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mercoledì 26 Marzo 2025
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Francesca Surano, racconta il cacao Umami dell’Honduras, che riesce a crescere a 1.100 metri

Surano racconta: “Con i soci stiamo valutiamo di piantare idealmente almeno sino a 2000 piante. Sarebbe il range perfetto per una buona fermentazione, per un processo controllato e una sostenibilità economica che aiuti la finca al suo finanziamento e crescita. In generale ad oggi, l’interesse è quello di reinvestire per garantire migliori condizioni di lavoro e di vita. "

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MILANO – Parla su queste pagine un’altra volta, Francesca Surano, consulente di caffè per aziende e fondatrice di santa domenica, un progetto nato da meno di un anno in Salento che si impegna non solo a diffondere la cultura del caffè specialty attraverso l’importazione diretta, la tostatura e la vendita del prodotto ma anche a vendere generi alimentari buoni, giusti e di filiera corta.

Surano si occupa di divulgazione dallo specialty sin dal 2009 e, dal 2014 si è unita al team di Umami Area, sotto la guida del caffesperto Andrej Godina, in Honduras. Ed è proprio qui che adesso il caffè si è affiancato ad un’altra coltura, il cacao.

Surano racconta la genesi e lo sviluppo di quest’ultimo progetto Umami

Che ha trovato spazio nella stessa piantagione acquistata dal gruppo nel 2017: 45 ettari distribuiti su una montagna, di cui circa la metà lasciata come zona boschiva e il resto destinato alla produzione agricola. Per il rispetto della biodiversità, vengono alternate la produzione di caffè a quella di altri prodotti, come ad esempio le banane: c’è sempre la necessità di piantare alberi da frutto per creare ombra e rispettare la salute dell’ambiente e delle piante.

Surano: “Con questo in mente e soprattutto tenendo conto del cambiamento climatico che modificherà per forza le pratiche agricole, qualche anno fa ho proposto la coltivazione di cacao nell’area che è situata ad una minor altitudine, condizione sine qua non il cacao non è in grado di sopravvivere.

Nessuno prima di noi ha avuto il coraggio di provare in questa zona, tuttavia mi è stata data fiducia, forti anche della mia esperienza pregressa in altre piantagioni di cacao di alcuni Paesi del centro America tra cui Colombia, Costa Rica e Brasile. Abbiamo quindi destinato al cacao circa un ettaro di terra e a distanza di tre anni, così come erano le nostre più rosee aspettative, abbiamo raccolto i primi frutti.

In termini di volumi parliamo di una produzione ancora limitata per soddisfare una sostenibilità economica: abbiamo bisogno di molte più piante e fave di cacao per ottenere un cioccolato “fino di aroma” e poi vendibile in Europa a un prezzo congruo per ottenere dei ricavi da reinvestire nel progetto o per finanziarlo.

I numeri che abbiamo raggiunto sin qui da poco meno di 300 piante, ci sta dando la possibilità di ricavare delle piccole prove di produzione, di fermentazione, di trasformazione in generale in cioccolato: questo ci aiuta già a comprendere come e se sia possibile migliorare la qualità sensoriale della materia prima e se convenga investire nel territorio creando una piccola realtà di trasformazione in loco in grado di sostentare la cooperativa, piuttosto che esportarla per lavorarlo in Italia.

Tra lo scorso anno e quello corrente abbiamo ottenuto attorno a 300 chili di fave e quest’anno il raccolto è davvero abbondante.”

Surano: “Questo progetto è ancora in fieri, siamo in una fase embrionale.”

Dentro la materia prima (foto concessa)

“Abbiamo però dimostrato in generale, che in questa zona è possibile far crescere bene il cacao e che questa materia prima può rappresentare un’opportunità per i produttori, sia sul piano della biodiversità che al fine di differenziare la merceologia caffè.

La cooperativa a cui ci appoggiamo per tutte le pratiche agricole per le grandi quantità di caffè da processare, si è mostrata interessata a formarsi per produrre sia cacao che cioccolato. Al quarto anno del progetto abbiamo raggiunto una produzione piena di tutte le piante, e ora al quinto abbiamo raggiunto dei risultati già notevoli.

Abbiamo piantato 4 varietà differenti di cacao: parliamo di criollo ma, a differenza del caffè, sappiamo che la pianta di cacao non si autoimpollina e i primi anni si crea inevitabilmente un’ibridazione tra le diverse piante. Chi è dentro il mondo della produzione di questa materia prima, per questo fa bene attenzione a definire specificatamente le varietà botaniche, perché con il cacao è un po’ complesso farlo.

Il concetto di terroir però è sempre il medesimo: si può trovare un’esposizione migliore di un’altra, una zona più adatta per la maggiore presenza d’acqua, dev’esserci un minimo di ombra, verificarsi un periodo di grande abbondanza di acqua susseguita da periodi di siccità, quindi ci si deve trovare in un clima tropicale. È tutto molto simile alle condizioni del caffè eccetto per l’altitudine.

Il nostro solo dubbio era appunto legato a quest’ultimo fattore, tuttavia il cambiamento climatico sta rendendo possibile la coltivazione in zone meno elevate della montagna, come nel nostro caso, a circa 1100 metri. – continua Surano – Nella nostra piantagione, con l’aumento del lavoro, abbiamo impegnato due famiglie in queste due colture. Abbiamo trasmesso le conoscenze e fornito gli strumenti adatti a produrre questa materia prima, in termini di gestione e management della terra e della pianta, ma anche dei processi di raccolta di fermentazione ed essiccatura.”

Surano: “Per le prove di trasformazione in cioccolato ho deciso di portarlo in Italia.”

Francesca Surano in piantagione (foto concessa)

“Mi sono fatta carico di questa fase, soprattutto studiando quale fosse il metodo più congruo alla lavorazione del nostro cacao in collaborazione con il mio amico di Fossano, il chocolate makers Federico Dutto di Lim Chocolate, il quale ha dedicato a questo progetto il tempo prezioso e la sua competenza.

Non è scontato riuscire a fermentare ed essiccare in maniera corretta. Tutte queste fasi sono state frutto di diverse prove: ad oggi il prodotto non è ancora sul mercato e sarà disponibile alla vendita quando sarà perfetto.

Ancora c’è da lavorare sul lato sensoriale: necessitiamo di più fave di cacao per attivare una loro buona fermentazione spontanea. Dopo la raccolta infatti, le fave devono essere processate attraverso una fermentazione spontanea che si attiva grazie alla polpa del frutto. Per far sì che si raggiungano le temperature ideali però, c’è bisogno di un grosso quantitativo di fave: noi ancora non siamo arrivati a quel punto, raggiungiamo solo il minimo indispensabile.

Dopo due anni di raccolta, abbiamo capito che abbiamo quindi bisogno di piantare più piante di cacao. C’è chi favorisce questa fase attraverso la produzione di calore: alcuni Paesi che per esempio attraverso il fuoco riscaldano le casse contenenti le fave, ma i fumi contaminano dal punto di vista sensoriale la materia prima.

Quest’anno abbiamo provato a posizionare all’interno di un fermentatore meccanico un raccolto intero per vedere se fosse fattibile stimolare la fermentazione in questo modo. In effetti con questo input esterno, la temperatura aumenta, ma dal punto di vista economico non è una soluzione sostenibile.

Il modo migliore resta quello naturale. “

Il futuro e gli obiettivi del progetto

Surano racconta: “Con i soci stiamo valutiamo di piantare idealmente almeno sino a 2000 piante. Sarebbe il range perfetto per una buona fermentazione, per un processo controllato e una sostenibilità economica che aiuti la finca al suo finanziamento e crescita. In generale ad oggi, l’interesse è quello di reinvestire per garantire migliori condizioni di lavoro e di vita.

Ancora è prematuro pensare di stabilire un prezzo, ma sicuramente non sarebbe quello di un cioccolato commerciale. Con le cifre da record attuali, da qui ad un anno con le idee più chiare, il business plan andrà limato per comprendere i costi finali in uscita del prodotto a scaffale in Italia, in Europa, ma non solo: in futuro speriamo di produrlo direttamente in loco. Quando magari riusciremo a permetterci l’acquisto dei macchinari necessari. “

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