ROMA – La tropicalizzazione del clima e il maltempo a maggio riscuotono un pesante tributo sul turismo, un settore chiave per l’economia del nostro paese. Secondo un comunicato diffuso dalla Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi – la perdita di fatturato è stata vicina ai 3 miliardi di euro, con una flessione del 26%. Le ricadute negative sulle gite fuori porta e sui consumi stagionali accrescono in modo difficilmente calcolabile il valore dei danni al settore. L’impatto è ancora maggiore in tempi di crisi. E il fenomeno non è transitorio.
Quello che si sta concludendo – spiega la Fipe – è stato il maggio più freddo degli ultimi 30 anni: l’inverno ha dato un bel colpo di coda in tutta Italia, spodestando la primavera. Con temperature di oltre 10 gradi sotto la media stagionale, sono stati protagonisti di questo mese i temporali – la pioggia caduta in alcune regioni è stata pari al 50% della pioggia caduta nell’intero inverno – venti forti e addirittura nevicate. Anche a bassa quota: circa 30 cm di neve sono caduti sulle Dolomiti.
Ma chi paga le conseguenze degli effetti della tropicalizzazione?
Di solito si pensa all’agricoltura mentre anche sul settore del turismo il maltempo gioca un ruolo fondamentale nell’andamento dei consumi e nell’attività delle decine di migliaia di imprese (circa 500 mila) che operano nel settore. Basti pensare ai danni subiti dagli stabilimenti balneari per l’erosione costiera e per le sempre più frequenti mareggiate che distruggono strutture e attrezzature.
Tutto il turismo risente dell’emergenza maltempo. Il freddo e la pioggia disincentivano i viaggiatori a muoversi, in particolare gli italiani, e abbassano la propensione a consumare. La Fipe stima (e potrebbe essere una stima prudente) nel mese di maggio una perdita per il settore causata dal maltempo di 2,9 miliardi di euro; pari a una flessione del 26%. E a una perdita di 50.000 posti di lavoro (oltre 77milioni di ore di lavo).
Per la sola ristorazione la perdita imputabile al maltempo di maggio è di circa 600 milioni di euro
Ma ci sono attività in alcune destinazioni turistiche che hanno perso fino all’80% dei ricavi del periodo. A questa contrazione si dovrebbe sommare la perdita di fatturato, non facilmente calcolabile, derivante dalle cosiddette gite fuori porta. E dal calo dei consumi di prodotti altamente stagionali come acqua, bibite, gelati e tanto altro.
Un problema che ci riguarda tutti da vicino
“Non possiamo più fare finta che il problema della tropicalizzazione del clima non ci riguardi, perché il settore in cui operiamo si trova ad affrontarne costantemente le conseguenze” dichiara Giancarlo Deidda, vice presidente Fipe.
“Come Federazione che rappresenta il variegato mondo della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo con oltre 300 mila imprese, da alcuni anni stiamo portando avanti una battaglia culturale per far crescere la sensibilità delle nostre imprese e dei consumatori su tutto ciò che è sostenibilità ambientale. Alle Istituzioni diciamo che il turismo è particolarmente esposto alle conseguenze dei cambiamenti climatici. E per questo ha bisogno del massimo della flessibilità nella gestione dei costi. È vero che non c’è una bacchetta magica per gestire nel breve termine le forze della natura, si può tuttavia lavorare per non far peggiorare la situazione. E magari migliorarla nel lungo termine”.