MILANO – Ci spostiamo a Zola Predosa, comune della città metropolitana di Bologna,, da Mostarda #22, dove Gianmarco Orsi gestisce la sua attività all’insegna dello specialty coffee. In un contesto come il suo, cosa ci ha potuto dire rispetto all’inchiesta su costi e ricavi legati al settore bar, di cui abbiamo parlato qui e qui? I numeri ci aiutano ancora una volta a fare chiarezza.
Orsi, quanto guadagna un bar su ogni caffè venduto, considerate le tante voci di spesa per un locale?
“Ci troviamo in un paese nella prima periferia bolognese, siamo il terzo comune più ricco di Bologna. Noi abbiamo fissato l’espresso a 1euro e 30. Siamo subentrati due anni fa in questo locale quando lo vendevano ancora a 90 centesimi e presto lo alzeremo sino a 1 e 50.
Anche il macchiato dovrebbe costare di più, (è latte montato che diventa scarto, devo azionare e pulire la lancia, considerare il personale dietro alla macchina che la sa usare) ma è difficile farlo capire ai clienti. Sicuramente c’è un periodo iniziale in cui si deve spingere e investire su sé stessi, considerando però che il caffè non è qualcosa di vitale, ma è un lusso che le persone si concedono e quindi da parte nostra, bisogna fare attenzione. Il difficile è avere dei guadagni senza staccarsi eccessivamente dal mercato.
Quando, tornando dal caffè a un euro e trenta, impostiamo il lavoro sui 3 chili al giorno di media. L’obiettivo minimo da raggiungere però è l’euro e 50, un prezzo che, pensando ad esempio al boom delle bollette che sono nel nostro caso raddoppiate, avrebbe assorbito un aumento di soldi di 1.600 in più al mese.
Per far fronte a questi rincari ci siamo ingegnati con diverse soluzioni: anche il macchiato non lo facciamo mai a orlo tazza, il latte lo montiamo più denso per fare più volume così da ne usiamo di meno. Proponiamo il macchiatone, che ha la stessa quantità ma presentato in tazza più grande, così che le persone sono disposte a pagare qualche centesimo in più ma volentieri.”
Ma quindi il caffè è ancora il core business dei bar?
Orsi: “Il punto è che tutto dev’essere una voce di profitto del locale. Incentrare il profitto reale attorno all’espresso non è realistico: il caffè è un contorno così come lo è la brioche, che è la cosa più facile da vendere perché ha un costo più basso, ma che nell’insieme della colazione, un momento di reale stress e impegno, non porta a fare grossi margini: con uno spritz o con il gin tonic, venduti al prezzo che si vuole senza che nessuno si scandalizzi troppo, si fanno meno scarti e meno fatica.
Scendendo nel particolare del caffè: soltanto per la materia prima di qualità paghiamo 20 centesimi e questo senza considerare lo scarto (che almeno è del 5%). Se prendo un chilo e riesco a trasformare tutto utopicamente senza buttare via niente a 20 centesimi, devo anche aggiungere i 2 centesimi e mezzo a fazzoletto di carta riciclabile comprato da noi (che i clienti solitamente usano in abbondanza) lo zucchero per altri 2 centesimi a bustina.
Contando la materia prima, la sua incidenza è sui 48 centesimi. Spalmo questi numeri su tutta la giornata, considerando che rimaniamo aperti dalla mattina alla sera sino alle 23. Chiudendo prima, il conto sarebbe più alto.”
Orsi, quali sono le principali voci di costo per il locale?
“Nel locale lavoriamo io, il mio socio, 6 dipendenti stabili e tre che turnano. Mediamente costituiscono una spesa di 10.000 netti al mese, con contratti regolari. Sono rimasti con noi, 40 ore, pagati puntualmente, con due giorni di vacanza, straordinari regolarmente retribuiti. Ci occupiamo anche della loro formazione.
Per quanto riguarda la location, paghiamo 1.500 euro d’affitto al mese. Abbiamo una macchina espresso di proprietà, una Cimbali M100 trovata a 4000 euro ricavata da un locale che aveva chiuso nel giro di poco. Due addolcitori, due lavastoviglie, 4 macinini (uno Dalla Corte On demand (2200 euro), due mignon silenziosi Eureka (400) e uno ancora Eureka più grande (600) per il decaffeinato e due monorigine).
La precedente proprietaria pagava il caffè di Filicori Zecchini a 29 euro al chilo, (noi lo acquistiamo a 24 euro al chilo di maggiore qualità della torrefazione Lelli) ma loro hanno dato la macchina, i tovagliolini, lo zucchero. Quel prodotto però secondo me non vale i 29 euro al chilo che pagavano i vecchi titolari inoltre le attrezzature non sono neppure tue. “
Ma quindi qual è il momento o il prodotto di punta per guadagnare?
Orsi: “Il prodotto per margine? In generale tutto il food, e noi facciamo molti margini con il pranzo: offriamo verdura fresca, cotta e cruda, con abbinamenti veloci tra primi e secondi, preparati ogni giorno, che partono da un minimo di 10 sino ai 15 euro. Anche la sera guadagniamo con l’aperitivo: è sufficiente studiare pochi prodotti ma buoni, come i nostri 4 signature drink con frutta fresca di stagione, uniti al classico tagliere e ad altri piatti.
La mia esperienza suggerisce che la maggiorparte dei bar in Italia arriva a 500 euro di incasso al giorno massimo, e su 18mila euro, soltanto 1.200 euro arrivano puliti. Il locale può marginalizzare, ma lavorando fisicamente al suo interno con 70/80 ore alla settimana. Tutti i clienti poi ormai sono super informati, quindi vendere cose scadenti non premia. Il personale resta la spesa più importante, ma sono felice di poter pagare ciascuno dei miei dipendenti a fine mese.”
Nuove tendenze: le bevande vegetali sono davvero economicamente interessanti secondo lei Orsi?
“L’avena ormai ha sorpassato la soia. Su 10 litri di latte venduti, prima ne usavo 3 di soia, Oggi, su 15 litri, 10 sono di latte vaccino, 4 sono di bevande vegetali all’avena, e uno soltanto di quella di soia.
Il latte normale lo paghiamo sull’euro e 50 al litro, mentre la bevanda a base di soia 1 e 30 al litro, quella d’avena 2 e 49 in offerta sennò si aggira intorno ai 3 euro. Va comprato ora perché è di moda, e vendo a 1 euro e 50 il cappuccino classico, mentre quello vegetale a 2 euro. Cerchiamo di spostare i clienti verso il latte macchiato con la bevanda vegetale d’avena, vendendolo a 50 centesimi in più. Anche il 15% delle nostre brioche sono vegane, perché abbiamo capito che, se riesci ad accontentare questa nicchia, la fidelizzi e quando hanno bisogno di un prodotto specifico, tornano da noi. E questo vale qualsiasi margine.
Ricarichiamo di più su prodotti di bottega, come le colombe, il panettone, le cioccolate, su cui c’è un margine molto più alto. Più scelta hai più hai richieste. Per questo abbiamo un banco con 20 gusti di praline diverse.
Il caffè oggi è come un veicolo per acquistare qualcos’altro. Per questo devi circondarlo di altri prodotti. Io vorrei fare anche molta più caffetteria, ma si fa fatica tra formazione, spazi e altri fattori che alla fine ti portano a metterla un po’ da parte.”