martedì 29 Ottobre 2024

Gianluigi Goi: “La tazzina deve essere raccontata attraverso emozioni e ricordi”

"Ormai convinto, pur nella pochezza del mio sapere caffeicolo, che il caffè vada declinato, preparato e consumato secondo linguaggi e modalità diverse a seconda delle circostanze e degli ambiti produttivi e che quindi l’espresso non è più – a mio avviso - il monarca  ma il primus inter pares, mi sembra, come si evince chiaramente da quanto sopra riportato, che il caffè va “raccontato”, sublimandolo, anche per il plus di emozioni, sensazioni e ricordi che sa esprimere"

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Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista affezionato a queste pagine che con la sua esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo i suoi contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi, prendendo spunto da un articolo dell’Osservatore Romano (il quotidiano del Vaticano) di Annalisa Treggi, riflette sull’importanza di raccontare il prodotto del caffè, apprezzandolo anche per la vasta gamma di emozioni, sensazioni e ricordi che sa esprimere. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

Una zolletta di zucchero inzuppata nel caffè

di Gianluigi Goi

MILANO – Un titolo in prima pagina dell’Osservatore Romano (il quotidiano del Vaticano) di venerdì 14 luglio (giornata storica in assoluto: la presa della Bastiglia nel 1789) attira la mia attenzione di seppur modesto aficionado del caffè: “Un mondo intero in una zolletta di zucchero” e mi si apre un piccolo mondo appena leggo “immersa, la zolletta, nel caffè”.

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Più che di un articolo di giornale si tratta di un pezzo di bravura di Annalisa Treggi – laureata in lettere, dottorato in traduzione letteraria, scrittrice che si compiace di avere per padre, maestro e amico Dante Alighieri –  giocato sul filo dei sentimenti e dei ricordi: con finezza e maestria.

In un piccolo negozio di alimentari in vacanza, dall’incipit, “ho trovato solo zucchero in zollette, non lo uso più…però aveva qualcosa di familiare”.

Caffè e ricordi

“Dopo pranzo – precisa la scrittrice – il gesto è venuto spontaneo, con la leggerezza delle abitudini che si fanno sovrappensiero. Usando un cucchiaino ho immerso la zolletta nel caffè e poi l’ho tirata su, appoggiandola su un piatto. Tutto è venuto a galla come un’onda di burrasca. Era così che mio nonno Domenico mi faceva assaggiare di nascosto il caffè quando ero bambina, tenendomi sulle ginocchia. … Era un rito e un segreto fra me e mio nonno”.

La scrittrice continua: “E la zolletta zuppa di caffè si è portata dietro tutto quel mondo domestico dell’infanzia. … Sono passati quarant’anni da allora, da quei giorni dimenticati. … I tratti del suo volto sono annebbiati se non li richiamo alla mente con una fotografia. Ma proprio uno dei tre sensi che mancano alla realtà virtuale, il gusto, mi ha portato in dote un di più di una realtà. La zolletta zuppa di caffè non mi ha fatto ricordare, ma rivivere. Non è stato un pensiero, ma un tuffo vivo in un recinto di affetti che non è venuto meno, anche se la morte ha temporaneamente sottratto la compagnia di chi ho amato, di chi mi ha amata”.

Sottolineato che squarciare il velo dei piccoli “segreti” fra nonno/a e nipote è un vero e proprio peccato mortale, mi sembra utile ricordare che domenica prossima, 23 luglio, cade la “Festa dei nonni”, un’occasione che profuma di tenerezza, di amore e anche di tanto impegno.

Ormai convinto, pur nella pochezza del mio sapere caffeicolo, che il caffè vada declinato, preparato e consumato secondo linguaggi e modalità diverse a seconda delle circostanze e degli ambiti produttivi e che quindi l’espresso non è più – a mio avviso – il monarca  ma il primus inter pares, mi sembra, come si evince chiaramente da quanto sopra riportato, che il caffè va “raccontato”, sublimandolo, anche per il plus di emozioni, sensazioni e ricordi che sa esprimere. In quanto “l’acqua negra”, per utilizzare una antica definizione, opportunamente preparata e offerta può assumere il potere non solo del ricordo ma della vivezza delle cose e degli accadimenti.

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