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mercoledì 19 Marzo 2025
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Filippo Poletti, musica e caffè in 120 interviste e per Ernesto Illy: “Sono le due cose che ci mettono in risonanza con il mondo”

Poletti: “Non sono un purista e mi piace gustarlo lungo. Una cosa che mi hanno insegnato dei colleghi irlandesi: quando ci sono andato per lavoro mi hanno chiesto come facessi a bere l’espresso, perché non sapevano spiegarsi come si facesse a parlare in così poco tempo. Per loro il caffè doveva essere per forza lungo. Così mi sono abituato a questa estrazione in tazza grande, come se fosse un tè."

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MILANO – Il curriculum di Filippo Poletti non mente: giornalista professionista, laureato in musicologia con la chitarra classica regalata da sua madre ancora in mano, top voice di LinkedIn, nonché sound engineer ed executive MBA alla business school del Politecnico di Milano. E ora autore del libro “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro” edito da Guerini Next.

Quello che colpisce prima di tutto è la passione con cui Poletti ha portato avanti questa ricerca, queste conversazioni con i grandi personaggi italiani. Così come l’ha descritto lui stesso, questo libro è: “Il grande sogno di un ragazzo che ha finito l’università ed è andato a bussare alle porte dei giganti protagonisti del made in Italy e della conoscenza.”

Ha scelto una forma che sembra contro tendenza, perché un libro che arriva a quasi 400 pagine, con 120 interviste su cui soffermarsi, è un prodotto che forse male si presta al consumismo veloce dei social e di internet. Una logica che Poletti conosce bene, essendo il giornalista italiano più seguito su LinkedIn: “Qui è tutto breve – commenta – e così ho voluto dare un esempio differente per i giovani: alcuni progetti necessitano un buon grado di dedizione e possono richiedere anni. Non è tutto fruibile nell’immediato.

Bach ha scritto in 25 anni la Messa in Si minore: così anch’io ci ho impiegato il tempo necessario.”

Poletti, ci racconta come si fa a portare avanti un lavoro così mastodontico? Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato?

“Nel 1999 sono partito con l’idea di raccontare la storia dell’ascolto della musica, ovvero la relazione che si crea tra essa e le persone. Ho voluto confrontarmi su questo tema con diverse personalità di grande spessore come Bobbio, Ricci, Vespa, Armani, che ho contattato e poi coinvolto in questo progetto.

Tutti gli intervistati sono innanzitutto dei grandissimi ascoltatori: mi sono confrontato con dei veri appassionati di musica. Mi sono voluto assestare al numero 120, perché mi ispirava e poi li ho distribuiti lungo sette capitoli, così come sono sette le note musicali.”

Ernesto Illy, prima amministratore delegato poi presidente di illycaffè e Andrea Pozzolini, amministratore delegato di Rhea Vendors Group: lei li ha conosciuti e intervistati entrambi.

Che ci può raccontare di questo scambio?

“Ernesto Illy fu un’intervista straordinaria. Gli ho chiesto con quale musicista avrebbe preso un caffè e la sua risposta è arrivata subito come un gioco di parole: Gusta(v) Mahler. Mi ha spiegato: il caffè, ha una grande complessità dal punto di vista organolettico e poi nel suo apprezzamento.

Ha citato la terza sinfonia di Mahler, in cui il corno postale a un certo punto riproduce alcune note in lontananza: questa melodia rappresenta per Ernesto Illy il gusto del caffè, mentre l’accompagnamento dell’orchestra, la sua complessità appunto, rispecchia l’aroma esaltato nell’espresso.

Mi ha spiegato anche, a proposito di affinità tra musica e caffè, che i due hanno degli effetti fisiologici in sintonia. Il riferimento è al coinvolgimento della corteccia pre-frontale (dove si confronta il vissuto con il memorizzato) che si attiva sia ascoltando la musica che nell’assunzione di caffeina.

Infine, alla domanda: qual è il genere musicale più eccitante della caffeina? Lui ha risposto: la grande musica e il grande caffè vanno a braccetto. Entrambi stimolano la capacità di reazione e la concentrazione. Al contempo, ci mettono in risonanza con il mondo. Illy amava Mahler e Johannes Brahms, la prima sinfonia, soprannominata la decima di Beethoven.

Andrea Pozzolini invece ha sottolineato un altro aspetto molto interessante: il caffè e la musica sono composti da strati complessi. Esiste quindi un parallelo tra la ritualità del caffè e l’ascolto della musica. In sostanza entrambi richiedono un momento di pausa e di riflessione da dedicarvi. Per far sì che l’esperienza sia multisensoriale è bene che ci si fermi. L’aroma della musica è l’aroma della complessità.

Assieme a Davide Livermore hanno progettato Kairos per i 60 anni di Rhea Vendors, che unisce l’arte performativa e quella del caffè: 30 secondi davanti alla macchina, in attesa, diventano un’esperienza completa, che ti fa entrare nel mondo del teatro e della musica.

Avevo conosciuto il direttore artistico Carlo Majer, quando ha collaborato con l’orchestra Verdi dove io stesso dal 2000 al 2001 ho lavorato. Così, quando ho iniziato il libro ho pensato di coinvolgere anche lui, grandissimo direttore artistico di importanti teatri italiani. Dato che è venuto a mancare, ho deciso di proseguire il dialogo con Andrea Pozzolini e indagare la relazione tra musica e caffè.

Ancora sul tema del caffè si è espresso Maurizio Porro, critico musicale, attraverso la storia degli spettacoli cinematografici: nella sua intervista ricorda come i primissimi eventi si svolgessero proprio all’interno delle caffetterie, quando si improvvisava su un organetto della musica.

Altra testimonianza del genere, è data dal filologo Cesare Segre che mi ha raccontato di come ascoltasse spesso i pianisti che suonavano nei caffè. Era un uomo molto curioso e quindi ascoltava dalla musica leggera a quella classica. Amava molto Astor Piazzaola e il suo Libertango del ‘74 e gli Inti-Illimani e Beethoven.”

Tutti noi così come abbiamo bisogno di degustare tanti caffè, abbiamo bisogno di ascoltare diversa musica. È davvero così?

“Quella popolare ritorna spesso. De Gregori viene citato da Alice De Andrè, ma anche Guccini è apprezzato molto da Tiziano Sclavi. A cui ho domandato: quando la musica è un incubo? E lui ha citato Arancia Meccanica, nella scena in cui fanno odiare ad Alex il suo amato Ludwig Van Beethoven. Per Sclavi in realtà la musica è un piacevole abbandono, e apprezza particolarmente quella barocca, da Vivaldi a Bach.

Una chicca: anche Mike Buongiorno era appassionatissimo di Vivaldi perché era diventato amico di un direttore d’orchestra, Angelo Ephrikian, papà della prima moglie di Gianni Morandi, nonché scopritore e interprete del repertorio vivaldiano: siamo nel 1947 quando si conoscevano soltanto le Quattro stagioni.

Mike Buongiorno mi ha raccontato che ogni volta che questo direttore scopriva un tassello nuovo della sua opera strumentale, lo incideva e gliene mandava una copia. Nei movimenti allegri, trovo l’allegria di Mike Buongiorno.”

Parliamo di musica, letteralmente il leitmotiv del suo libro: perché ha scelto questa chiave (di sol) e di lettura, e come è riuscito a tradurla per così tanti personaggi?

“Da una parte tutto nasce dal fatto che mi sono laureato in musicologia e sono un tecnico del suono.

Dall’altra parte l’interesse degli intervistati mi ha guidato. Ci sono degli studi dell’università del Michigan che dicono che i grandi professionisti sono dei grandi curiosi, ovviamente questo si estende anche alla musica.

Che è qualcosa che ci può far dialogare con gli altri. Ricordo bene due film: “Mission”, in cui c’è il tema di Gabriel che discute con l’indigeno eseguendo una melodia con l’oboe e poi il celebre dialogo con il tema di di 5 note per parlare con gli extraterrestri di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. La musica permette di comunicare.

Più che di musica leggera e pesante – scherzo – preferisco parlare di forte e debole: quella che ti arriva e quella che non lo fa. Al Bano mi ha insegnato che la musica forte è quella che provoca in te quello che fa uno sbrego, che ti entra dentro.”

Poletti ha una sua playlist?

“Al caffè sono stati dedicati tanti brani: i miei preferiti sono “The coffee song” del 1946 di Frank Sinatra, “Anna” di Lucio Battisti del ’70 nel verso “La mattina c’è chi mi prepara il caffè”. Mi piace molto anche “Caffè nero bollente” di Fiorella Mannoia. Poi non può mancare De Andrè e il suo “Don Raffaè”, in cui il caffè napoletano viene inserito nel contesto critico del carcere. Per andare oltre confine, cito “One more coffee” di Bob Dylan.

Guardando invece al passato, una delle composizioni più belle resta la cantata del caffè di Bach del 1732- 34, divisa in 10 movimenti: si racconta di un padre che si rivolge alla figlia e la rimprovera di bere il caffè. Lei risponde: “Non posso farne a meno, il caffè è più dolce di mille baci”. Infine, conclude: “Le ragazze non smetteranno mai di bere il caffè.”

Poletti, ma a lei come piace bere il caffè?

“Non sono un purista e mi piace gustarlo lungo. Una cosa che mi hanno insegnato dei colleghi irlandesi: quando ci sono andato per lavoro mi hanno chiesto come facessi a bere l’espresso, perché non sapevano spiegarsi come si facesse a parlare in così poco tempo. Per loro il caffè doveva essere per forza lungo. Così mi sono abituato a questa estrazione in tazza grande, come se fosse un tè.

Apprezzo l’Arabica, che è più delicata e ha una maggiora dolcezza e note aromatiche. La abbino con tutti quelli che sono i movimenti lenti della musica barocca: sono un grande amante di Bach e apprezzo quel periodo in cui la musica seguiva la parola e venivano risaltati i testi. Erano melodie delicate, che portano verso l’interiorità.

Una musica verde, intima, introspettiva. La vedo come una miscela che bene si accompagna con l’ascolto di oboi lancinanti. Alcune parti delle cantate di Bach e di Monteverdi sono l’ideale.”

Ma quelli citati sono solo alcuni dei nomi contenuti nel ricchissimo libro di Poletti.

Giacomo Ponti dal food, le cantine Ferrari di Franco Lunelli per il vino, Gualtieri Marchesi come grande chef, il marchese Piero Antinori che racconta il rapporto tra vino e musica. Oppure Luigi Veronelli, il più grande comunicatore di cibo italiano. Insomma, il materiale non manca.

E così come ha detto molto bene lo stesso Poletti: “Ho provato in questo libro a condividere delle degustazioni musicali: tante quanti sono gli intervistati.

Si può dire che ci è riuscito egregiamente. “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”, di Filippo Poletti, è acquistabile a 22,32 euro sul sito della Feltrinelli, ma è disponibile online su diverse piattaforme.

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