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domenica 17 Novembre 2024
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Samaritani: “Creo documentari per raccontare i paesi di origine attraverso storie, non tecnicismi”

“Ragionando per macro zone, quando parliamo di coltivazioni evolute sia tecnicamente che economicamente, il Centro-Sud America rappresenta quella più sviluppata. In Colombia c'è un'attenzione molto alta nei confronti della coltivazione, c'è studio, formazione"

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MILANO – Giancarlo Samaritani, ben conosciuto per essere “il mercante di caffè”, ha ormai alle spalle più di 20 anni di viaggi alle origini in compagnia di sua moglie e fotografa Silvia, nel tentativo di dare maggior spazio e visibilità al primo anello della catena: chi si occupa della semina del chicco.

Racconta Samaritani: “Molti coltivatori in hanno un’idea particolare del prodotto finale”

“Alcuni neppure hanno mai visto il chicco che hanno piantato, trasformato, non hanno idea di cosa sia un espresso ad esempio. Ecco, dar loro una voce, visibilità, credo sia oggi una necessità e quasi un obbligo morale al di là delle logiche commerciali. Ricordiamoci che senza di loro non saremmo qui a parlare di caffè.

Ed è vero poi anche il contrario: in Italia, come in altri paesi occidentali, poche persone hanno visto una pianta di caffè. Noto che nell’immaginario comune già solo pensare che ci sia un’origine botanica dietro il chicco tostato rappresenta un livello avanzato di conoscenza di questa materia prima.”

Samaritani: “Bisogna attribuire un’identità geografica al caffè, sono differenti le coltivazioni nei vari paesi del mondo.”

Il viaggio col mercante (foto concessa)

“Informare, divulgare e trasferire certi concetti non farebbe altro che attribuire il valore alla materia prima e permettere di avere il giusto prezzo per i contadini. Potremmo forse fare un paragone con il vino, perché coltiviamo le viti in Italia e abbiamo una vaga idea di cosa siano processo e lavorazione.

Soprattutto la trasformazione avviene nello stesso paese dove si coltiva, bene o male abbiamo un’idea del passaggio dal grappolo d’uva alla bottiglia di vino. La vendemmia è considerata una festa nel nostro paese. Questa stessa emozione non la viviamo ancora per il caffè e quindi c’è bisogno di raccontare ciò che accade nei paesi di origine. Da parte mia, cerco di farlo attraverso la creazione di documentari e libri, e ora con una serie, In Viaggio col Mercante, che a breve uscirà anche su Prime Video che andrà ad aggiungersi alla puntata già online dedicata all’Etiopia, ma stavolta fruibile in maniera gratuita per gli abbonati alla piattaforma.

E questo dimostra ulteriormente che parliamo di un prodotto che finalmente sta riscontrando curiosità tra gli utenti finali: un documentario tematico che entra nelle case del grande pubblico è un buon segnale. Ed è questo che ci dà ulteriore stimolo a continuare a investire tempo e denaro nei nostri viaggi: ho la fortuna di condividere con mia moglie questa passione e il nostro tempo libero lo dedichiamo a questa missione. Ci piace farlo ed al contempo cerchiamo di rendere utile questa nostra passione.

Insieme ai coltivatori (foto concessa)

Ci teniamo ad entrare in contatto con le comunità, scoprirne le abitudini e le tradizioni religiose. Vogliamo raccontare questi aspetti del quotidiano, più che parlare tecnicamente del prodotto caffè che, in questo caso, diventa il filo conduttore che lega tra loro persone diverse. Sono proprio le storie esotiche che incuriosiscono il nostro pubblico, non i tecnicismi. Vogliamo trasferire loro un’emozione.”

Ma durante i suoi viaggi Samaritani, nel corso degli anni, quali sono i Paesi d’origine che hanno conosciuto una maggiore evoluzione e quali invece che non stanno progredendo?

“Ragionando per macro zone, quando parliamo di coltivazioni evolute sia tecnicamente che economicamente, il Centro-Sud America rappresenta quella più sviluppata. In Colombia c’è un’attenzione molto alta nei confronti della coltivazione, c’è studio, formazione. Durante il mio ultimo viaggio in Colombia, del quale vi racconterò nei prossimi giorni, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con diversi responsabili della Federazione nazionale dei coltivatori di caffè della Colombia, una organizzazione che raggruppa 540mila famiglie di coltivatori, che li supporta nella formazione per produrre una materia prima di livello che possa ottenere un valore più alto sul mercato.

Coordinarli in un’organizzazione, una ONG unica al mondo nata 100 anni fa circa, ha fatto e farà la differenza grazie alle attività delle sue varie delegazioni regionali e comunali. C’è una struttura solida che contribuisce a far evolvere la produzione ed a valorizzare l’identità geografica.

Tutto il contrario si verifica in Africa, dove la mancanza di istruzione mette in difficoltà i coltivatori nell’utilizzo di nuove tecnologie. In una terra in cui mancano le cose primarie come il cibo, la sanità e l’istruzione, va da sé che qualsiasi tipo di progresso incontra grandi ostacoli.

L’Etiopia ad esempio ha un potenziale enorme e tutti nel settore lo riconoscono, ma i contadini vivono male, e ora sta attraversando una delle più grandi crisi umanitarie degli ultimi tempi, anche se non se ne parla molto. È un Paese che anagraficamente non è contabilizzato, in cui esiste ancora un alto livello di analfabetismo molti bambini non frequentano scuole : pensare ad uno sviluppo significa fare grandi investimenti strutturali. Ma non è facile.

A volte le coltivazioni di caffè vengono abbandonate per colture più redditizie e questo deriva dalla necessità di un guadagno più sicuro è più rapido. In Africa si ragiona alla giornata: quando sono andato in Uganda sul Monte Elgon dove c’è una forte presenza di coltivatori di caffè, con alle spalle un’organizzazione che adesso si è sviluppata, ho incontrato diversi piccoli farmers: uno di loro possedeva un vivaio con tante piantine che avrebbero dato i loro frutti tra 4 anni.

Gli ho fatto i complimenti e lui mi ha dato una risposta che mi ha impartito una dura ma vera lezione: “Ho già venduto queste piante, perché devo pensare a dar da mangiare ai miei figli oggi e non tra qualche anno.

In questo quadro poi si inseriscono anche i Paesi Asiatici dell’estremo oriente, in Cina, nello Yunnan, ho parlato con i contadini i quali attribuiscono alla coltivazione di caffè un grande valore perché per tanti rappresenta una svolta di vita, una possibilità in più rispetto ad un passato in cui producevano soltanto il tè. Qui usano anche mezzi moderni, fanno formazione e applicano metodi avanzati. “

Caffè commerciale e specialty: non si rischia che questa contrapposizione distolga il focus sulla qualità della materia prima più diffusa e anche un impatto sociale più ampio?

samaritani
La lavagna degli specialty (foto concessa)

Samaritani: “Sono del parere che lo specialty dovrebbe esser la normalità. Il caffè dovrebbe esser buono a prescindere dal punteggio. Poi ovviamente è giusto che ci siano dei prodotti di fascia più alta e ricercati, ma gli standard minimi di qualità e di rispetto dell’ambiente e delle popolazioni produttrici, devono esser garantiti in ogni caso. Se lo specialty serve per sensibilizzare sulle condizioni alle origini e sul tema della qualità, ben venga, ma non si deve limitare ad avere un impatto su una nicchia, altrimenti finirebbe per esser un po’ fine a sé stesso. “

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