VERONA — Godersi il mare delle Pelagie dalla terrazza dello Sbarcatoio. Come ci siano finiti loro, Giorgio Cacciatori, Silvia Sona e Michela Iulianetti, a Lampedusa, è storia un po’ più complessa. Una che racconta di un cambio radicale, dal profondo nord al profondo sud che guarda l’Africa. Dall’habitat metropolitano a quello selvaggio di un’isola che si gira in venti minuti di motorino.
Il racconto di Giorgio Cacciatori
44 anni, ex dj nei locali storici di Verona (Alterego, Berfi’s). Ha radici in Versilia. E’ tifosissimo dell’Hellas. Soprattutto, cotto dei lampedusani e di quello spicchio di terra «meravigliosa e tartassata dalla cattiva pubblicità».
Il prima e il dopo di Giorgio Cacciatori
«Ho iniziato a mettere dischi a 17 anni, casa in via Albere, zona stadio. Silvia, la mia ragazza, 38 anni, era store-manager in un negozio d’abbigliamento di via Mazzini. Michela, sua grande amica d’infanzia e coetanea, teneva la contabilità per un’azienda di software. Entrambe appassionate di viaggi e laureate in Economia e Commercio con indirizzo turistico ».
Il punto è: «Non siamo venuti a Lampedusa per aprire un bar; semmai abbiamo aperto un bar per vivere a Lampedusa »
Il primo viaggio, nel 2009
«Ci rapì il turchese della Spiaggia dei Conigli e annullammo tutte le altre opzioni. L’isola appartiene alla crosta africana e il cosiddetto mal d’Africa è un richiamo che ti morde lo stomaco. Tornammo, e nel tornare ci sentivamo a casa». C’era poi quel bar sul Porto Vecchio, la bomboniera dell’isola: «Bello come il sole. Era in vendita e l’investimento sostenibile. Quota paritaria, circa 15mila euro a testa. Comprammo i mobili all’Ikea e i macchinari a Verona. Arrivati qui erano tutti pronti a darci una mano per risistemarlo».
Uno dei pregi dei lampedusani
«Questa meravigliosa gente, vivendo dispersa in questo scoglio d’alto mare, t’insegna l’arte del fare da sé. Ognuno è elettricista, falegname, muratore, nei garage c’è qualsiasi utensile. Io ch’ero un incapace dovevo chiamare aiuto per sostituire una lampadina. Ho imparato invece a impastare la malta, montare un mobile. Oggi sono un uomo diverso e potrei quasi costruirmi un’auto da solo».
La seconda vita di Giorgio Cacciatori
«Sveglia alle sei e mezza, apertura un’ora dopo, pausa fra l’una e le cinque per riposarsi o uscire in gommone. Poi dietro al bancone fino a tarda notte. Qui è tutto legato all’arrivo della nave con le provvigioni. D’inverno puoi stare anche due settimane senza frutta e verdura. Se si rompe un cavo sottomarino tanti saluti a linea telefonica, internet, e-mail. E’ uno stile meno agiato e agevole. Ma per me è positivo. Chi sceglie di vivere qui, a 40 anni, lo fa perché non sente più il bisogno di certe cose».
La ricerca della serenità
«Ai primi di marzo mi metto già in bermuda e ciabatte, e tengo tutto fino al 25 novembre. Ovvero il giorno dell’ultimo bagno. Torno a Verona fino a metà febbraio, faccio qualche serata, guardo l’Hellas dal vivo e poi ricomincio». L’ambientamento. «Come “Benvenuti al Sud”, il film con Bisio. Un po’ di timore iniziale, ma nel giro di 24 ore potevo già contare su due-tre personaggi di simpatia e cuore che sono diventati i miei più grandi amici sull’isola. Qui sono tutti imparentati; girano 5-6 cognomi. I lampedusani dicono che ci siamo saputi inserire, davanti ai clienti mi definiscono “uno di loro”».
Giorgio Cacciatori afferma di combattere ogni giorno per l’immagine di Lampedusa
«Affinché al telegiornale si usi il termine esatto: “recuperi”, non “sbarchi”. Gli immigrati vengono raggiunti a un’ora di navigazione dalla costa. Il turista non si accorge di nulla. Questo paradiso meriterebbe ben altro tipo di pubblicità ».
E l’Hellas?
«Continuo ad abbonarmi anche da lontano. Il presidente Setti mi ha mandato dei piccoli regali. Ho la maglia di Cacia, la fascia di capitano di Maietta. Quando vado allo stadio mi fermano per farsi la foto. “oh butei ghè quel de Lampedusa”. Ero in Arena, la sera della festa, con la bandiera che tengo sul tetto di casa.
La gente mi diceva “prepara le birre che ad agosto veniamo giù”. Il derby? Si fa quando una città è spaccata a metà. A Verona invece quando gioca l’Hellas non trovi un buco, quando c’è il Chievo parcheggi dove vuoi. Io sono felice perché siamo tornati dove meritiamo. Una piazza che produce 10-15mila abbonati in C non può che stare fra le grandi. Dirò di più: ho servito da bere ad alcuni giornalisti di Sky, allo Sbarcatoio. Mi hanno confidato che per acquisti di partite in tivù siamo subito dietro le prime squadre d’Italia».
Fonte: Corriere del Veneto