ROMA – Negli ultimi venti anni, il nostro Paese ha perso oltre 800 mila giovani fino a 14 anni (-9,9%) e oltre 2,6 milioni di 15-34enni (-17,9%). Anche nella fascia 35-49 anni si registra una perdita di quasi 1,4 milioni di residenti (-10,4%), mentre c’è stato un incremento di circa 3 milioni di 50-64enni (+28,6%) e di 3,1 milioni di over 65 (+28,2%).
Sono i numeri di una crisi demografica che, anno dopo anno, sta svuotando il Paese di giovani: nelle ultime due decadi la popolazione è aumentata di quasi 1,4 milioni di unità, ma ciò si deve esclusivamente al contributo dei cittadini con più di 50 anni. Leggiamo nel dettaglio l’analisi nella ristorazione dalla nota pubblicato dal Centro Studi Fipe.
La spinta positiva degli stranieri si sta infiacchendo
Senza stranieri: nel 2023 sono oltre 5 milioni, l’8,7% del totale della popolazione – i numeri dell’inverno demografico italiano sarebbero ancora più pesanti: negli ultimi venti anni la popolazione straniera è aumentata di oltre 3 milioni di unità (più degli abitanti di Roma) e ha compensato la perdita di 1,8 milioni di cittadini italiani (il doppio degli abitanti di Napoli).
Tuttavia, la loro spinta propulsiva si sta infiacchendo: dal 2015 il saldo migratorio con l’estero (la differenza tra iscrizioni e cancellazioni all’anagrafe) non compensa più il dato negativo del saldo naturale (la differenza tra nascite e decessi).
L’offerta di giovani sul mercato del lavoro si sta restringendo
Gli effetti della crisi demografica iniziano a diventare evidenti sul mercato del lavoro. Negli ultimi venti anni la forza lavoro nel nostro Paese è aumentata complessivamente di oltre un milione di unità (con una variazione positiva del 5,2%), tuttavia la sua composizione interna è profondamente cambiata, perché:
– i 15-34enni sono il 24,3% del totale della forza lavoro, nel 2004 erano il 36,4% (con una variazione negativa del 29,8%);
– i 35-49enni sono il 37%, nel 2004 erano il 42,8% (-9,1%);
– gli over 50 sono il 38,7%, nel 2004 erano il 20,8% (+96%).
L’invecchiamento della forza lavoro ha significativamente ristretto l’offerta di giovani, aumentando di conseguenza la competizione tra le imprese, specialmente in quei settori dove è più alto il loro fabbisogno. La difficoltà di reperire profili professionali tra le fasce più giovani della popolazione in età attiva non dipende solo dalle scelte personali del singolo lavoratore (che pure esistono), ma anche dal fattore demografico.
Nella ristorazione, i giovani non mancano (almeno finora)
Negli ultimi 15 anni in nessun settore l’occupazione è cresciuta come nella ristorazione: infatti, gli occupati sono aumentati del 36,5%, con i pubblici esercizi che hanno rappresentato un importante bacino occupazionale per i lavoratori nel nostro Paese, inclusi quelli più giovani.
La creazione di lavoro ha permesso di parare i colpi della crisi demografica, come rivela l’analisi condotta sull’occupazione dipendente nei pubblici esercizi. Infatti, nel periodo 2009-2023 si contano quasi 452 mila lavoratori dipendenti in più, con una variazione positiva del 73%.
Guardando ai dati in base all’età, dal 2009 i lavoratori under 30 sono aumentati di circa 163 mila unità (+61,9%) e rappresentano circa il 40% dei lavoratori dipendenti (era circa il 42% nel 2009).
Di fatto, la ristorazione non ha perso la componente giovane della sua popolazione lavorativa. Ciò non è dipeso dalla sostituzione dei lavoratori italiani con quelli stranieri: infatti, i primi sono aumentati di 134.289 unità (+70%), i secondi di 28.746 (+40,2%).
E la componente italiana dei lavoratori under 30 è pari al 76,5% (era il 72,8% nel 2009), quella straniera al 23,5% (ed era il 27,2%).
In sostanza, all’invecchiamento della popolazione dipendente dei pubblici esercizi (gli over 50 sono aumentati del 242,2% rispetto al 2009 e rappresentano il 19,3% del totale degli occupati dipendenti), non ha fatto da contraltare una emorragia di giovani: è la riprova della capacità, mostrata dal settore in questi anni, di continuare ad attrarre anche i più giovani.
Pensando al futuro del lavoro, appare evidente che la questione demografica non può più essere sottovalutata, considerando che non si intravede all’orizzonte una decisa inversione di rotta. La restrizione strutturale dei giovani renderà ancora più serrata la competizione tra imprese per attrarre e trattenere personale.
Bisogna poi considerare che dopo la pandemia è in atto una profonda trasformazione del rapporto delle persone con il proprio lavoro, per cui le scelte professionali vengono prese in funzione della ricerca di una più alta qualità della vita e un migliore bilanciamento tra sfera privata e professionale.