domenica 22 Dicembre 2024
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Felicità nelle aziende: perché il 20% degli addetti vuole cambiare impiego

Roberto Castaldo, Presidente e fondatore di 4 M.A.N. Consulting: "Sono anni che il sistema di welfare aziendale si interroga su come si possano aumentare i livelli di benessere percepito, andando ad impattare positivamente su riduzioni drastiche di assenteismo, malattia e scarsa produttività.  Eppure, ancora oggi, nonostante le evidenze, il concetto di felicità in azienda viene visto con diffidenza, anche se finalmente qualcosa sta cambiando"

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MILANO – Una buona retribuzione non è più sufficiente ad assicurare la fidelizzazione degli impiegati in azienda. Il mercato del lavoro sta mutando e, nonostante il livello di disoccupazione sia ancora alto, dimettersi non fa più paura. Il desiderio di essere felici è spesso più forte di qualsiasi remora.

Un fenomeno che, in America, prende il nome di “Great Resignation”, ora descritto nero su bianco dalle recenti ricerche, condotte nel nostro Paese, da 4 M.A.N. Consulting, società di consulenza specializzata in Performance Management, e l’Università Popolare degli Studi di Milano.

L’importanza della gestione umana nel mondo del lavoro

Creare ambienti piacevoli, stimolare il senso di appartenenza e, soprattutto, assicurare un approccio empatico, sono elementi imprescindibili che ora, possono seriamente cambiare il destino di un’azienda. Su un campione di 478 aziende di diverse dimensioni prese in esame, 4 M.A.N. Consulting ha riscontrato che, tra i dipendenti, il 20% manifesta la volontà di cambiare lavoro a causa della mancanza di relazione interna all’ambiente lavorativo.

Il 32% ritiene che la gestione umana del proprio superiore incida negativamente sulle proprie performance.  L’87% pensa che i sistemi di incentivazione economica, in assenza di riconoscimento formale della relazione, siano nulli e non siano il fattore rilevante per le performance.

Il 57% degli intervistati afferma che in presenza di gentilezza ed empatia si è maggiormente motivati a produttivi. Il 95% ritiene che alla base di una peak performance (i picchi di eccellenza) c’è il rapporto “comprensivo” con il proprio capo ed i colleghi.

La gentilezza porta ad essere più produttivi

I lavoratori, dunque, prendono sempre più consapevolezza che la gentilezza è sinonimo di “salute”. Un approccio empatico aiuta a sentirsi felici e benvoluti, fa risolvere più facilmente i conflitti e, fattore non di certo secondario, spinge a essere più produttivi.

A tal proposito, l’Università popolare degli studi di Milano ha in effetti evidenziato (basandosi su un campione rappresentativo di 348 aziende italiane di diverse dimensioni e operanti in vari settori) una produttività superiore del 68% nelle realtà in cui i rapporti interpersonali sono basati su gentilezza ed empatia rispetto a chi, invece, continua a mantenere un approccio più formale e distaccato tra colleghi, capi, sottoposti, clienti o fornitori.

Da evidenziare, soprattutto, i dati relativi alla fiducia (che cresce del 75%) e della soddisfazione di chi lavora o collabora con quella specifica azienda (che segna un +93%). Dati alla mano, è dunque necessario che imprenditori e manager prendano sempre più coscienza che un clima di lavoro ostile non porta benefici, anche e soprattutto in termini di business.

“Sono anni che il sistema di welfare aziendale si interroga su come si possano aumentare i livelli di benessere percepito, andando ad impattare positivamente su riduzioni drastiche di assenteismo, malattia e scarsa produttività. – fa presente Roberto Castaldo, Presidente e fondatore di 4 M.A.N. Consulting – Eppure, ancora oggi, nonostante le evidenze, il concetto di felicità in azienda viene visto con diffidenza, anche se finalmente qualcosa sta cambiando”.

Alcune aziende, infatti, si stanno dotando di uno chief happiness officer o manager della felicità, una figura professionale nello staff HR con competenza in coaching che si occupa dello stato di benessere dei dipendenti e del loro livello di soddisfazione.

Il valore del well-being management nel lavoro

È ormai palese, infatti, il grande valore aggiunto in tutta la parte di governance garantito dal “well-being management” e l’applicazione di sistemi incentivanti basati sulla leadership umanistica. Presupposti che fanno parte dei pilastri dello Human Performance Protocol, un sistema di performance management, creato da Castaldo, che rivede il ruolo della persona in una rivoluzione culturale che richiama i principi umanistici.

“La ricerca condotta dal nostro Ateneo aggiunge il professor Marco Grappeggia, presidente Università popolare degli studi di Milano  è fondamentale soprattutto se tiene conto dell’attuale scenario storico, sociale ed economico. È facilmente comprensibile che la crisi portata dal covid19 renda ora necessaria una buona dose di fiducia, nel datore di lavoro o nel fornitore. È indispensabile credere, ad esempio, che il proprio “capo” faccia il possibile per mantenere il lavoro di tutti i suoi dipendenti, tutelandone la salute e facendo quadrare i conti”

Al contrario, quando manca questa fiducia, si può scivolare in uno stato depressivo che porta a lavorare meno e peggio, o a decidere di licenziarsi per cercare un nuovo impiego. Una miglior qualità di vita all’interno dell’azienda – fa sempre notare il report dell’Università Popolare degli Studi di Milano – rende possibile l’acquisizione e la fidelizzazione dei migliori talenti, che sceglieranno spontaneamente di mettere a disposizione dell’azienda le proprie idee e competenze, al fine di crescere.

Gentilezza ed empatia, dunque, sono la vera rivoluzione da mettere in atto per determinare il destino di un’azienda. Una buona brand reputation, infatti, tenderà a fidelizzare non solo i talenti ma anche i clienti migliori. La felicità in azienda è lo strumento vincente per il raggiungimento degli obiettivi di business.

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