MILANO – Prosegue con questa seconda parte di quattro il resoconto dell’intervento di Max Fabian al simposio internazionale sul caffè che si è tenuto alla Fiera Intergastra, a Stoccarda (Germania). Nel suo intervento, sostenuto da 24 diapositive, Fabian si è occupato di decaffeinato. E, in particolare, delle tecniche di torrefazione per il caffè privato di caffeina.
La prima parte è uscita ieri con il numero 1 (per la ricerca) e proseguirà nei prossimi tre giorni.
I dati di questa diapositiva sono noti agli operatori ed ai consumatori: sono anche obblighi di legge. Meno noto il terzo aspetto, che non ha influenza sulla fisiologia umana.
«La caffeina presente nel decaffeinato non ha effetti perché è talmente poca che non influisce sulle funzioni del corpo umano. Dato che la caffeina è un’antagonista della adenosina, quella quantità non è sufficiente per attivare questo meccanismo. Sull’aspetto della dipendenza da caffeina va considerata sia la quantità di caffeina sia il peso del consumatore. Se è un uomo di 100 kg o una donna di 48 kg cambia molto la situazione. Detto questo un deka non ha effetto neppure su un bambino. Dovrebbe berne 100 di deka. Ma nessuno lo farà mai».
La quarta diapositiva inquadra i quattro metodi in uso per la decaffeinizzazione. Nulla di nuovo. Ma, domandiamo a Fabian: quale è il migliore?
«Sono un uomo di parte e non è giusto che risponda. Però posso dire che uso l’acqua e i carboni attivi per quella parte di mercato che va verso un prodotto che non vuole usare solventi chimici. Ma uso anche il diclorometano per tutto il resto del mercato. Con le sicurezze del caso sempre garantite. Ed è impossibile che ne restino tracce nel caffè. Lo sappiamo: nel caffè deka tostanto siamo sotto le due parti per milione e non è rilevabile con nessun strumento. Certo il diclorometano ha una problematica diversa dall’acqua che va gestita, sia a livello di ambiente di lavoro che di ambiente circostante.
Per questo Demus ha deciso da tempo la doppia certificazione 18000 per l’ambiente di lavoro sia Iso 14000 per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente circostante. Sappiamo che sono punti delicati e proprio per questo vogliamo farne la nostra forza. Perché abbiamo fatto queste scelte? Perché l’anidride carbonica lavora su pressioni molto elevate e quindi e quindi comporta un rischio gestirlo a livello di sicurezza ed a livello impiantistico.
Mentre l’acetato di etile può conferire – ma ripeto di essere di parte – un aroma fruttato che è abbastanza tipico dell’acetato di etile. Un aroma che a qualcuno piace ma che a me rende il caffè troppo differente da quello che era in originale, lo altera in misura troppo marcata. Dico questo perchè l’acetato è l’unico prodotto che altera l’aroma originale, mentre la decaffeinizzazione dovrebbe lasciare inalterato il gusto originale.»