MILANO – Cerchiamo di fare il punto sullo specialty coffee, bevanda che è arrivata con la Third Wave a coinvolgere anche i palati italiani negli ultimi anni. Inizialmente un prodotto di nicchia, che però sta sempre più guadagnando il suo spazio all’interno del mercato. Anche in un Paese dove l’espresso è protagonista nei bar, la moka e le capsule dentro casa, lo specialty è sempre più una realtà diffusa insieme a metodi di estrazione alternativi. Ma per parlare di questo non potevamo che consultare il pioniere italiano dello specialty coffee: Francesco Sanapo condivide con i lettori il suo punto di vista sull’attuale stato del settore.
di Francesco Sanapo
Sanapo: “Basta bufale… Lo specialty coffee è un buon caffè” e parla anche italiano
“Da qualche anno ormai possiamo definire lo “specialty coffee” come qualcosa di sdoganato. Certo, siamo ancor lontani dal considerarlo un fenomeno di massa, eppure oggi sempre più persone usano questa definizione, grazie ai social e alla stampa generalista. Non è da sottovalutare neanche l’interesse di grosse aziende del settore che con il loro contributo stanno allargando il raggio di espansione dello specialty coffee.
Oggi mi capita di vedere sempre più persone interessate al mondo del caffè di
qualità, e questo (che quasi definirei una sorta di fenomeno generazionale), se gestito bene, può essere il grande cambiamento tanto atteso. Quello che può finalmente portare reali benefici all’intera filiera, dai margini economici del produttore, fino al
riconoscimento della professionalità economica e morale del barista.”
Sanapo: Sento di poter dire che è arrivato il nostro momento
“Quello atteso da quasi venti anni, ma bisogna sfruttarlo per bene: è la nostra occasione, bisogna gestirla con attenzione e con entusiasmo, non possiamo sbagliare e soprattutto non dobbiamo spaventare la gente.
Questa riflessione nasce dopo una discussione avuta con un amico d’infanzia, gestore di un ristorante, che mi raccontava di come percepisse difficile e complesso un avvicinamento allo specialty: “Francesco, per fare specialty bisogna essere degli scienziati, piccoli chimici, ci vuole tempo e tanti soldo. Insomma, bere specialty non è per tutti ma solo per pochi eletti”.
Questa sua affermazione mi ha fatto tanto pensare e onestamente mi ha lasciato un po’ perplesso, perché se questa idea di “speciality coffee innarivabile”, che non è per tutti continua a prendere piede, tutto il lavoro svolto finora per istruire la gente e coinvolgerla in questa nuova esperienza verrà sprecato e di questo bagliore non rimarrà che una piccola nicchia. Termine che, per altro, non apprezzo molto quando indica la conoscenza della bevanda.”
Portiamo lo specialty coffee alla gente
Continua Sanapo: “Semplifichiamo tutto quello che c’è dietro e concentriamoci sul rendere il consumo del caffè un rito di grande valore. Facciamo sì che tutto quello che è racchiuso all’interno della tazzina diventi una pura esperienza per il consumatore.
Perché, se ci pensate bene il vero significato di specialty è buono, nel suo gusto e nella sua etica.
Semplice, vero?
Inoltre ricordo che lo specialty coffee non è e non deve essere tutto uguale: ogni paese ha le sue interpretazioni, derivanti da preferenze di gusto, e perché no, da percorsi storici differenti. Non siate critici con un italiano se si scandalizzerà a bere una tazza di espresso di una torrefazione dallo stile nordico, terribilmente sbilanciata in acidità, perché magari il suo palato e la sua mente non lo riconoscono come espresso.
Ai miei colleghi italiani mi sento di consigliare di lavorare cercando un’autentica interpretazione dello speciality coffee
E di essere fieri di tutto quello che lo specialty italiano ha fatto dalla sua origine ai giorni
nostri. Lo specialty italiano infatti vanta professionisti riconosciuti a livello internazionale ed è da queste realtà che bisognerebbe ripartire per il nuovo caffè italiano e così lavorare nella diffusione del marchio made in Italy.
Vorrei che tutti fossimo più orgogliosi del nostro Paese e del contributo che i professionisti e le aziende italiane hanno dato e continuano a dare all’intero settore. Dovremmo essere anche meno critici e dare meno credito a ciò che spesso viene scritto sui social riguardo il nostro modo di fare e interpretare caffè, perché non si fa altro che incentivare un’idea
sbagliata del caffè italiano. Attenzione però: con questo non voglio dire che non esistano operazioni di cattivo costume e bassa qualità, ma basta non prenderli in considerazione e senza dubbio non usarli come esempio del paese.
Un’immagine che mi ha fatto molto ridere
E che ha spopolato sui social la settimana scorsa riguardava molti colleghi della scena “specialty” intenti a ironizzare sui metodi di assaggio: il cupping nel resto del mondo e una tazzina di espresso con lo zucchero che galleggia in Italia.
Immagine goliardica senza dubbio, ma puramente falsa, in quanto in Italia si è iniziato a fare cupping o assaggio alla brasiliana quando ancora lo specialty non esisteva. Persone come Alberto Hesse o Vincenzo Sandalj, solo per citarne due e ricordarli, assaggiavano usando questo metodo prima ancora che lo specialty coffee prendesse forma.
Smettiamo di autodefinirci il Paese della robusta o del caffè di bassa qualità, perché se vogliamo che il nostro lavoro inizi a avere il riscontro desiderato in Italia e all’estero, dobbiamo unirci per diffondere insieme il “buono e il bello” del “nuovo caffè italiano”.
La mia ambizione più grande per tutta la comunità di amanti della bevanda è quella di dare un contributo alla riscrittura della gloriosa storia del caffè italiano, aggiornarla, elevarla nella sua qualità, ma soprattutto migliorarla nella percezione del suo valore.
Ci stiamo lavorando…”
Lasciamo infine il video che ha pubblicato sul suo profilo Instagram, sull’argomento: https://www.instagram.com/tv/CMXpQsrqtoI/?igshid=94o1800u8f1w
Francesco Sanapo