giovedì 20 Febbraio 2025
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Gianluigi Goi, prime obiezioni ad Andrej Godina: “Espresso al capolinea in Italia? Non voglio e non posso credere sia vero”

Goi: "E’ una grande responsabilità quella di sparare ad alzo zero contro l’espresso che è un simbolo unanimemente riconosciuto dell’italian style, una filiera economica di primaria grandezza che si sostanzia non solo nella lavorazione e trasformazione del chicco ma anche in una tradizione produttiva industriale di macchine e attrezzature specializzate che non ha paragoni al mondo"

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Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista specialista di agricoltura di fama riconosciuta. Goi è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi risponde all’analisi dell’esperto Andrej Godina, il quale annuncia che l’espresso del bar è ormai un’esperienza ormai adatta solo agli anziani (ne abbiamo parlato qui). Leggiamo di seguito l’opinione di Goi.

Lo stato dell’espresso in Italia

di Gianluigi Goi

“Anche se consapevole che viviamo in un società dove alla disinformazia della vecchia guerra fredda si affianca la quotidiana alluvione di fake news che insidiano chi persista nel vizietto di scribacchiare, l’effetto annuncio entro certi limiti ci sta ed è molto utilizzato, leggere (su queste colonne del 2 febbraio 2025) il titolo “Andrej Godina: Ecco perché l’espresso del bar italiano è al capolinea ed è un’esperienza ormai adatta solo agli anziani” è stato un colpo che mi ha fatto male.

Per me l’espresso rappresenta l’abitudine di una vita e, soprattutto, un modo di intendere e vivere la quotidianità all’italiana in senso stretto.

Un sentire che va oltre le pure sensazioni gustative governate dai recettori biologici per trasformarsi in emozioni, incontri, anche incavolature in una parola in ginnastica di vita sul percorso di alti e bassi che tutti siamo chiamati a percorrere.

Un secondo pugno, questo sotto la cintola come dicono i pugili: l’espresso “è un’esperienza ormai adatta solo agli anziani”.

Sono anziano e non sopporto l’idea di essere valutato con il metro dell’età ma per quello che sono, un individuo con i diritti che la nostra splendida (e ormai in pericolo) Costituzione riconosce a tutti.

La sopra riportata espressione emana uno sgradevole sentore di “apartheid caffeicolo” che può con una certa facilità trasformarsi – e sarebbe gravissimo! – in apartheid sociale. D

el resto, è cosa risaputa, la dottrina dello scarto applicata ai vecchi è purtroppo realtà di tutti i giorni.

Per tornare a bomba alle sole questioni caffeicole, il nostro caffesperto per antonomasia – sia ben chiaro che le competenze e le capacità tecnico-professionali di Godina sono fuori discussione – sottolinea che “l’esperienza quotidiana del caffè che tutti noi beviamo è obsoleta (come gli anziani? – n.d.r.) noiosa e poco gratificante … in particolare nella sua estrazione in espresso, la bevanda sensorialmente più complicata in assoluto”.

Macinando un altro chicco prelevato dal sacco godiniano si apprende che “note di gomma, verdura marcia, muffe, cantina, tintura di jodio e rancido (una mini galleria di orrori, non di rado veritiera, purtroppo – n.d.r.) accompagnate da una marcata astringenza e un amaro eccessivi, sono purtroppo una realtà diffusa in molte tazzine servite quotidianamente, sia in moka che in espresso o caffè monoporzione. …

L’aggiunta di zucchero e latte così come il consumo immediato di un cioccolatino o di un biscotto dopo l’espresso, non sono altro che strategie inconsce per attenuare le caratteristiche sensoriali sgradevoli della bevanda”.

I toni mi sembrano esagerati e tendenti all’apocalittico ma diverse considerazioni colgono nel segno.

Mi permetto in ogni caso due considerazioni:

1) perché in quella che ho definito la galleria degli orrori è riportata la voce cantina? Fossi un viticoltore mi incavolerei: oggi molte cantine agricole sono più pulite e ordinate di molte cucine domestiche. A cosa si fa riferimento? Forse alla cantinetta privata di qualche pensionato che con poche bottiglie polverose e magari una vetusta damigiana di “vino fatto come una volta” appende salami e/o formaggi rigorosamente e orgogliosamente ammuffiti?);

2) personalmente gradisco l’amaro (spero non sia una colpa grave e di non essere per questo passibile di squalifica in ambito sensoriale), ma confesso pubblicamente che ringrazio sentitamente ‘frate corpo’ – la definizione non è mia ma del grande San Francesco – se spinge le sue “strategie inconsce” dentro di me a farmi cercare l’incontro con un biscottino di quelli giusti e soprattutto con un quadratino di cioccolato fondente bello scuro. Un vero e proprio matrimonio d’amorosi sensi.

Dalla macinazione di un altro chicco apprendiamo – e qui le considerazioni si fanno molto pregnanti e necessitano dell’attenzione e delle valutazioni degli operatori del settore alle quali rimando per ovvie ragioni di serietà – “in queste condizioni, il caffè fatica ad attrarre i giovani consumatori, abituati a profili aromatici più equilibrati e retrogusti piacevoli, tipici di prodotti dolci e armoniosi.. – e, ancora – .. oggi, tutti noi, e in particolare i giovani, desideriamo poter selezionare il nostro prodotto tra un’ampia gamma di opzioni.  Apprezziamo le bevande personalizzate e vogliamo essere guidati da esperti. Che ci aiutino a comprendere le differenze e le peculiarità di ciò che consumiamo”.

Goi: a questo punto, però, un po’ di chiarezza, please.

E’ giusto doveroso ed urgente migliorare la qualità dell’espresso in tutta la sua filiera

(1); apertura a tutti i metodi di estrazione mettendo però i consumatori nelle condizioni di poter scegliere come meglio ritengono sulla base di una crescita culturale e professionale il più possibile allargata, quanto mai necessaria a tutti i livelli

(2); pur rispettando la storia e la tradizione del bar all’italiana è assolutamente auspicabile l’apertura di vere caffetterie dove il prodotto caffè nella sua interezza e complessità possa esprimersi a livelli e contesti ambientali i più diversi.

L’insufficiente numero di questi locali rappresenta, secondo noi, il vero punto dolens dell’espresso nel nostro Paese

(3); guardare alle esigenze e ai gusti diversi, mutati e mutevoli, dei giovani è un’esigenza imprescindibile per stare al passo con i tempi, a prescindere dalla obsolescenza vera o supposta di noi anziani (4).

Ciò che non mi vede assolutamente d’accordo è l’acrimonia e il livore che traspare dalle parole e dalle espressioni utilizzate contro l’espresso fino al punto da sentenziarne la premorienza.

Cui prodest, a chi giova questo atteggiamento tanto aggressivo? Non so ma mi piacerebbe saperne qualcosa. E’ una grossa responsabilità quella di sparare ad alzo zero contro l’espresso, contro un simbolo unanimemente riconosciuto dell’italian style, una filiera economica di primaria grandezza che si sostanzia non solo nella lavorazione e trasformazione del chicco ma anche in una tradizione produttiva industriale di macchine e attrezzature specializzate che non ha paragoni al mondo.

Quale la genesi e il motivo di questo cupio dissolvi? Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo di semplice consumatore solo attento ma con il vizietto dello scrivere (forse un peccato grave, questo) dico no alla “teocrazia caffeicola” ma ci tengo a sottolineare che non sono un troglodita del caffè e non aspiro a diventarlo”.

                                                                                                          Gianluigi Goi

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