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venerdì 22 Novembre 2024
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Fabio Verona: “La mancanza di informazione del barista peggior nemica del buon espresso”

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MILANO – Non c’è due senza tre: lo dice il detto e lo conferma Fabio Verona che, attraverso la sua terza lezione sul caffè pubblicata sul suo sito, continua a illuminare le conoscenze dei coffeelover. E, a dirla tutta, anche degli stessi operatori.

Figure che dovrebbero teoricamente esser già ben preparati in materia ma che, nella realtà di tutti i giorni, mostrano ancora diverse lacune. Proprio in questo spazio trovano terreno fertile tutti gli errori che portano in tazzina un caffè di scarsa qualità.

Ecco che il maestro della bevanda, cuoco del chicco, scende in campo. A partire dal bar, un luogo che è diventato piuttosto una scommessa giocata sul bancone tra chi si muove dietro di esso e chi ci si siede: tra il barista e il consumatore, avverrà il miracolo di un espresso che sia davvero buono?

Fabio Verona, un cliente dal palato “difficile”

Normalmente i ritmi serrati della vita quotidiana non mi consentono di soffermarmi a parlare a lungo con i baristi. E, fortunatamente, questo capita anche a loro. (in quanto hanno del lavoro da svolgere con gli altri clienti). Ma ieri un amico mi ha convinto ad andare con lui in un bar, dicendomi che quel caffè avrei proprio dovuto assaggiarlo!

Colto da una forte curiosità l’ho seguito e abbiamo ordinato due espressi. Non saprei dirvi la marca. Ma già da quello che vedevo nella campana del macinadosatore iniziavo a dubitare delle capacità selettive del mio amico. Per poi essere certo che erano pessime nel momento in cui l’espresso mi è stato servito.

Scuro, con un forte odore acre e di bruciato

Una crema dall’aspetto simile ad una buccia d’arancia e molto spessa. Guardo con circospezione la tazzina di espresso e con stupore il mio amico, quasi a chiedergli se davvero mi avesse portato lì per il caffè…

Lui prende una bustina di zucchero; ne versa il contenuto sulla crema dell’espresso che come per magia lo sostiene per alcuni interminabili secondi. Il tutto mentre il barista ci guardava, ora, con una certa curiosità.

Io porto la tazzina al naso

E mi dico che solo un masochista berrebbe quel caffè, e guardo il mio amico, che sempre più divertito mescola il suo espresso. Ma non accenna a berlo. Alla fine mi decido e gli chiedo: scusa, ma perché mi hai portato qui? Ti sembra davvero un buon espresso questo? – No, mi risponde lui, tutt’altro, ma volevo metterti alla prova.

Ora spiega a questo barista la tua teoria del caffè buono!

Urka! Così, senza conoscerlo e senza un minimo di introduzione mi sembra un po’ scortese e presuntuoso, ma ormai il guanto era stato lanciato e ho provato un approccio amichevole. Approfittando anche del fatto che in quel momento non vi erano avventori. Così, con la scusa di chiedergli una manciata di chicchi di caffè per vincere una scommessa con il mio amico, ho poi iniziato un piccolo gioco che ha portato il barista a pormi delle domande.

E ad ogni informazione che gli davo lui me ne chiedeva un’altra. Per farla breve ha scoperto come prima cosa che il suo fornitore non era stato poi così onesto con lui. Quindi ha capito da cosa derivavano molti dei suoi problemi di lavorazione del caffè.

Ed infine ha deciso che avrebbe seguito un corso per imparare a conoscere quella materia prima che lavorava da anni ma che da sempre aveva solo valutato da un punto di vista puramente economico o di convenienze.

Pagati i caffè ed uscito dal bar ero carichissimo

E non vedevo l’ora di tornare a scrivere, perché quell’esperienza mi aveva ancor più convinto che la mancanza di informazione è il nostro peggior nemico, in ogni settore. E tutti abbiamo il diritto di essere informati, in special modo su cosa mangiamo e beviamo.

Ed allora eccomi qui, a continuare la mia piccola campagna in favore dell’informazione e della cultura del caffè!

Ci eravamo fermati alle dimensioni del chicco. Ed avevamo visto che la grandezza e l’omogeneità del crivello avevano una certa importanza sia da un punto di vista organolettico che estetico.

Siamo ora difronte al grande dubbio: ma ci sarà davvero tutta arabica nel mio sacchetto di “arabica 100% “; oppure c’è anche della robusta? E se c’è, quanta ce n’è in realtà?

A questa domanda è davvero difficile rispondere. Ed è davvero difficile per una persona che non sia più che abituata a selezionare i chicchi riconoscere totalmente e senza margine d’errore le arabiche dalle robuste (ed il plurale è voluto…). Ma se non pretendiamo la perfezione un paio di caratteristiche fisiche che contraddistinguono le due specie ci sono.

Tendenzialmente i chicchi di arabica si presentano con la “faccia” piatta e segnata da un solco che forma una leggera S

Ma non sempre questo segno è così netto. Dipende infatti molto dalla varietà della arabica, dal grado di tostatura e dal crivello. Per cui talvolta alcuni grani di arabica si possono confondere con delle robuste, le quali invece normalmente si presentano con i bordi più arrotondati; la faccia leggermente convessa ed il solco dritto che taglia di netto il chicco … ma stiamo sempre parlando di prodotti della natura. Che quindi non rispondono ai comandi di una macchina a controllo numerico, ma a migliaia di variabili.

Se però torniamo indietro negli articoli, vediamo che tra le interspecie vi sono delle arabiche che pur conservandone la classica forma differiscono invece moltissimo per il sapore; ed ecco quindi che torna regina la “degustazione” consapevole. Informata e formata. Ovvero abituata ed istruita nel riconoscere caratteristiche, particolarità e difetti dei diversi caffè.

Ma di questo parleremo in un’altra occasione….

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