martedì 04 Febbraio 2025
  • CIMBALI M2

Fogli di tè: un libro, un viaggio, un’esperienza che ha coinvolto tanti esperti raccontata dai 4 autori

I creatori: "Attraverso questo libro vogliamo trasmettere l’idea che il tè, con le sue infinite sfumature, possa essere un ponte tra mondi diversi, una chiave per comprendere storie, un rituale sociale."

Da leggere

  • Dalla Corte
  • TME Cialdy Evo
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

MILANO – Il tè raccontato in un libro, “Fogli di Tè”, attraverso lo sguardo di diversi autori – Stefano Aliquò, Luca Campaniello, Chiara Zublena, Enrico Banfo – che hanno unito le loro esperienze e hanno coinvolto esperti lungo tutta la filiera di questa bevanda che è ancora tutta da scoprire in Italia, dove la tradizione guarda al caffè. Una lettura interessante per gli appassionati e anche per chi vuole imparare qualcosa in più su questo mondo antico quanto vasto.

Fogli di Tè: come nasce questo libro

Stefano: ”Fogli di Tè è nato come un blog personale, ma con il tempo si è trasformato in un progetto collettivo e unico nel panorama italiano. Quando ho iniziato ero uno dei primi blogger a scrivere di tè in Italia, ma ho sempre avuto il desiderio di unire le voci di chi condivideva la mia stessa passione. Sognavo di essere parte di un collettivo che raccontasse il tè da prospettive diverse, ma con una visione comune.

Il primo a seguirmi in questa avventura è stato Luca Campaniello, che ho conosciuto grazie a una discussione accesa e curiosa sulle aflatossine che possono colpire i tè fermentati.

Insieme, abbiamo trasformato Fogli di Tè da un blog a una rivista, la prima in Italia interamente dedicata alla divulgazione della cultura del tè. In otto anni (dal 2016) abbiamo prodotto otto numeri con diversi compagni di viaggio, fra cui Chiara Zublena ed Enrico Banfo che hanno portato nuove competenze e nuovi punti di vista.

Con loro abbiamo lavorato all’ultimo numero della rivista ed al nostro primo libro.

Oggi, Fogli di Tè ha cambiato formato, evolvendosi in un libro-magazine. “È un prodotto più patinato, bello da leggere e da collezionare,” spiega Stefano.

“Ci piace dire che siamo un’editoria artigianale, come un tè fatto a mano: lavoriamo con cura e passione, nel tempo libero, senza mai smettere di studiare e scoprire cose nuove per costruire un prodotto più genuino che perfetto.

Ad oggi hanno già collaborato con noi 100 professionisti di Paesi differenti. Se riusciamo a far crescere in Italia una comunità consapevole di quello che beve, possiamo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo.”

Perché avete scelto di focalizzarvi proprio sul Gyokuro che non è il tè più diffuso neppure in Giappone, dove nasce? (è soltanto lo 0,8% della produzione totale di tè verde giapponese)

Luca: “Perché siamo curiosi e Fogli di Tè è un mezzo per studiare ciò che ci appassiona.

Avevamo già parlato del tè nero giapponese nel 2018 (quando era un prodotto praticamente sconosciuto) e ci aveva dato molta soddisfazione farlo raccontare direttamente dai coltivatori e indagarne gli aspetti storici. Volevamo parlare di nuovo del Giappone, ma a modo nostro; senza seguire necessariamente le mode del momento, come quella legata al matcha.

Quest’ultimo è un tè molto importante sul quale avremo modo di focalizzarci in futuro, ma ora avevamo voglia di esplorare qualcosa di diverso… così abbiamo scelto di dedicare la nostra attenzione al Gyokuro, un tè incredibilmente raffinato e pregiato. Il suo nome significa Gioiello di rugiada ed è un tè ricco di sfumature e del tanto ricercato sentore umami.”

Chiara: “Con il ben più celebre Matcha, il Gyokuro condivide un aspetto fondamentale della coltivazione, ovvero l’ombreggiatura. Questo passaggio implica un complesso processo biochimico che permette alle foglie di sviluppare maggiormente aminoacidi e clorofilla, riducendo catechine e tannini. Questi cambiamenti conferiscono al tè un sapore unico, più dolce, umami e meno amaro, rendendolo una bevanda dal gusto particolarissimo. In sostanza, è l’ombra che trasforma le foglie di tè in Gyokuro.”

Come avete scelto di strutturare il libro e con quale scopo?

Enrico: “Innanzitutto, ci siamo mossi per presentare il nostro lavoro con un linguaggio editoriale contemporaneo e accessibile. Una ricca foliazione, soluzioni grafiche essenziali e armoniche, maggiore ariosità ai testi e fotografie a tutta pagina dal grande impatto. C’è stato un grande lavoro per vestire il libro abbracciando le tendenze più recenti, ed era necessario.

Il mondo del tè è un racconto di ampio respiro, e merita un formato che valorizzi ogni articolo. Un mix di articoli, reportage, fotografie, interviste e degustazioni: Fogli di tè è oggi una vera e propria guida di viaggio narrativa del mondo del tè.”

Stefano: ”Abbiamo scelto di strutturare il libro con un formato che coniuga approfondimento e curiosità, rendendolo accessibile e interessante per un pubblico ampio. I primi capitoli permettono di scoprire che cos’è il Gyokuro e come viene prodotto, mentre quelli successivi trattano tematiche diverse, ma sempre legate al mondo del tè; come la ceramica, i viaggi, altre tipologie di tè e gli abbinamenti col cibo.Questi ultimi vogliono essere originali e contemporanei, come ad esempio il mix tra tè e birra o tè e formaggio.

Luca:”Crediamo sia anche un modo per mostrare come la cultura occidentale e quella orientale possano dialogare attraverso una reciproca contaminazione.”

Stefano: “Il tè non è solo una bevanda: è cultura, tradizione, incontro e scoperta. Ha una storia. Una storia che nasce ad oriente ma che nel tempo è arrivata in occidente. Oggi il tè è la seconda bevanda più bevuta al mondo ma quando la sorseggiamo ce lo ricordiamo?

Attraverso questo libro vogliamo trasmettere l’idea che il tè, con le sue infinite sfumature, possa essere un ponte tra mondi diversi, una chiave per comprendere storie, un rituale sociale..”

Quant’è il costo del Gyokuro rispetto al più comune Sencha?
Chiara: “In termini molto generali, il prezzo del Gyokuro può arrivare ad essere oltre il doppio o il triplo di un sencha. Un Gyokuro di buona qualità può partire dai 25 €/etto, rispetto ad un Sencha che va dai 10 €/etto. Ma il costo più elevato ha una sua giustificazione.

Il Gyokuro richiede circa 20-30 giorni di ombreggiatura, mentre il Sencha cresce sotto il sole senza ombreggiatura – o con ombreggiatura minima, se si tratta di Kabusecha. Inoltre, per il Gyokuro vengono raccolte esclusivamente le foglie più giovani e tenere, cosa che richiede maggior tempo e manodopera rispetto al Sencha, dove spesso si ricorre alla raccolta meccanica. Infine, anche il posizionamento di mercato gioca un ruolo chiave: il Gyokuro è percepito come maggiormente pregiato rispetto ad un Sencha, considerato più comune, accessibile e quotidiano.

Ricordiamo solo che esistono comunque diversi “grade” di qualità anche all’interno della stessa tipologia di tè: un Gyokuro di fascia bassa potrebbe essere comparabile ad un Sencha premium in termini di prezzo, sebbene le caratteristiche aromatiche restino distinte. Allo stesso modo, un Sencha di alta qualità, a seconda della specifiche provenienze e lavorazioni, potrebbe costare anche più di un Gyokuro standard.”

In Italia quanto ne viene importato (se viene importato)?

Luca: “Il Gyokuro si può trovare nei negozi specializzati, che hanno una buona selezione di tè giapponesi. Ovviamente la qualità varia da negozio a negozio… Purtroppo il dato specifico sulla quantità importata in Italia è molto difficile da ottenere.”

C’è un interessante approfondimento sulle nuove varietà di tè in Giappone: sono anche una risposta al cambiamento climatico?

Luca: “Alcune cultivar giapponesi sono state scelte per adattarsi alle condizioni climatiche locali, ma non sono state create specificatamente per affrontare i cambiamenti climatici globali. Ad esempio Yabukita, una delle cultivar più diffuse in Giappone, è molto apprezzata per la sua resistenza al freddo e viene quindi utilizzata in regioni dal clima più rigido. Al contrario Saemidori viene preferita in aree più calde.”

Tè sfuso VS tè in bottiglia: quali sono le nuove abitudini di consumo spinte dalle generazioni più giovani in Giappone?

Enrico: “La situazione è paradossale perché, se in Europa e in altri Paesi si registra un aumento significativo della curiosità e dell’apprezzamento per i tè giapponesi, in Giappone si assiste a un declino dei consumi. Se un tempo il tè era un rito quotidiano nelle case giapponesi, oggi la situazione è radicalmente cambiata.

La kyusu, la teiera tradizionale giapponese, è stata un po’ soppiantata dalla bottiglia di plastica. La comodità e la velocità delle bevande pronte hanno prevalso sulla tradizione di preparare il tè in foglia, così come la diffusione del caffè, anzi del caffè specialty, si è diffusa enormemente in tutta l’Asia.

Ci sono però eccezioni che puntano ad avvicinare i giovani al mondo del tè con creatività e un pizzico di umorismo: un produttore di Shizuoka ha creato il “chabacco”, nome che mixa “cha” e “tabacco”. Si tratta di tè confezionato in stick monodose, simili a sigarette, che si è rivelato subito un grande successo. Il target di riferimento, il mondo giovanile, ha risposto con entusiasmo alla sorpresa di trovare tè al posto delle sigarette, da consumare in modo semplice e rapido – basta immergere lo stick in acqua calda – con anche avvisi ironici sulla confezione: “Attenzione, bere regolarmente può sviluppare un forte attaccamento al tè”.

Birra e tè: un abbinamento che sicuramente stupisce, come vi è venuto in mente?

Enrico: “All’interno del nostro libro abbiamo dato spazio a due esperienze di tè e birra diversi ma complementari, decisamente unici per il nostro mercato. Da una parte abbiamo raccontato Daniele Martinelli del Birrificio Barona e la sua Shayny, una birra White I.P.A., prodotta solo in estate utilizzando tè verde e menta. La lavorazione include un’infusione a freddo a 5°C per tre giorni, in maturazione post fermentativa con 1 kg di tè per 10 hl di prodotto finito.

Il risultato è una birra dal tenue amaricante da teina, arricchita da note floreali di luppolo e menta.”

Chiara: “Dall’altra parte abbiamo intervistato Pietro Tognoni, birraio e sperimentatore prima con il suo Pub itinerante ai Navigli di Milano, poi con il suo locale PicoBrew. Dopo la scoperta del mondo del tè con Barbara Sighieri de La Teiera Eclettica, Pietro ha esplorato l’affinamento dei formaggi con il tè.

Tra questi, il tè verde Sencha Fukamushi, con le sue note di erba fresca e acidità delicata, è stato usato nella produzione di una robiola, così come tè tostati sono stati utilizzati per realizzare il suo formaggio “Sciminut”, esaltandone il carattere unico dato dal processo di affumicatura del tè stesso. Tè e birra sono stati poi abbinati non come ingredienti ma come bevande. Un esperimento interessante è stato l’abbinamento della birra Primavera, molto aromatica e fruttata, con lo Smokey Sakura, un tè affumicato con legno di ciliegio.

Barbara e Pietro hanno poi creato due eventi: uno nella sala da tè e uno nel pub, con le rispettive clientele che hanno esplorato il mondo del formaggio, del tè e della birra. Due pubblici diversi uniti però dal palato allenato e dalla voglia di novità!”.

Continuare il mestiere del coltivatore di tè è ancora visto come attraente dai giovani, oppure c’è una fuga dai campi?

Stefano: “È una bella domanda, e sarebbe davvero interessante fare un approfondimento o una ricerca su questo tema.

Dai racconti dei produttori con cui entriamo in contatto, emergono storie diverse: ci sono figli che inizialmente prendono altre strade ma poi ritornano sulle orme dei genitori per proseguire l’impresa familiare, e altri che invece scelgono da subito di continuare il lavoro fatto dalle precedenti generazioni.

In Paesi come Giappone, Corea del Sud e Cina, esistono percorsi professionalizzanti e persino università dedicate al tè. Questo dimostra quanto la tradizione sia ancora viva e importante, anche se il mercato si divide tra due realtà principali: chi coltiva grandi aree per rifornire i mercati di massa e chi, invece, si dedica a piccole produzioni più ricercate e di nicchia.

I giovani di oggi sono spesso più aperti all’Occidente rispetto ai loro genitori, si spostano di più, studiano coltivazioni di altri Paesi, sperimentano nuove tecniche e sono molto bravi a raccontare i propri prodotti anche al di fuori dei confini nazionali.” Questo approccio, che unisce tradizione e innovazione, sta dando nuova linfa al mestiere di produttore di tè, rendendolo attraente anche per le nuove generazioni.”

Avete accennato alla crisi del settore, ma nel dettaglio da cosa è determinato e come si esprime in numeri?

Luca: ”La crisi del settore del tè giapponese è determinata da fattori sia economici che sociali.

Negli ultimi anni, il prezzo del gyokuro è crollato, passando da 5.565 Yen al chilo (circa 35 Euro) nel 2017 a 2.828 Yen (circa 18 Euro) nel 2020, per poi stabilizzarsi a 2.767 Yen (circa 17,5 Euro) nel 2022.

Anche le abitudini di consumo sono cambiate: al tè in foglia si preferisce quello in bottiglia, più pratico ed economico, e questo porta a un abbassamento della domanda di tè di alta qualità. A peggiorare il quadro c’è l’invecchiamento della popolazione rurale: oltre il 70% dei coltivatori ha più di 60 anni e spesso non ha eredi disposti a portare avanti la loro tradizione​.

D’altro canto l’aumento della richiesta di tè giapponesi di alta qualità dall’Occidente può essere una speranza per il futuro…”

I coltivatori, riescono ad ottenere il giusto compenso per il prodotto di alta qualità che vendono, o la filiera impone dei prezzi svantaggiosi per i farmers?

Luca: ”In Giappone la diminuzione del prezzo del Gyokuro spinge alcuni coltivatori ad orientarsi verso tè più economici e facili da vendere. Tuttavia, il successo dipende anche dalla capacità di individuare una nicchia di mercato nella quale posizionarsi, magari con un buon storytelling ed un e-commerce.

Se pensiamo alla zona di Huangshan, nella provincia cinese dell’Anhui, possiamo notare come alcuni coltivatori che producono tè molto ricercati, con una denominazione di origine controllata e disponibili in piccolissime quantità, abbiano un tenore di vita molto più alto di chi coltiva e vende tè più comuni.

Inoltre, sempre nella stessa area, le grandi aziende riescono a vendere gli stessi prodotti ad un mercato più ampio e trasformano i tè più ricercati in un bene di lusso da donare in occasioni speciali. Per i piccoli coltivatori molto dipende dalla loro capacità di mettersi online per poter promuovere i loro prodotti; questo avviene spesso grazie alle nuove generazioni che hanno più dimestichezza con la tecnologia.

Un altro modo per fare aumentare il valore del tè è partecipare a delle competizioni perché i prodotti premiati possono ovviamente acquisire notorietà sia a livello nazionale che internazionale.”

Quanto ancora c’è da comprendere rispetto al tè dall’altra parte della filiera, in Italia, dove le bustine al supermercato vanno per la maggiore?

Stefano: “La globalizzazione e il mercato hanno profondamente cambiato il modo in cui ci approcciamo ai prodotti, compreso il tè. Spesso si tende a idealizzare il consumo di tè in Paesi come Cina o Giappone, immaginando che tutti scelgano tè in foglia di alta qualità. È un po’ come pensare che in Italia tutti bevano esclusivamente specialty coffee.

Non è così… in Giappone, ad esempio, diverse persone apprezzano il tè in bustina di marche francesi famose le cui foglie vanno in Europa per poi tornare indietro con un appeal “Parigino” o ancora, tra i giovani il bubble tea è ormai molto più conosciuto dei tè tradizionali.

Oggi, la maggior parte del tè viene consumata fredda e spesso di qualità molto bassa. Sono ancora pochi coloro che scelgono il tè con consapevolezza, apprezzando le sue origini, il metodo di lavorazione e il territorio in cui le foglie sono cresciute. Tuttavia, in Italia la situazione sta lentamente cambiando. C’è un numero crescente di curiosi e appassionati, tra i quali ci sono molti giovani che si stanno avvicinando a questa bevanda nei suoi formati più pregiati.

Un altro aspetto interessante riguarda il modo in cui consumiamo il tè rispetto ad altri Paesi europei. Mentre nel resto d’Europa il tè si beve tutto l’anno, qui in Italia tendiamo a consumarlo quasi esclusivamente nei mesi più freddi. Trovare una sala da tè piena in agosto è praticamente impossibile. Questo evidenzia un diverso approccio culturale.”

Come si identifica un tè sostenibile?

Luca: “Il più delle volte è quasi impossibile sapere se un tè sia sostenibile o meno. Inoltre dobbiamo domandarci: “sostenibile per chi?”. Probabilmente un tè biologico sarà più rispettoso del suolo, ma non è detto che lo sia delle foreste. Infatti alcune coltivazioni biologiche sono nate tagliando alberi secolari per aumentare la produzione di tè.

In quest’ultimo caso forse sarebbe stata utile una campagna di sensibilizzazione dei coltivatori, magari con qualche nozione di marketing per spiegare loro come i tè ottenuti dagli alberi antichi siano molto ricercati sul mercato sia interno sia esterno e quindi possano essere venduti a prezzi più alti. Però non viviamo in un mondo ideale e questo non sempre è possibile.

Inoltre dobbiamo tenere a mente che pensiamo all’ambiente soltanto quando i nostri bisogni primari sono soddisfatti e quindi l’aspetto economicamente più sostenibile, che permette alle persone di vivere in condizioni migliori, non corrisponde necessariamente con il benessere dell’ambiente.

Nel libro vengono spiegate alcune di queste sfaccettature ed a chiedersi se il nostro tè sia sostenibile è ad esempio Momoko Takahashi nel capitolo dedicato al metodo Chagusaba. In alcune zone del Giappone l’erba che cresce vicino ai campi di tè viene usata da secoli come pacciame e quindi non viene vista come infestante, bensì risulta utile alla coltivazione degli arbusti.”

Chiara: “Possiamo avere una filiera del tè sostenibile quando tutti gli attori sono coinvolti, a partire anche dai governi. Prendiamo in considerazione la Cina, il più grande produttore di tè al mondo con oltre il 40% della produzione globale e 20 milioni di lavoratori coinvolti. Nel libro ospitiamo l’articolo dell’esperta Katrin Rougeventre, che racconta la visione della “Civiltà Ecologica” promossa dal governo cinese.

Politiche e tentativi di ricercare equilibrio migliorando le pratiche agricole e rispettando norme ambientali più severe, che implementino piantagioni biologiche, agroforeste negli altopiani e ricostruiscano le originali “foreste del tè”, favorendo anche un nuovo tipo di ecoturismo consapevole.”

Enrico: “Per il consumatore finale, riconoscere un tè sostenibile significa avere informazioni trasparenti sulla provenienza e sulle pratiche utilizzate dalla coltivazione alla distribuzione. Non dimentichiamo però tutta la parte di salario equo e condizioni di lavoro sicure per i lavoratori delle piantagioni.

Per la GDO, sulle confezioni che troviamo al supermercato ci sono le classiche certificazioni che ci aiutano a scegliere in modo consapevole, dal Rainforest Alliance al Fair Trade, oltre che il bollino di agricoltura biologica. Ma acquistare tè da negozi specializzati, che hanno magari il contatto diretto con piccoli produttori o cooperative sociali che si impegnano per pratiche sostenibili, alla lunga potrà favorire una filiera più sostenibile, equa e trasparente.”

CIMBALI M2
  • Gaggia brillante

Ultime Notizie

  • Water and more