Sfogliare il calendario 2015 con Francesca Lavazza (FOTO) è un viaggio alla scoperta di un altro mondo. In una foto, c’è una donna etiope, bella e imponente, che sembra riempire lo spazio attorno a sé. «Si chiama Asnakech Thomas Biene» racconta Francesca. «Sua sorella è stata violentata ed è morta di parto a 12 anni. Lei ha studiato a Londra, poi è tornata a casa, ha avviato una coltivazione di caffè, ha salvato 49 varietà.
Obama l’ha invitata alla Casa Bianca, ma non è andata, perché aveva il raccolto. Il suo sogno è costruire un ospedale affinché altri bambini non muoiano come sua sorella».Poi, c’è un ragazzo fra i cammelli: «Lui è Roba Bulga: vicino ad Addis Abeba, ha creato il presidio del latte di cammello. Ha studiato all’università Slow Food di Pollenzo, poi in Africa ha organizzato 300 pastori».
La quarantenne Francesca Lavazza ha colori dolci e occhi azzurri, ma come Asnakech riempie lo spazio con la sua sola presenza. È amministratore delegato di Lavazza Holding, un’azienda che fattura 1,34 miliardi di euro, prima al mondo tra le monoprodotto. Quando è stata nominata assieme a sua cugina Antonella, che è presidente, si è dovuto cambiare lo statuto: per tre generazioni e 120 anni, la governance era stata maschile.
Francesca è anche responsabile dell’immagine del marchio. È stata lei, a febbraio, a voler sponsorizzare la mostra sul Futurismo al Guggenheim di New York. I Calendari Lavazza, firmati Helmut Newton, David LaChapelle, Annie Leibovitz, sono da sempre tra i più glamorous.
Ora The Earth Defenders, del fotografo Steve McCurry, realizzato con Slow Food, svolta sul sociale. C’è la coincidenza di Expo 2015, dove Lavazza cura l’ospitalità al Padiglione Italia; ma il lavoro di Francesca è iniziato dieci anni fa, col progetto ¡Tierra! in sei Paesi, che punta a generare raccolti ecosostenibili e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.
Qual è la differenza tra caffè sostenibile e no?
Il primo ha una storia e una prospettiva di lungo termine in qualità del prodotto, qualità della vita di chi lo produce e dell’ambiente in cui nasce. E ha la certificazione Rainforest. Per ottenerla servono 9 requisiti, inclusi il rispetto dei diritti dei lavoratori e il mantenimento della pace sociale.
L’intervento più difficile?
Assicurare il rapporto diretto e trasparente tra produttore e acquirente. In Sudamerica, gli intermediari speculatori sono detti coyotes: noi cerchiamo di saltarli.
La prima piantagione visitata?
Era in Brasile, grande quanto Lombardia e Piemonte. Ho avuto il senso della vastità del nostro lavoro. Anche perché l’intero raccolto equivaleva a soli tre giorni della nostra produzione.
Che altro l’ha colpita?
Che per quelle persone la differenza sta nel vivere e no. Se non dai formazione, il raccolto non rende, le varietà si estinguono. Noi arriviamo e chiediamo alle comunità locali di cosa necessitano. In Honduras, servivano scuole, strade, ospedali; in Colombia, case; in Perù, scuole. Ovunque finanziamo le attività artigianali delle donne col microcredito.
Steve McCurry documenta ¡Tierra! dal primo giorno.
Steve ha la grande capacità di esaltare la dignità delle persone. Sono stati viaggi avventurosi. A Bogotà, dovette essere recuperato dall’esercito. Ma la Colombia è anche un Paese che in 5 anni ha aumentato la produzione del 30%: i buoni rapporti con le autorità aiutano; in India siamo passati da 28 a 680 produttori, in Tanzania da 12 a 300.
Lei ha due figli, come racconta loro queste realtà?
Hanno 12 e 9 anni, sto per portarli in Tanzania a visitare la scuola di padre Peter. I suoi scolari, in uno scatto, lanciano per aria i chicchi di caffè: è un gioco di speranza, infatti abbiamo chiamato i progetti per l’infanzia “Future in our hands”. Lavazza, con Save The Children, ha costruito 18 scuole, formato 126 insegnanti, distribuito 7000 kit didattici.
E se dovesse scegliere una foto del vostro Calendario?
Quella delle donne di Kafa, una biosfera etiope protetta dall’Unesco, l’unica dove il caffè nasce spontaneamente, ed è la culla di tutti i caffè.