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sabato 23 Novembre 2024
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Gabriella Lombardi, la prima certificata TAC Tea Sommelier in Europa: “Il tè, è la valida alternativa analcolica al vino”

La professionista: “Sicuramente deve conoscere il prodotto in modo poi da poter trasmettere la stessa esperienza ai clienti. Deve almeno possedere una conoscenza di base delle bevande che mette in menù e poi bisogna saperle preparare adeguatamente. Per cui la formazione è essenziale: il tè non è qualcosa che si stappa e si versa in un bicchiere."

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MILANO – Un amore senza confini quello tra Gabriella Lombardi e il tè puro in foglie, al punto da trasformarlo in professione: la sommelier del tè. Una bevanda che forse in Italia non conosce la stessa diffusione del caffè, ma che ha la stessa complessità celata dietro la tazza. Per esplorarne almeno una piccola parte, abbiamo parlato con l’esperta in materia.

Lombardi, ma lei come mai è diventata sommelier del tè?

Un lavoro che, ci anticipa lei, è difficile da svolgere in maniera esclusiva in Italia. All’estero è diverso, è una figura professionale molto richiesta e alla pari del sommelier del vino: non si ha bisogno di occuparsi anche di formazione o di avere una sala da tè per guadagnare, così com’è invece il caso di Gabriella Lombardi che è anche titolare di Chà Tea Atelier a Milano ed è tra le fondatrici della ProTea Academy.

Continua Lombardi: “Per questo motivo dico spesso di avere una doppia identità. A Milano possiedo un negozio specializzato con sala da tè, che dopo il Covid è stato dedicato completamente alla vendita, sia in Atelier sia online, e dove ora i tavoli sono riservati agli eventi e ai corsi di degustazione che normalmente organizzo il sabato.

In fiera (foto concessa)

Coerentemente con le premesse fatte prima, non sono soltanto sommelier e consulente, ma sono anche un’imprenditrice. In più, per conto dell’Associazione ProTea Academy che ho contribuito anche a fondare, tengo dei corsi di formazione professionale mirati al conseguimento della certificazione TAC Tea Sommelier. Questo percorso formativo è stato creato dalla Tea and Herbal Association of Canada (TAC), di cui ProTea Academy è partner esclusivo per l’Italia.

Sono stata la prima in Europa ad ottenere questa certificazione internazionale, nel 2015, seguendo un corso della durata di circa due anni: 8 moduli da 6 settimane ciascuno, online. Parliamo di un percorso come quello del vino, molto impegnativo. L’Associazione canadese che ha erogato le lezioni, mi ha chiesto in seguito di occuparmi per loro in Italia della parte di formazione. Nel 2013 avevo già scritto un libro, “Tea sommelier”, proprio su questo tema ero già una pioniera, ma ho voluto certificarmi ufficialmente e portare questa professione in Italia.”

Lombardi: “Credo che il tè sia l’alternativa analcolica al vino”

“Da bere e da abbinare in qualsiasi momento della giornata. Purtroppo attualmente sono pochi i gestori abbastanza illuminati che ne comprendono il vero potenziale al punto da rivalutarlo all’interno della loro offerta. Oggi spesso si arriva al paradosso che sono più numerosi i consumatori appassionati e informati sul tè, rispetto a chi li serve nei locali.

Tè verdi (foto concessa)

Un grande ostacolo nella sua diffusione rimane il fatto che il tè viene commercializzato sottolineandone soprattutto i benefici per l’organismo: certo esistono, in Cina se ne parlava già secoli fa e oggi le ricerche lo hanno confermato, ma non si può parlare del tè solo in termini medicinali. Questo è un limite per poter conquistare gli italiani, che vogliono invece bere qualcosa di piacevole ed esperienziale. Deve passare il messaggio che è una delle bevande più versatili in termini di abbinamenti e di orari, ancora più del caffè.

È più facile conquistare il neofita del tè se questo viene proposto in un determinato contesto, attraverso un percorso coinvolgente ed emozionante. Pensiamo, ad esempio, ai numerosi tè, oltre al celebre matcha, che possono essere utilizzati anche in cucina come ingredienti insoliti per delle esperienze gourmet”.

Ma un sommelier del tè che cosa deve sapere?

“Sicuramente deve conoscere il prodotto in modo poi da poter trasmettere la stessa esperienza ai clienti.

Deve almeno possedere una conoscenza di base delle bevande che mette in menù e poi bisogna saperle preparare adeguatamente. Per cui la formazione è essenziale: il tè non è qualcosa che si stappa e si versa in un bicchiere. Chi lo serve deve esser in grado di riconoscere l’acqua migliore per il tè, la temperatura corretta, il tempo di infusione, la scelta degli accessori. Spesso nei bar per esempio, l’acqua per preparare il tè è la stessa che esce dalla lancia a vapore utilizzata per montare il latte, con risultati facilmente immaginabili.

Essenziale anche la fase di selezione dei vari tipi di tè ed essere poi in grado di presentarli efficacemente. Spesso invece nel menù non c’è mai un racconto del prodotto e chi chiede un tè di solito legge soltanto il prezzo e poi a sorpresa gli viene portata al tavolo una scatola con delle bustine assortite, le stesse che passano da un cliente all’altro. Le indicazioni su cosa si trova in tazza, non sono sempre presenti, anzi.

Altro elemento che un sommelier deve curare è la descrizione sensoriale: spesso dietro il nome di fantasia usato per chiamare la materia prima, non si comprende di quale tè si parla, verde, bianco, se è aromatizzato o ci sono altri ingredienti, se invece è una tisana, in che momento è meglio berlo durante la giornata, con cosa magari è più appropriato accompagnarlo.”

Che cosa si può assaggiare in una tazza di tè? E come in base a ciò che si avverte, si possono studiare degli abbinamenti?

“Ci sono mille sfumature naturalmente. Partiamo dal fatto che ci sono grandi famiglie o macro categorie a cui riferirsi e a seconda delle lavorazioni che le foglie del tè hanno subito, si possono apprezzare diverse caratteristiche. Per quanto riguarda gli abbinamenti, le possibilità sono altrettanto infinite. Creando una carta del tè, oltre all’aroma e al gusto, bisogna pensare al corpo e alla struttura, per cercare di non sovrastare un piatto o, al contrario, di non riuscire a reggere il confronto con un cibo più complesso e dominante.

Quando si pensa al pairing, il principio è di procedere dal più chiaro allo scuro, dal leggero al forte. A volte ci sono tè verdi che sono più chiari dei bianchi per esempio, quindi bisogna guardare bene anche questo aspetto. In una selezione di diversi tè, si inizia da quello più delicato e sottile (di solito i bianchi, i verdi, gli wulong a bassa ossidazione) per poi arrivare a quelli più corposi (wulong ad alta ossidazione, neri o rossi ossidati e neri fermentati).

Specifico che noi chiamiamo comunemente il tè nero quello che in realtà sarebbe tè rosso ossidato. I verdi sono gli unici che non subiscono il processo di ossidazione; i bianchi e i gialli sono leggermente ossidati; gli wulong sono parzialmente ossidati. Per ottenere l’ossidazione, durante la lavorazione, le foglie vengono lasciate per diverse ore a contatto con l’aria, fino a quando non si sono parzialmente o completamente scurite.

Esiste poi anche la famiglia dei tè neri fermentati: una specialità cinese ora prodotta anche in altri Paesi. Con la fermentazione si ha una vera e propria stagionatura, non sono tè pronti subito, ma ci vogliono anni prima di arrivare alla maturazione completa.

In ogni caso, qualsiasi sia la bevanda di riferimento, si deve sempre considerare il momento della giornata che si vuole coprire così come le esigenze di chi lo beve. Se si vuole abbinare ad un certo tipo di pasto, ci vuole un tè che abbia un peso e una consistenza coerente.

Il pairing con il tè (foto concessa)

Un’idea semplice può essere l’accompagnare dei verdi giapponesi con il riso, crostacei, molluschi, sushi. Se si opta, invece, per il salmone, che risulta più pesante, si deve aumentare anche la struttura del tè e passare ad esempio ad a un tè di Ceylon. Per sgrassare invece l’ideale sarebbe un Darjeeling, che è più astringente e bilancia il fritto. Il gioco funziona quando un piatto e un tè trovano il giusto equilibrio senza che nessuno domini l’altro, oppure con i contrasti, che sono però più difficili da creare ma estremamente interessanti.”

In Italia quindi che cosa vede rispetto al tè?

Lombardi: “Come Associazione abbiamo contato dal 2016, più di 600 studenti per il percorso TAC Tea Sommelier e, mediamente, sono necessari circa due o tre anni per farsi un bagaglio di esperienze e competenze, comprendere la qualità di un tè e poterlo presentare correttamente.

A gennaio abbiamo lanciato un format più breve, orientato più sul servizio, chiamato Tea Barista PRO: la nostra massima aspirazione è quella di rivoluzionare il servizio del tè nell’horeca. Le caffetterie meritevoli sono poche, per questo vorremmo creare un network di professionisti certificati da ProTea Academy capaci di preparare e servire con competenza ed expertise anche i tè e gli Herbal Teas.

In 8 ore di formazione, online e dal vivo, partiamo proprio dagli errori commessi nella maggioranza dei bar, in modo da sistemare praticamente l’offerta. Inoltre, spieghiamo come creare un afternoon tea asiatico, inglese o rivisitato in stile italiano, magari abbinando i tè alle proposte del menu. Inoltre, un occhio di riguardo è riservato alle nuove tendenze. Per citarne solo alcune: matcha, chai latte, bubble tea, cheese tea…

Per il momento il riscontro è stato positivo: lo riproponiamo anche questo mese e siamo fiduciosi che gli iscritti saranno in tanti. Oltre alla preparazione classica del tè nei locali, cerchiamo di fornire dei consigli mirati alle esigenze specifiche di chi ha una propria attività. Per esempio, in un hotel si può dover gestire contemporaneamente un servizio del tè dentro la spa, uno dentro la lounge, ma anche la selezione nelle camere o nella colazione a buffet: noi dobbiamo sempre porci l’obiettivo di fornire una soluzione più funzionale in base al contesto, senza mai rinunciare alla qualità.

La mixology con il tè (foto concessa)

Come spiegavo, ci siamo concentrati sulle nuove tendenze: il pairing – in Italia siamo fortunati e potrebbe guadagnare la giusta visibilità che merita. Pensiamo solo alla ricchezza del territorio in termini di innumerevoli località turistiche, prodotti tipici e ricette territoriali – la mixology – abbiamo anche organizzato per tanti anni delle competizioni a livello nazionale e internazionale, la Tea Masters Cup, in cui abbiamo coinvolto tanti bartender che hanno realizzato ricette molto interessanti e il vincitore veniva poi portato alla finale mondiale per rappresentare in gara il nostro Paese – il cold brew e le preparazioni a freddo che funzionano molto bene e i sifoni per preparare il nitro e lo sparkling tea. Nel Tea Barista PRO insegniamo tutte queste possibili declinazioni. “

Lombardi, ma i consumatori quindi stanno cercando sempre più il tè in foglie?

“La richiesta da parte dei consumatori di un tè “diverso” in foglie, c’è. Una grossa fetta si avvicina ancora per questioni salutistiche, ed è certo un trend da cavalcare, senza però limitarci a questo aspetto. La sua versatilità invece premia molto e si deve insistere sul concetto che non esiste un orario preciso per poterlo bere: dipende molto dal suo contenuto di teina.

I giovani poi oggi viaggiano e stanno molto apprezzando il Bubble Tea, una versione che serve per avvicinare a questo mondo più complesso. Stesso discorso per il matcha che ultimamente spopola e può essere anche questo un canale per entrare nel circuito più ampio. La mia clientela ha avuto tante esperienze fuori dall’Italia, anche in America, che insieme al Canada ha registrato una crescita del 20% annuo di consumo del tè, mentre in Italia, abbiamo assistito ad un aumento di richieste per la formazione durante il lockdown da parte di professionisti e appassionati. Tanti sono passati allo smartworking e questo ha portato le persone ad acquistare online tè di alta qualità per poterselo preparare con calma a casa. “

Il tema del prezzo non esiste per il tè nei bar?

“Nei bar il problema è che la cattiva qualità assieme alla pessima preparazione fanno sì che il prezzo a cui di solito è venduto il tè sia troppo alto. Offrendo invece una buona materia prima e una corretta esecuzione, si potrebbe parlare di alzare i costi.

Capisco che il tè ha bisogno di un tempo di consumo più ampio e questo quindi tiene occupato il tavolo per maggior tempo e va monetizzato, ma all’estero non c’è così tanta differenza tra la voce di costo di un buon caffè e di un buon tè. Le persone pagano anche 4/5 euro un cappuccino così come fanno per un tè. In Italia quindi attualmente si paga tanto per avere un’offerta medio bassa.

Il prezzo forse è solo giustificato dall’investimento temporale che il gestore deve poter recuperare. Il tè-tisana – spesso messi insieme in una sola voce – è una bevanda che può costare sino ai 7/8 euro ma è per lo più un aumento legato a location esclusive , non certo per standard elevati del prodotto proposto o del modo in cui viene presentato. Risulta sempre un po’ abbandonato, senza un racconto che stimoli il consumatore ad ordinarlo.”

Ma la soluzione per cambiare questa dinamica quale sarebbe secondo lei?

“Quando pubblico la programmazione dei miei corsi, non solo quelli professionali ma anche le degustazioni guidate di 2/3 ore in Atelier, mi confronto con diverse persone che sono curiose. Quindi la clientela potenzialmente interessata c’è, bisogna saperla coltivare e fidelizzare. In Italia il tè, per diventare di moda, deve passare anche attraverso le caffetterie, le pasticcerie e i cocktail bar, simboli dell’italianità e della convivialità”.

Ci sono difficoltà a importare il tè?

Giappone -Sencha Coltivazione (foto concessa)

“È facile se arriva da altri Paesi europei. Diventa complesso importare piccoli lotti direttamente dai Paesi di produzione, per via dei controlli doganali giustamente molto rigidi: verificano se i tè rispettano i parametri specifici relativi alla presenza di pesticidi e gestiscono una serie di procedure costose che richiedono analisi di laboratorio. Per le importazioni dall’Oriente, è meglio affidarsi a spedizionieri e a importatori competenti in merito alle normative e alle pratiche burocratiche da gestire”.

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