MILANO – Fabrizio Rinaldi non è nuovo su queste pagine, perché ha già fatto parlare di sé come autore e torrefattore: il caffè diventa un po’ l’inchiostro che alimenta il suo blog, un archivio prezioso di contenuti che raccontano un mestiere, una passione, la cultura dello specialty. La sua attività è cresciuta, sopravvivendo alla dura prova del Covid, senza mai rinunciare alla qualità e alla comunicazione di ogni scelta dietro il risultato finale in tazza. Ne abbiamo parlato direttamente con lui nella seguente intervista.
Rinaldi, lei è torrefattore ma anche storyteller: dal 2014 e poi di nuovo durante la pandemia nel 2020, ha voluto raccontare la sua storia, il suo mestiere. Come mai questa esigenza?
“L’esigenza dello scrivere è nata semplicemente perché mi piace farlo da sempre. La letteratura mi appassiona sin dall’adolescenza. Negli ultimi anni sono stato assorbito molto dal mio lavoro ma non ho mai voluto rinunciare a quest’altro mio interesse, anzi, sono riuscito a farli incontrare: sul mio blog, quando ho un po’ di tempo, mi diverto a raccontare dei miei nuovi progetti, o la storia dei produttori e delle aziende agricole da cui acquisto il caffè. Mi piace scrivere e per questo ho condiviso la mia storia. Sento un bisogno, quasi fisico, di esprimermi attraverso le parole.”
Dal 2020 ad ora si è aggiunto un nuovo capitolo?
“Ho iniziato questo racconto per caso nel 2014, quando seguendo un corso di torrefazione a Firenze con Marco Cremonese e Gabriele Cortopassi del sito Il caffè espresso italiano: è stato lui a notare la mia passione e così mi ha chiesto di raccontare l’esperienza di formazione sulla sua piattaforma. Con piacere mi sono dedicato, impegnandomi al punto da diventare un autore fisso del blog. Ho sempre scritto dei paesi di produttori, dell’estrazione ecc. Le prime puntate del mio racconto quindi si trovano lì.
In seguito mi sono ingrandito come torrefattore e ho creato un posto tutto mio su cui esprimermi. Nel 2020 con la pandemia e il lockdown, ho rivisto tutto il mio percorso e l’ho voluto condividere online. Poco tempo fa ho pubblicato l’ultimo articolo in cui ho descritto la ristrutturazione, l’apertura del laboratorio di torrefazione e della caffetteria specialty
È stato quindi un periodo comunque molto attivo, nonostante le restrizioni: non mi sono mai fermato. Il business core della mia attività è la fornitura di caffè a caffetterie, ristoranti, alberghi e botteghe alimentari, oltre alla vendita ai privati insieme a quella all’interno del mio locale. Il laboratorio di roastery resta però l’idea principale.”
Rinaldi, ma cosa c’è dietro l’uomo che tosta il caffè?
“Un appassionato del proprio lavoro, un po’ sognatore: raggiunti gli obiettivi, dall’inizio dell’attività nel 2011, sono riuscito a vivere il mio piccolo sogno. Ho iniziato come autodidatta: i miei genitori hanno un bar di famiglia, a sei anni bevevo già il cappuccino. A 11 andavo in torrefazione. Poi nel 2011 ho iniziato a tostare all’interno del bar e nel 2014, c’è stato il primo corso di torrefazione con Cremonese.
Poi ho seguito i moduli Sca di roasting, sensory e green, sia il livello base e l’intermedio. Quando poi ho aperto il coffee shop ho anche voluto seguire un corso affiancato da un trainer proprio per poter affrontare il nuovo compito dietro al bancone. Mi sono anche specializzato nell’utilizzo della Probat da 5 chili, comprata dalla torrefazione Lo Scuro.”
Caffè Rinaldi si sta evolvendo verso nuovi orizzonti?
“Sicuramente l’intenzione è quella di dedicare più tempo alla torrefazione e al negozio. Cerco di curare ulteriormente la fase della tostatura, ipotizzando di mettere qualcuno al posto mio dietro al bancone e a gestire l’attività. Un altro obiettivo sarebbe quello di estendere l’orario di apertura della caffetteria che attualmente è solo di 4 ore al giorno. Infine, creare una sorta di identità superiore dello spazio fisico e trovare nuovi prodotti da proporre ai ristoratori.
Chi entra nel mio locale beve solo caffè ricercatissimi, ma vendo anche due blend più commerciali. La fornitura è quasi esclusivamente con quest’ultima linea: la tendenza della caffetteria specialty è quella di crearsi un proprio brand ed esser sempre più indipendenti.”
Lo specialty secondo lei supererà mai il limite del mercato di nicchia in Italia?
“Prima della pandemia avevo notato un crescendo dei locali specialty: ne aprivano tanti. Poi con il Covid tutto è rallentato e non vedo più la stessa esplosione. Il mio è stato un investimento a lungo termine e ora dobbiamo lavorare proprio sulla comunicazione di questo progetto. Penso che lo stop pandemico abbia scoraggiato tutti dall’apertura generale di attività, e così buttarsi su una nicchia di mercato rappresenta una scelta ancora più difficile e impegnativa.
Io stesso devo convincere, educare, raccontare ai miei clienti la complessità del prodotto che offro. Ogni consumatore mi richiede uno sforzo maggiore. Nel 2019 gli eventi, la frenesia, la comunità era esplosiva. Speriamo che ora si riparta con le occasioni di incontro.”
Rinaldi, lei come ha affrontato il problema dei rincari delle materie prime, delle utenze e i problemi logistici?
“Il crudo è aumentato effettivamente in modo impressionante, così come tutte le altre utenze. Dovrò aumentare anch’io i prezzi, perché non voglio scendere a compromessi sulla qualità. I clienti l’hanno capito, anche se qualcuno l’ho perso per strada. Gradualmente però ho dovuto applicare un aumento, anche se non sono riuscito ancora a coprire la differenza necessaria ad ottenere dei margini.”
Che attrezzatura usate per l’espresso, quanto costa?
Rinaldi descrive: “Abbiamo una La Marzocco Strada, con cui mi trovo benissimo. Si può anche monitorare la pressione dell’acqua durante l’estrazione. Come macinini, un Mahlkonig Ek43 per il top di gamma per il filtro, la moka e l’espresso da degustazione. Attualmente utilizzo un Anfim per l’espresso della casa ( singola origine specialty, proposta a rotazione). L’espresso lo vendiamo a un euro e 30 e il filtro a partire da 3 euro con le attrezzature Hario. Ci tengo a sottolineare che non è un prezzo esagerato per uno specialty, ma è quello più adeguato a far avvicinare i consumatori di Ciampino a questi prodotti. Più avanti alzerò il prezzo.”
Ma poi voi offrite anche cioccolato e tè pregiati, non vi fate mancare niente: cosa ci racconta di quest’altra parte della vostra attività?
“Esattamente così come per il caffè specialty e quello commerciale che acquisto, porto avanti lo stesso criterio di ricerca di qualità per tutto il mio menù. Attraverso l’assaggio, ho selezionato dai campioni, scegliendo le migliori aziende con cui collaborare. Da Giaveno acquisto il cioccolato da un’impresa piemontese “Guido Castagna”. Per i succhi di frutti mi appoggio a Marco Colzani e al laboratorio che sta in Brianza: indica nell’etichetta provenienza, varietà della pianta, un po’ come se fossero dei succhi specialty.
Per il latte acquisto dalla Frisona, latteria della mia zona che è attrezzata per la consegna. E ancora per questa bevanda ho selezionato Salvaderi dal nord, che offre un prodotto di altissima qualità, con il pascolo libero alimentato solo con l’erba tutto l’anno, 4 euro al litro: l’ideale per un menù a parte. Per quanto riguarda il tè invece, arriva da un’azienda agricola dello Sri Lanka: sono l’unico in Italia che non ha rinunciato di fronte alla complessità dei dazi doganali. Hanno diverse varietà e io ho puntato solo su di loro. Anche l’acqua in vetro non è stata una scelta casuale, del marchio Filette.”
Avete mai preso in considerazione le capsule, così attraenti dal punto di vista economico per i torrefattori?
Rinaldi è piuttosto trasparente sul tema: “No. Ho pensato di produrle, ma non ho la capacità né gli strumenti per farlo. Richiedono una lavorazione complessa da gestire per un’azienda come la mia, così piccola. Sino ad oggi non mi ha convinto il risultato finale: c’è chi realizza capsule specialty, ma io non sono riuscito a ottenere un prodotto in linea con ciò che voglio offrire. Quando troverò la soluzione, ci penserò concretamente. Forse avrei dovuto pensare al monoporzionato dato il contesto in cui lavoro: Ciampino lo richiede molto, ma ho deciso comunque di rimanere coerente alla mia filosofia.”
Rinaldi, avete contatti diretti con i coltivatori?
“Per alcuni caffè, sì. Non compro direttamente dall’azienda come per il tè perché è più impegnativo, ma ho degli intermediari che sono soci dei produttori. Il peruviano che acquisto da Seven Elements, ha una sede in Europa e promuove progetti di sostegno nelle piantagioni. C’è CQT Coffees di Victor Morassi, la cui moglie brasiliana è proprietaria di un’azienda agricola. Siamo amici con alcuni su facebook, ci scambiamo contatti. E acquisterò presto qualcosa da Andrej Godina e Umami.”
Quindi nel futuro c’è una pubblicazione di un libro?
Rinaldi conclude: “Oltre che promuovere la caffetteria, mi piacerebbe effettivamente racchiudere le mie pagine in un file da stampare e divulgare, per chi vuole leggere la mia storia.”
Caffè Rinaldi
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