelerazione dal 15 al 23% nell’ultimo decennio.

Nell’analisi del 2017 l’Italia risultava essere il secondo maggiore esportatore di caffè tostato al mondo, dietro alla Germania, ma, come riportato dalla fig. 12, a partire dal 2018 è diventata in assoluto il principale esportatore mondiale. Anche questi dati confermano la buona condizione competitiva del comprato italiano del caffè.

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Possiamo quindi concludere che l’Italia è pronta ad affrontare le sfide future?
Risponderemo a questa domanda nella seconda parte della presente analisi che sarà pubblicata sempre su questa testata.

Maurizio Giuli

La seconda parte dell’analisi con le conclusioni a questo link.

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