Di Francesco Sanapo
Parliamo del caffè sempre come prodotto finito e servito e sono pochissime le volte che si parla delle sue caratteristiche a partire dalla sua origine; invece ritengo sia di fondamentale importanza dare maggiore valore a tutto quello che precede la consumazione di questa bevanda nei bar.
Con questo articolo vorrei cercare di dare qualche nozione in più sul caffè, permettendo a professionisti o semplici curiosi di saperne qualcosa in più.
Il caffè è un arbusto sempre verde, appartenente alla famiglia botanica delle Rubiaceae e come quasi tutti gli alberi dà i suoi frutti, le drupe (molto simili al frutto della ciliegia), ogni frutto contiene due semi, che altro non sono che i semi della stessa pianta, ricoperti da una sottile membrana chiamata pergamino e dalla polpa (mucillagine).
I semi poi una volta estratti sono tostati diventando così il caffè cui siamo abituati, e fin qui è tutto quello che di accademico uno apprende immediatamente.
Ma noi oggi cercheremo di andare oltre la semplice classificazione della pianta del caffè secondo le leggi botaniche, attraverso il racconto di esperienze ed emozioni realmente accadute.
Questi alberi sono caratterizzati da diversi fattori, uno su tutti e forse il più importante è dato dalla biodiversità che circonda la pianta, per esperienza personale mi è capitato di assaggiare 2 caffè del Guatemala coltivati a 300mt di distanza uno dall’altro, tutti e due arabica ma uno di varietà red bourbon e l’altro di varietà yellow bourbon: vi assicuro che erano due caffè completamente diversi, come diverse erano le piante d’ombra che circondavano la pianta di caffè e diverse erano anche le tecniche agricole usate dagli agricoltori. Insomma si fa presto a chiedere un caffè!
Il caffè cresce in diversi territori tra il tropico del cancro e il tropico del capricorno, nella fascia centro-equatoriale. La pianta ha bisogno di determinate caratteristiche climatiche, per questo non può crescere nelle nostre terre, fatta eccezione per le Isole Canarie, più precisamente nella Valle di Agaete.
Il caffè ha bisogno di una temperatura tra i 15C° e 25C° con altitudini che variano dai 200mt ai 2000mt sopra il livello del mare.
Ma forse anche questo l’avrete sicuramente sentito milioni di volte, però vi vorrei rendere partecipe di una particolarità che caratterizza la Finca Santa Petrona in El Salvador: mi trovavo alle appendici del vulcano Sant’Anna e durante la mia visita ho notato che l’azienda, estesa su 17.67 ettari, era suddivisa in 11 differenti micro lotti distribuiti in diverse posizioni e varietà botaniche; ancora ricordo il racconto del produttore che metteva in evidenza la diversa esposizione al sole dei micro lotti e i differenti venti che vi spiravano, caratteristiche che influiscono enormemente sul caffè.
Che ne dite?
Possiamo andare oltre il concetto del 100% Arabica?
Le due specie botaniche (ne esistono più di 60) più conosciute e commercializzate sono la Coffee Arabica e la Coffee Canephora, di cui la varietà più conosciuta di quest’ultima è la Robusta (è errore perciò definire la Robusta una specie botanica. Per chi volesse avere conferma:http://www.ico.org/botanical.asp ).
La Coffee Arabica invece ha più varietà diffuse e commercializzate, tra cui: Cattura; typica: mundo novo; cattuai; bourbon; maragogype; pacas; pacamara; villa sarchi; sl28; sl 34; geisha; ethiopia heirloom; villa lobos e sicuramente tante altre che non ho avuto la fortuna di assaggiare.
Tutte queste varietà hanno caratteristiche completamente differenti che contribuiscono a caratterizzare il nostro caffè in tazza. Purtroppo spesso non si fa attenzione a questi particolari di fondamentale importanza e si usa generalizzare con il termine 100% Arabica.
Voi cosa ne pensate?
Non sarebbe più giusto almeno tra gli operatori del settore essere più precisi?
Caratterizzante, è anche il metodo di raccolta e lavorazione dello stesso caffè; come tutti ben sapranno nei nostri porti arrivano solo i chicchi di caffè crudo, già puliti dalla polpa e dal pergamino pronti per essere tostati, ma prima di giungere a questo punto, è necessario conoscere e valorizzare il grande lavoro dei produttori nei benefici (o Mulini di lavorazione).
Il raccolto e i processi di lavorazione, a mio avviso, sono la parte del ciclo produttivo in cui maggiori sono gli sforzi dei produttori, perché è necessario selezionare la perfetta maturazione della bacca, quindi il momento in cui la drupa ha raggiunto il suo livello ottimale.
Pensate che in Costa Rica, presso una delle coltivazioni da me visitate, l’agronomo precedeva i raccoglitori di caffè per misurare l’esatto contenuto di zucchero nelle drupe, per poi indicare loro la zona di raccolta del giorno.
Dopo la raccolta si passa ai processi di lavorazione, quindi all’eliminazione della polpa e del pergamino. Ecco alcuni metodi: whashed; dry; semi-washed; pulped natural; honey process; black honey; per ognuno di questi differenti processi ci saranno diverse sensazioni aromatiche e gustative in tazza.
Una volta effettuati tutti questi passaggi il caffè, come già detto, arriverà nei nostri porti e successivamente nelle nostre torrefazioni, dove attraverso la tostatura si darà un profilo aromatico. Ritengo che questo punto possa caratterizzare in maniera netta la nostra bevanda.
Un buon torrefattore deve riuscire nella grande impresa, attraverso la tostatura, di rendere quel caffè bilanciato, ciò significa che dovrà trovare l’esatto equilibrio tra l’acidità, l’amaro e la dolcezza.
Esistono diverse scuole di pensiero su come tostare il caffè, ve ne elenco sommariamente 3 diverse tipologie in base al livello di tostatura, in modo tale da farvi riconoscere il prodotto che avete acquistato o che state usando nel vostro bar:
Light roast: darà alla bevanda maggiore acidità e maggiore aroma naturale di caffè, conducendo il palato a diverse esperienze sensoriali, che vanno dal fruttato al floreale dal cioccolato a note di frutta secca.
Ritengo questo profilo di tostatura sicuramente valido per metodi di estrazione privi di pressione (es: Filter coffee; pour over). Bisogna fare attenzione però a non esagerare con il “Ligth roast” perché si rischierebbe di estrarre dal caffè solo note vegetali.
Medium Roast: con questo livello di tostatura avremo maggiore dolcezza dovuta al processo di caramellizzazione, riducendo l’acidità e limitando l’amarezza.
Dark roast: io personalmente non sono un grande estimatore di questa tipologia di tostatura, perché a mio avviso rende il caffè amaro e piatto, sostituendo completamente il gusto naturale del caffè con sentori di bruciato e di fumo.
Questa tipologia sviluppa con più facilità la formazione di oli sulla superficie del chicco, che a loro volta come tutti gli oli dopo pochi giorni tenderanno a irrancidire, dando al caffè sentori di rancido ed elevata astringenza.
Allora perché non approfondire? Perché non andare alla scoperta di come il nostro caffè viene lavorato prima di arrivare in tazza?
Io sono del parere che la famosa miscela segreta, tramandata da anni di storia è forse giunta al termine del suo fascino, forse è arrivato il momento di comunicare cosa c’è dentro e di dare valore aggiunto al prodotto che ci viene fornito.
Questi i punti di domanda che vi pongo nella speranza di accendere in voi lettori una maggiore curiosità. Questi i punti di riflessione che voglio condividere nel più semplice dei modi con tutti voi, cercando di dare un minimo di conoscenza su tutto quello che c’è dietro una tazzina di caffè.
Dopo la lettura di questo post spero che il prossimo espresso ordinato sia accompagnato dalla seguente domanda: di che tipologia è il caffè che andrò a bere?
Vedremo cosa emergerà?