TRIESTE – Non esiste solo la fabbrica di cioccolato della Lindt, con la sua fontana spettacolare ad attirare fuori dall’Italia: uno stabilimento che può vantare una storia di tutto rispetto si trova proprio entro i confini nazionali, per l’esattezza a Trieste, ed esiste dall’Ottocento. Non ha iniziato con la tipica barretta di cioccolato, ma con le bevande al cacao dedicate al rifornimento dei soldati. Scopriamo questa impresa tutta made in Italy dall’articolo di Zeno Saracino sul sito triesteallnews.it.
Fabbrica di cioccolato tricolore
Una delle prime fabbriche di cioccolato a Trieste risale alla seconda metà dell’ottocento quando Angelo Valerio, un imprenditore che fabbricava le uniformi dell’Imperial Regio esercito, decise di diversificare la propria attività inaugurando uno stabilimento per la produzione di “bibite di cacao”. Non si trattava pertanto delle classiche stecche di cioccolato avvolte nella stagnola, ma di una bevanda esplicitamente mirata ai militari della k.u.k.: “Il desiderio di fornire all’I.R. Marina nella prescritta bibita di cacao una sostanza sana, nutritiva e spoglia quindi di quelle sostanze eterogenee che pregiudicavano la qualità delle precedenti provenienze estere, eccitò il proprietario all’erezione dell’edificio ed all’acquisto delle numerose macchine occorrenti dirette da esperti proprietari francesi“.
Nonostante la qualità del prodotto e la modernità delle apparecchiature, i marinai austroungarici evidentemente preferivano la birra alla cioccolata, perché rapidamente l’impresa fallì. Tuttavia proprio uno degli operai dalla Francia che vi aveva lavorato intuì quanto vi era di buono nell’idea di Angelo Valerio e l’applicò alla propria fabbrica. Si trattava di Nicolò Lejet che scelse come zona per il proprio stabilimento la contrada del Chiadino, in via Farneto (1875), vicino alla palestra sociale della Società Ginnastica Triestina (1871).
Nonostante la povertà iniziale, la fabbrica di cioccolato presto divenne molto popolare per la bontà dei suoi prodotti
Le origini operaie del suo fondatore si riflettevano nella gestione dello stabilimento che vedeva Lejet “sporcarsi” le mani in prima linea, spesso affiancando i suoi subordinati o dando loro consigli su come preparare la dolce sostanza.
Dopo quindici anni di lavoro indefesso, Lejet spostò la produzione, con nuovi macchinari e un maggior numero di operai, in via Michelangelo Buonarroti 14, dove sopravvive ancora una ciminiera e parte degli antichi manufatti industriali.
Una bella testimonianza è il numero de “Il Piccolo” del 15 ottobre 1890 che festeggiava l’apertura del nuovo stabilimento: “Quindici anni or sono il signor N. Lejet, un bravo operaio che era occupato nella fabbrica Valerio, messo da parte col lavoro stesso un modestissimo capitale, impiantava da sé una piccolissima fabbrica sull’erta del Farneto, per la fabbricazione della cioccolata. Non era uno di quegli operai che diventando proprietari credono che tutto consiste nel far lavorare gli altri e si prendono lo spasso di perdere tempo nel caffè e nelle birrerie: era un lavoratore che mise le braccia ed il cervello nell’officina e non senza frutto. Dopo quindici anni in via Michelangelo è sorto un elegante edificio: è la fabbrica di cioccolato e cacao, costruita secondo il progetto degli ingegneri Piani e Luzzatto, provveduta di tutte le macchine più recenti che semplificano il lavoro”.
Le carte del progetto scrivono in realtà di “Casa con annesso opificio” più che di “fabbrica”
Il complesso si componeva di due edifici separati da un cortile per il carico e lo scarico delle merci; il primo fabbricato, basso, a un solo piano, con annessa ciminiera, serviva per lavorare il cacao; includeva inoltre una stalla. La ciminiera, tutt’ora esistente, è alta 20 metri. Chi avrà visitato Androna Campo Marzio avrà notato come lo stile architettonico sia praticamente identico, specie nel tetto e nella facciata principale.
Il secondo edificio, che potremmo definire “dell’amministrazione”, includeva l’attività produttiva, gli uffici e al terzo piano l’abitazione di Lejet. Oggigiorno il cortile funziona come posteggio delle abitazioni circostanti, ma all’epoca i due corpi di fabbrica erano simbolicamente congiunti da un portone, sul quale si leggeva “Fabbrica di cioccolato Lejet”.
Tra l’ultimo quarto dell’ottocento e i primi del novecento la cioccolata del francese triestino iniziò a essere conosciuta anche alla periferia dell’impero austriaco, abbandonando il mercato locale; e durante la Prima Guerra Mondiale avvenne quanto aveva ipotizzato Angelo Valerio. L’esercito austroungarico infatti ne ordinò quantità notevoli fino al 1918, quando la guerra volse al peggio per l’Austria e la richiesta di cacao cessò completamente. Erano tempi amari. A partire dal 1919, tuttavia, la fabbrica di cioccolato tornava in attività rimanendo popolarissima tra i triestini negli anni Venti e Trenta. Fu stavolta il secondo, di conflitto mondiale, a esserle fatale, con la chiusura nel 1942.
Fonti: Diana de Rosa, I monumenti del lavoro: aspetti dell’archeologia industriale a Trieste e Monfalcone, Trieste, Edizioni Villaggio del Fanciullo, 1989