TORINO – Una notizia che riguarda il capoluogo piemontese, che però interessa gli esercizi pubblici dell’intero stivale. Una storia che vede coinvolta la catena torinese di Exki. Questo luogo di ristorazione molto frequentato dai torinesi, ha un «buco» di 90 mila euro. E non è la sola. La valanga del fallimento da 325 milioni di «Qui ticket» deve ancora arrivare. E potrebbe travolgere (o mettere in grande difficoltà) molti commercianti. Le stime sono di 20 milioni in bar e ristoranti; oltre a 25 nei supermercati Crai, Simply e Borello di Torino e cintura.
Exki, Crai, Simply e molti altri coinvolti nel debito dei buoni pasti
«In città, ci sono 2 mila e 800 attività che vantano crediti, anche di decine di migliaia di euro. Qualcuno potrebbe anche chiudere», sostiene Paolo Troccoli, vice presidente dell’Epat. «Per me, il conto è di 11 mila euro non pagati negli ultimi tre mesi», dice Giorgio Ferri, titolare dell’omonima gastronomia di famiglia in corso Giulio Cesare 155.
Per Troccoli, il crac di «Qui ticket» era «morte annunciata
Abbiamo più volte segnalato le difficoltà, i ritardi nei pagamenti. Perché nessuno si è mosso?». L’allusione è in prima battuta a Consip, che bandisce le gare nell’interesse per conto dello Stato: «Come possono pensare che il solo criterio del ribasso sia una garanzia? Per la prossima gara, ci sono voci di un ribasso del 18-20 per cento. Ma come è possibile?». Gli fa eco Claudio Ferraro, direttore dell’Epat, che vorrebbe una task force per studiare il problema: «Serve una norma a livello nazionale perché le regole non tutelano i pubblici esercizi, che sono l’anello debole della catena».
Per Troccoli, accettare quelle condizioni significa «andare incontro a situazioni come questa. In più, inciderà su quantità e qualità del servizio offerto alla clientela». E poi, «c’è un’altra anomalia. Altra anomalia, il sindacato nazionale di categoria (Fipe, ndr) non ha fatto gli interessi degli associati. C’è un conflitto di interessi. Al suo interno ha rappresentanti della Ansed (associazione nazionale degli emettitori di buoni pasto, ndr) che discute le modalità di appalto con Consip. Quelle aziende hanno interesse ai massimi ribassi, perché hanno una massa critica di clienti che consente di avere utili. Il piccolo bar non sopravvive con quei ribassi, a meno di ridurre quantità o qualità del prodotto».
Su molte attività, l’impatto del fallimento di «Qui ticket» costringerà i titolari dei locali a fare sacrifici. Ma ci sono anche imprese che rischiano la chiusura.«Devo ancora ricevere il pagamento di 23 mila euro, più o meno il 25 per cento del mio fatturato. Ma sono fortunato, perché il mio locale è aperto anche la sera», spiega Diego Bruno, 37 anni, titolare di «Casa Broglia», in piazzetta IV Marzo. Ancora: «Ci sono bar che lavorano soltanto a pranzo e i ticket rappresentano il 90 per cento del fatturato. Anch’io, se dovessi rinunciare a quel giro d’affari dovrei licenziare quattro dipendenti in sala e due in cucina».
L’Epat sta lavorando su due fronti, fornire assistenza legale ai soci e costituire un fondo di solidarietà per aiutare i più esposti a non fallire. Stesso impegno per le cooperative. «Abbiamo organizzato per lunedì un’assemblea sull’argomento – dice Roberto Forelli, presidente di Confcooperative Piemonte -. Coinvolgeremo le istituzioni perché una soluzione va trovata con il governo».