domenica 22 Dicembre 2024
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Il fotografo Michael Gardenia: “Vi spiego come parlare di caffè sui social”

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MILANO – Caffè sempre più trendy anche sui social. All’hashtag caffè rispondono 1,5 milioni di feed su Instagram. Volendo fare la controprova con la lingua universale, ossia l’inglese, il conto sale a 100 milioni per #coffee. Un dato, un indicatore di popolarità, che dà un’idea dell’importanza che le reti sociali già rivestono per l’universo del caffè.

Come comunicare efficacemente su queste piattaforme tenendo presento lo specifico dei loro linguaggi? La risposta in questo interessante contributo pubblicato sul notiziario di HostMilano.

Certo non è scontato parlare di caffè sui social: non è colorato come un rainbow cappuccino o un gelato né geometricamente perfetto come un impiattamento stellato. Difficile rendere la sua complessità in un post.

Abbiamo chiesto lumi a un esperto, Michael Gardenia, che oltre a essere un grande appassionato di caffè (con tanto di macchina semiprofessionale in studio) è anche fotografo e creatore di contenuti per i social media con la sua società fusillolab.

Come si comunica il caffè sui social?

Bisogna cercare di creare delle situazioni. Del caffè a me piace molto il mondo che si crea intorno, la socialità, l’incontro tra persone. Però Facebook e Instagram vanno approcciati in modo diverso: Instagram è più visual, ispirazionale, Facebook più adatto a evocare situazioni di consumo. Per Facebook creo piccole storie, sempre diverse, divertenti o anche molto quotidiane come il coinquilino che ti finisce le capsule e non te lo dice.

Come hai iniziato a interessarti di caffè?

Per gli italiani il caffè è una commodity, un bisogno di caffeina. Io sono attento alle provenienze, prediligo le microroastery. Traggo molta ispirazione dai viaggi che faccio all’estero, che ha molto da insegnarci. In Italia non sempre ci concentriamo sul miglior risultato in tazza, c’è chi lo fa meglio.

A che punto è lo specialty in Italia secondo te?

Non c’è ancora interesse, si inizia a parlare di single origin ma se poi ti dicono che un caffè è 100% Brasile è come dire che una scarpa è fatta di pelle. Non vedo tanta volontà di approfondire. Eppure lo specialty è come lo slow food, c’è l’attenzione alla produzione, alla tostatura fino al consumo. Un approccio autentico, un’attenzione che andrebbe comunicata meglio. Un mondo complesso e meraviglioso, che sto cercando di aprire al pubblico italiano. Dove vigono ancora molti pregiudizi, come che all’estero l’espresso è imbevibile e magari invece costa 3 euro perché fatto con una monorigine pregiata.

Poi ci sono gli ambienti, le caffetterie, i bar …

Quando hai un’attenzione così profonda alla materia prima in tazza la tua ricerca si trasmette anche al resto, al design, all’ambiente. Anche la proposta food diventa ricercata. In Australia ho visto caffetterie che sembravano ristoranti stellati ma lì è normale che la caffetteria sia un luogo “speciale”, in tutti i sensi.

Domanda finale: qual è il “gattino” del caffè, ovvero l’elemento visivo che “attira” like e interazioni?

Faccio una classifica: al primo posto c’è la Latte Art, poi il Chemex [metodo di estrazione basato su una caraffa di vetro con impugnatura in legno, molto design, ndr] e al terzo i cocktail. Il pubblico più attento sta iniziando a seguire anche le nuove tecniche di estrazione.

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