MILANO – Con l’afa di questi giorni la ricerca di un po’ di freschezza passa anche per bar e chioschetti. Ci si ristora a sorsi di succhi, centrifughe, granite e cocktail, con l’aggiunta di tanto ghiaccio alimentare.
E non a caso oltre il 60% del consumo avviene tra giugno e settembre. Le tonnellate autoprodotte e consumate in Italia sono state oltre 170.000.
I bar diurni consumano all’anno 58.000 tonnellate di ghiaccio e i ristoranti 25.000 tonnellate.
Ma quant’è sicuro il ghiaccio alimentare?
La domanda è d’obbligo vista la notizia diffusa qualche giorno fa dalla Bbc. Ha condotto un’inchiesta a campione in qualche decina di caffetterie del Regno Unito. Fra i punti di ristoro di popolarissime catene internazionali come Starbucks, Costa o Caffè Nero, scoprendo che, nel 30% dei campioni di ghiaccio usato per raffreddare le bevande, c’erano tracce di batteri fecali coliformi.
Dunque, persino il ghiaccio alimentare, che può sembrare del tutto innocuo, in realtà può essere fonte di contaminazione batterica. Di fatto, è comunque un alimento.
L’Inga lancia un vademecum per la salute
Ed è per questo che l’Istituto nazionale per il ghiaccio alimentare (Inga) ha predisposto un Manuale di corretta prassi igienica per la produzione di ghiaccio alimentare. Un vademecum dedicato all’approfondimento degli aspetti igienici e di sicurezza alimentare. Legati alla produzione industriale di ghiaccio confezionato e a quella per autoconsumo di ghiaccio alimentare.
Il testo completo del Manuale è scaricabile sul sito: www.ghiaccioalimentare.it e sul sito del ministero della Salute
Le prime linee guida
In Europa la produzione di ghiaccio non ha alcuna normativa. L’Associazione Europea di categoria (European Packaged Ice Association) non si è mai fatta promotrice di alcuna iniziativa in tal senso.
L’esigenza di un documento come il Manuale, recepito e approvato anche dal ministero della Salute, è emersa in parallelo con la comparsa, in Italia, di realtà industriali dedicate esclusivamente alla produzione e alla diffusione di ghiaccio alimentare, sicuro per uso . Ma anche con la presa d’atto della diffusione capillare dell’autoproduzione di ghiaccio con macchinari di piccole dimensioni e con modalità casalinghe.
“Il nostro obiettivo – dichiara Carlo Stucchi, presidente di Inga – è quello di garantire qualità, sicurezza e tracciabilità. Sia per chi con il ghiaccio lavora, pensiamo ai baristi ad esempio, sia a chi ne fa uso. Dunque a tutti noi consumatori.
Che cos’è il ghiaccio alimentare
Il ghiaccio è un alimento e come tale deve essere prodotto e manipolato rispettando determinate regole. Ma cosa si intende per ghiaccio alimentare?
“Il ghiaccio si definisce alimentare – prosegue Stucchi – se è preparato con acqua giudicata potabile dall’Ufficiale Sanitario. Se alla fusione si traduce in un prodotto con le medesime caratteristiche.
Il ghiaccio che non risponde a queste condizioni viene compreso sotto la denominazione di ghiaccio non alimentare o ghiaccio non commestibile”.
Il fatto è che molti bar, discoteche, pub, ristoranti e altri operatori del settore turistico e ristorativo producono ghiaccio che in molti casi non può essere considerato alimentare. Utilizzandolo, lecitamente, per raffreddare le bottiglie e, illecitamente, a diretto contatto con alimenti e bevande.
“Anche il ghiaccio prodotto da appositi macchinari – aggiunge il presidente dell’Inga – è risultato non a norma dalla maggior parte delle analisi fatte. Questo perché spesso la macchina non viene sottoposta alle necessarie operazioni di pulizia, manutenzione e sostituzione dei filtri. La sua produzione, dunque, deve sempre rispettare le norme igieniche. Se autoprodotto, deve essere inserito nella valutazione Haccp“.
Quali sono i rischi
L’Organizzazione mondiale della sanità indica chiaramente il ghiaccio in cubetti tra gli alimenti ad alto rischio di contaminazione biologica; ricorda anche che il cibo conservato per lungo tempo tra 5°C e 60°C è quello a maggior rischio.
Quindi, anche il ghiaccio usato a contatto con gli alimenti deve essere sicuro. Inoltre, ad alto rischio di contaminazione sono anche le fasi finali della filiera. La conservazione e la manipolazione, se condotte in modo non corretto, come hanno messo in luce Striscia la Notizia su Canale 5, e Di Martedì su La7.
La ricerca
Il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università degli Studi di Palermo con il professor Luca Settanni ha dedicato alla possibile contaminazione del ghiaccio una ricerca volta a rilevare e quantificare la presenza di microrganismi vitali nel ghiaccio alimentare.
Si è concluso che il ghiaccio trasferisce microrganismi vitali che sono in grado di sopravvivere. Inoltre, è emerso che i batteri coliformi non sono stati ritrovati nei campioni di ghiaccio prodotti in aziende specializzate e a livello domestico. Ma sono stati ritrovati negli esercizi commerciali e che soltanto un’azienda ha mostrato alti livelli di quasi tutti i microrganismi oggetto di indagine (enterococchi inclusi).
“Dunque – conclude Stucchi – le caratteristiche igieniche del ghiaccio prodotto da aziende specializzate non sono allarmanti. Ma è necessario approfondire le problematiche microbiologiche della produzione del ghiaccio alimentare.
La qualità finale di questo prodotto dipende, infatti, strettamente dalla qualità dell’acqua, dall’igiene dei locali e delle superfici con cui entra in contatto e dalla conservazione”.
Irma D’Aria