MILANO – Per molto tempo le imprese familiari italiane sono state tacciate di essere una palla al piede del Paese. Chiuse in se stesse. Decise a restare piccole pur di non cedere un minimo di delega. Padri padroni (o madri padrone nel caso di, poche, imprenditrici). Beninteso: molte lo sono state, ma non solo tra le imprese familiari.
Imprese familiari chiuse nel proprio territorio
Hanno rappresentato una palla al piede tutte quelle aziende che hanno pensato che l’unico mercato fosse quello italiano. Che ciò che contasse non fosse saper agire (e reagire) in un ambito di concorrenza ma facessero, invece, premio la relazione e il do ut des .
Tra le familiari, anche quelle che hanno confuso l’azienda con una proprietà personale. Per fortuna il mondo si è globalizzato. In mezzo a tante indubbie difficoltà, ha dato una spinta a far emergere i migliori e le migliori.
E le imprese familiari italiane?
Parlando di aziende familiari italiane vanno dette innanzitutto due cose. Le nostre imprese sono mediamente più giovani di quelle di altri Paesi. Dunque, affrontano un passaggio cruciale come quello del testimone solo adesso (abbiamo ancora aziende di grandissimo livello guidate dal fondatore). In un momento di mercato molto difficile.
E i passaggi in Italia sono condizionati da leggi sull’ eredità che rendono complesso individuare un solo «erede» che guidi la famiglia. Anche se si stanno moltiplicando gli strumenti che consentono di rendere meno critico questo momento (dai trust ai patti di famiglia, etc).
Ma niente vale come la consapevolezza culturale.
Su questo fronte lo sforzo è stato importante. Il codice di autodisciplina presentato nelle scorse settimane da Aidaf (Associazione delle aziende familiari) e Università Bocconi ne è la testimonianza. (Soprattutto la sfida. Dal numero delle imprese che vi aderiranno spontaneamente si vedrà se il seminato darà un raccolgo fruttuoso).
Esempi di imprese familiari di successo
E testimonianza ne sono alcune nuove generazioni che hanno saputo, da una parte, unirsi e, dall’altra, giocare la carta della crescita e di una forte delega al management con gli azionisti nel ruolo di conduzione strategica. Lavazza è proprio un caso emblematico di questo cambiamento.
Lo stesso vale per un nome come Ferrero. Dove Giovanni ,raccogliendo il testimone del padre Michele, ha iniziato una campagna acquisizioni fino a quel momento estranea alla cultura di Alba.
Acquisizioni e totale separazione tra azionisti e manager sono da tempo la costante di Luca Garavoglia in Campari.
In questa evoluzione si può iscrivere anche la conclusione della lunga contesa in casa Caprotti con la scelta delle eredi del fondatore di non cedere l’azienda e la decisione della famiglia tutta di chiudere le ostilità e di presentarsi alla Borsa quale strumento di trasparenza e di libertà di scelta.
Non va dimenticato, però, che questo tipo di aziende poggia il proprio presente e il proprio futuro sulle relazioni tra i componenti della famiglia. Per questo sarebbe un errore pensare che esista una ricetta valida sempre per tutte. La difficoltà, e la bravura, stanno anche in questo.
Maria Silvia Sacchi