ROMA – “Dire basta al dumping contrattuale significa dire basta alla concorrenza sleale a danno di imprese e dei lavoratori. Per porre fine a questo fenomeno, i Contratti nazionali di lavoro delle organizzazioni più rappresentative devono costituire il riferimento per determinare le migliori condizioni di lavoro all’interno dei settori economici, contrastando la proliferazione dei Contratti sottoscritti con il criterio della sottrazione, che tolgono dignità al lavoro e impediscono la crescita delle competenze”.
Così Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, intervenendo al convegno “Dumping contrattuale: il caso dei Pubblici esercizi” organizzato nella sede del Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, che ha tra le sue competenze il presidio sugli assetti normativi e retributivi della contrattazione collettiva.
Un incontro promosso da Fipe-Confcommercio per evidenziare le distorsioni e le criticità di un mercato del lavoro, che producono concorrenza sleale e sta mettendo a rischio le competenze necessarie per un settore cruciale per il Paese come quello della ristorazione.
Secondo l’indagine effettuata in collaborazione con ADAPT, infatti, le differenze tra diversi contratti di settore sono marcate. Se il contratto nazionale siglato nel 2018 da Fipe-Confcommercio, utilizzato dalla stragrande maggioranza delle imprese e dei lavoratori, prevede per un cameriere di sala una retribuzione minima di circa 1.500 euro al mese lordi per 8 ore, il secondo contratto censito per numero di lavoratori coinvolti, circa 11mila, si ferma a 1.300 euro mensili.
Non solo.
La durata media del periodo di prova per un cameriere con contratto Fipe è di 30 giorni, mentre in altri casi si arriva addirittura a 140 giorni. Discorso analogo per quanto riguarda gli straordinari: il contratto Fipe-Confcommercio prevede una maggiorazione del 30%, mentre altri Contratti si fermano al 15%.
“Queste distorsioni, economiche e normative, – sottolinea Stoppani – generano fenomeni dannosi di concorrenza sleale tra le imprese e non premiano la professionalità che i migliori imprenditori del settore, giustamente, ricercano e favoriscono, anche favorendo motivazioni e prospettive professionali”.