MILANO – Francesca Caon è una giovanissima Maitre Chocolatier che ha iniziato a specializzarsi sul cioccolato appena diciottenne: dalla sua prima competizione, il suo percorso di crescita professionale è andato avanti arrivando anche alle origini del cacao e si è trasformato in un brand di prodotti di qualità e artigianali, Caon Chocolate.
Caon, la storia dietro molti professionisti del cioccolato come lei è legata al territorio piemontese e alla pasticceria: qual è stato il suo personale percorso per diventare Maitre Chocolatier?
“Effettivamente noi piemontesi abbiamo una storia molto lunga nel campo del cioccolato, che io stessa porto nelle mie radici. Siamo cresciuti con le più importanti cioccolaterie storiche di Torino e non solo, pensiamo a Ferrero di Alba: tutte queste hanno condizionato l’evoluzione del cioccolato artigianale e industriale dei nostri luoghi e non solo.
Infatti, la maggior parte dei dolci tradizionali della pasticceria italiana deriva sempre dalle ricette piemontesi. Sicuramente abbiamo alle spalle uno studio dell’arte dolciaria davvero importante.
Quando ho iniziato a studiarla non ne apprezzavo il reale valore e ora, con il senno di poi, guardando anche molte persone che si improvvisano, so che molte basi scientifiche e chimiche servono a completare la competenza dietro al professionista che crea i prodotti.
L’enciclopedia della pasticceria e della cioccolateria è vasta ed è necessario conoscerla per partire.
Importante è creare delle buone basi per poi specializzarsi: ho sempre fatto la pasticceria e poi sono stata spinta dalla mia docente verso il mondo delle gare di cioccolateria. A 18 anni ho fatto la mia prima competizione senza avere delle fondamenta ben salde.
Successivamente ho investito per approfondire la materia prima.
Purtroppo i costi per diventare Maitre Chocolatier sono elevati e il percorso di studi è particolarmente oneroso. Un corso può costare tra i 1000 e i 2000 euro. Da quando avevo 18 anni ne ho seguiti tanti e sono ancora all’inizio della scalata.
Anche la cioccolateria è in continua evoluzione e ciò che andava bene 10 anni fa non funziona più oggi. Bisogna aggiornarsi.”
Il Maitre chocolatier esattamente, cosa fa e cosa è necessario avere in termini di competenze?
“Dev’essere non solo chi ti dice tutto sul mondo del cioccolato, riconoscere i suoi ingredienti principali, il temperaggio, il rifornimento della materia prima, ma sa anche offrire qualcosa che nell’industria non si può ottenere.
Deve prepararsi su tutta la filiera del cacao, che è qualcosa molto di nicchia. Altro aspetto fondamentale: esser competenti sul futuro e adottare un approccio diverso anche solo sul mondo del senza zucchero e della sostenibilità.
Anche la parte del digitale deve esser sviluppata: non sono tanti ad esser presenti su questo canale tra i miei colleghi più anziani.
Il suo potenziale era assolutamente sconosciuto prima di esser obbligati un po’ a studiarlo per la pandemia. La bottega fisica ancora vince nella mentalità di questo settore. Invece bisogna dare una chiave moderna: l’online è il futuro e si deve permettere di ordinare il proprio prodotto per arrivare nelle case.
Monto anche video in cui racconto e mostro la mia attività quotidiana, e questi sono diventati la mia bottega digitale. Sono io che comunico anche sui social direttamente con i miei clienti e così mantengo un rapporto diretto con loro.
Ovviamente non tralascio la parte fisica, partecipando agli eventi e alle manifestazioni. Ho un laboratorio ma non uno store: da una parte è un vantaggio perché ammortizzo i costi di affitto e personale, ma dall’altra è un problema perché si perde la gente di passaggio che solitamente frequenta sempre i negozi.
Quindi è più difficile in questo senso farsi conoscere. “
È una figura spendibile anche al di fuori della cioccolateria, magari in un ristorante?
“Di base all’estero è avvertita con maggiore autorevolezza. In Francia, Belgio, la cioccolateria affascina molto e anche tutto ciò che viene da fuori: l’Italia è molto forte, ma non siamo vocati all’internalizzazione.
Va bene lavorare con il territorio e quindi localmente, ma si dovrebbe avere anche un occhio verso altri Paesi con curiosità e innovazione. Ora l’italiano ha un approccio sempre più multiculturale e vuole poter scegliere rispetto alle novità del mercato.
La figura del Maitre chocolatier è molto ben vista all’estero quindi, ma sempre di più sono le aziende anche da noi che quando cercano informazioni si rivolgono ai professionisti specializzati.
Lo si potrebbe pensare simile al sommelier, anche se questi si trovano molto più facilmente nei ristoranti, perché sono gli stessi consumatori ad avere una maggiore conoscenza e curiosità sul vino.
Nel cioccolato ancora non si è pronti per uno specialista che sappia raccontare allo stesso livello il prodotto.”
Cosa invece deve saper fare il chocolate taster?
Caon: “E’ un degustatore, assaggia, acquista prodotti già confezionati disponibili online e dai produttori locali. Trascorre il suo tempo ad analizzare tutto il mondo del cioccolato, in modo molto professionale.
Faccio parte dell’International Institute of Chocolate & Cacao Tasting insieme a tantissimi alunni chocolate taster con cui analizziamo la fermentazione, la tostatura, ogni singolo aspetto della trasformazione per arrivare al nostro prodotto finito che è la barretta di cioccolato, esattamente come si farebbe con caffè e vino.
Però ho un punto di vista un po’ diverso, perché sono sia taster che artigiana e devo dire che si dovrebbe riflettere di più da assaggiatori: spesso si lavora in poco tempo su un prodotto e ci si ferma ad una prima impressione.
Invece si dovrebbe indagare molto di più: criticare con semplicità prodotti di alto livello che in quel preciso caso hanno presentato qualche difetto per qualsiasi motivo, può avere un effetto controproducente sull’azienda ed essere un giudizio parziale.
A volte si deve semplicemente confrontarsi con gli stessi produttori, che magari spiegheranno il perché di quel risultato.
La mia visione è: parlare con le persone alle origini. Non basta la tavoletta finita per definire tutto ciò che sta dietro di quel cioccolato.”
E a proposito, lei è mai andata in origine?
“Sì, sono stata in Perù nel 2018 a San Martin e in Mexico nel 2022. Sono andata a visitare Wolter chocolate che per scelta etica ha deciso di rispettare la biodiversità del territorio, con agrumi, alberi centenari, mango, non soltanto coltivando monorigine di cacao per non impoverire il territorio. È importante parlare con questi coltivatori per toccare con mano quella realtà.
Ad esempio ho scoperto qualcosa di nuovo, avendo chiesto ai produttori quali sono le malattie del cacao: loro me ne hanno elencate tre, quando io ne conoscevo soltanto una.
Questo dà la misura di quanto ignoriamo di ciò che accade in questi luoghi. Solo loro possono dare le giuste informazioni per comprendere anche i punti critici di materia prima e filiera.
Per questo cerco sempre di spiegare che si tratta di un cibo storico, legato alle civiltà pre-colombiane.
Ha una sua origine specifica che va rispettata. Mi affascinano molto i racconti sui Maya che ho approfondito ancora di più andando lì nei siti Archeologici come Chichén Itzá e Uxmal .”
Lei poi ha vinto tante competizioni, compresa l’ultima del 2023 nell’Italian /Mediterranean Craft Chocolatier Competition 2023: sono importanti questi riconoscimenti per la carriera professionale?
“Cinquanta e cinquanta: si può affermare o pensare di creare un cioccolato buono, ma soltanto una volta attestato da un giudice esterno sarà assodato. Partecipo alle gare per mettere alla prova e in discussione i miei prodotti.
Sicuramente le competizioni aiutano perché danno una maggiore visibilità soprattutto per chi è nuovo. Lo consiglierei per chi sta iniziando, senza mai tralasciare la fase dello studio e della ricerca e trovando il giusto equilibrio tra la ricetta dall’effetto wow per vincere la medaglia e le esigenze concrete del mercato.”
Come comunica lei il cioccolato di qualità artigianale al consumatore italiano, ancora un po’ a digiuno sulla materia?
“Questo è l’aspetto più difficile per chi ha un prodotto di questo valore da sponsorizzare. I social ci aiutano a condividere contenuti, seppur molto brevi.
Allora si devono sfruttare diversi canali, presenziando ad eventi, entrando nelle scuole, partecipando ai convegni: quelle sono le occasioni in cui si può far valere la propria competenza tecnica.
La mia mission non è solo vendere il mio brand, ma educare i consumatori e trasformarli i choco lovers di prodotti di qualità.”
Nel suo laboratorio, cosa sta studiando per il cioccolato del futuro?
“La risposta è forse un po’ banale. Vorrei soltanto che per una donna diventi più semplice portare avanti un’attività in proprio e avere una vita personale in equilibrio. Esser sempre reperibile e non potersi permettere di staccare mai, è difficile.
Per sviluppare il mio brand dovrei poter contare su un collaboratore e nel futuro mi piacerebbe averne uno di fiducia così da aiutarmi a crescere e avere allo stesso tempo una famiglia.
C’è un dato reale: le imprenditrici donne non hanno condizioni per la maternità alla pari di quelle che sono dipendenti. Ecco per me nel settore del cioccolato futuro sarebbe bello avere un’azienda florida e parallelamente una famiglia. Tantissime donne oggi sono di ispirazione e portano avanti questo discorso.
Prima o poi diventeremo una maggioranza che avrà un maggiore impatto.
Parlando invece del mercato: vorrei sempre di più un prodotto legato alla sostenibilità. Ormai soltanto l’5% dei miei imballaggi è di plastica. Quest’anno ho acquistato in Belgio un packaging di fave di cacao compostabile per i cioccolatini gourmet e ne sono felicissima.
In Italia ancora siamo indietro in termini di prezzi e rifornimenti di questo genere. Mi chiedo: se tutti cambiassimo in questa direzione, forse ci sarebbe più richiesta e i costi sarebbero alla portata anche dei piccoli artigiani.
Purtroppo non si può fare molto altro in termini di filiera, perché si devono affrontare per forza i trasporti per appropriarci della materia prima di altri Paesi. Si può scegliere di collaborare con dei fornitori che lavorano in maniera responsabile ed etica e portare avanti lo stesso discorso per i fornitori italiani.”