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ETIOPIA – Viaggio alle radici del caffè

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Storie, rituali e leggende tratti dal libro Coffee Roots, un progetto Lavazza con testi di Vittorio Castellani, edito da Edizioni Gribaudo

“….La condizione di isolamento geografico e culturale ha permesso lo sviluppo e la conservazione di usanze molto antiche. Ancora oggi nel palazzo in stile indo-coloniale oramai decadente di Ras Makonen, padre del futuro imperatore Haille Selassie (il Ras Tafari), vive e opera un anziano Santone che cura con le medicine tradizionali e con la foglie e le bucce del caffè la popolazione locale, celebrando quotidianamente la cerimonia della buna, dispensando le sue benedizioni in lingua semitica adaré, mentre tutti i presenti sorseggiano una tazzina di arabica locale fumante. Un tempo i tetti delle case bianche erano ricoperte dai chicchi di caffè posti ad essiccare, oggi una visita al mercato locale recinto dalle mura offre uno spettacolo unico: cumuli di caffè verde sistemati in sacchi, sui quali vengono disposti in bella vista le caffettiere Jebena, tutti gli utensili necessari per il set da cerimonia: bracieri, incensiere, tavolini e ogni genere di spezie aromatizzanti mescolate alle più inverosimili varietà d’incenso naturale…”

L’Etiopia è un paese straordinario, dove il caffè è più che una pausa: è un rito intorno al quale nascono leggende e racconti e grazie al quale tradizioni e segreti si tramandano. Nessuno può datare con precisione l’apparizione del caffè. Sapere con esattezza quando l’aroma di questa bevanda ha iniziato a diffondersi tra strade polverose e villaggi è un’autentica impresa.

Di sicuro gli arbusti della Coffea arabica arrivano dall’Africa, e più precisamente dall’Etiopia.

I popoli di questo Paese conoscono il caffè da oltre cinque secoli, e hanno avuto tutto il tempo necessario per sperimentare ogni forma di consumo. Per arrivare fino alla bevanda che attualmente conosciamo ed apprezziamo.

Sono molte le storie e le leggende legate al primo utilizzo del caffè.

Un po’ tutte le fonti amano citare la leggenda del pastorello kaldi, ambientata in Etiopia nel 400 avanti cristo. Il ragazzino notò che le sue caprette erano molto eccitate dopo aver mangiato delle bacche selvatiche. Ne provò qualcuna e subito avvertì un’esplosione di energia e forza. Un monaco di passaggio, incuriosito dalla vitalità del piccolo kaldi, decise di assaggiare quella bacca rossa. Improvvisamente, anche lui, si sentì padrone di tutti i suoi sensi, vigile al punto da non riuscire a prendere sonno. Sveglio e concentrato per svolgere le sue preghiere fino al tramonto. Così il monaco trasmise il segreto del caffè ai confratelli e ben presto a tutti i monaci dell’Etiopia.

Leggenda a parte, la bevanda nera è divenuta pian piano la bevanda ufficiale dell’Islam. Nel tardo 800, grazie agli scambi commerciali tra occidente e le civiltà arabe, si diffonde l’uso dei chicchi tostati e il caffè viene apprezzato anche da comunità non islamiche. Soprattutto dopo aver superato i divieti della chiesa ortodossa etiope che riteneva l’infuso pericoloso e immorale per i suoi fedeli.

Per molti secoli il caffè è stato mangiato e non bevuto. Le sue bacche erano assunte sia intere che sminuzzate e mescolate al “ghee” (burro chiarificato). Una pratica accompagnata da preghiere e meditazioni, ancora in uso nelle terre remote delle provincie di Kafa e Sidamo, in Etiopia. Il consumo più antico delle parti commestibili della Coffea arabica, delle sue foglie o dei chicchi, con o senza la buccia, è riferito all’area di Kafa. Qui la pianta del caffè cresce ancora spontaneamente, al punto che gli etnobotanici ritengono che la stessa denominazione “caffè” derivi dal nome della regione.

Quando si pensa all’Etiopia, si pensa quasi sempre a un paese povero e desertico, in preda alla fame e alla guerra. Si dimentica però che questa nazione ha una storia e una cultura tra le più affascinanti dell’Africa orientale, un incredibile mosaico di razze ed etnie. Unite dalla grande passione per la bevanda nera. A nord vivono i popoli Amhara e Tigrini, semiti e cristiani, mentre il sud è abitato dagli Oromo, di fede islamica, etnia che da sempre si dedica alla coltivazione e alla raccolta del caffè. Per gli Oromo la preparazione dei chicchi essiccati di caffè verde, tostati con burro e sale rappresenta una valida carica di energia, un tempo usata per prendere forza prima degli scontri tribali. Ma anche una sorta di cerimonia rituale che simboleggia l’unione sessuale e la fecondità.

Negli sperduti villaggi dell’Etiopia sono le donne a essere protagoniste delle fasi di lavorazione del caffè. Gestiscono con cura e maestria l’essiccazione delle bacche, la frantumazione delle bucce nel mortaio, la setacciatura. Fin quando, i chicchi tostati e frantumati, danno origine alla preziosa miscela destinata alla preparazione dell’infuso per l’intera comunità.

IL RITO DELLA BUNA

Nella regione di Harar, tra le etnie Oromo, Larari, Amara e Somali, il caffè viene preparato nelle case in modo cerimoniale utilizzando la Jebena, e aromatizzato a piacere con i baccelli di cardamomo nero. In altre zone del paese si usano altre spezie, come le radici di zenzero nella regione di Kafa, o la cannella lungo il confine con il Sudan. Alcune comunità musulmane della regione di Kafa preferiscono aggiungere sale al loro caffè al posto dello zucchero o sciogliere un cucchiaino di burro direttamente nella tazzina.

Anche se nei bar di Addis Abeba il caffè viene servito sotto forma di espresso, tradizione diffusa dagli italiani durante l’occupazione coloniale, la cerimonia della buna rimane uno dei rituali più importanti nella vita sociale delle famiglie. Consumare un caffè in casa vuol dire partecipare a un rituale antico che può arrivare a coinvolgere un intero villaggio.

Nel salotto buono di casa due bracieri vengono poggiati sul pavimento cosparso di fiori, in segno di benvenuto. Sul primo la donna più giovane inizia a predisporre la tostatura del caffè verde, mentre nell’altro metterà grani di incenso o di mirra. I movimenti sono seguiti in rispettoso silenzio, proprio come quando si assiste a un evento religioso.

Inebriati dal profumo, si possono gustare i semi arrostiti, i popcorn cosparsi di zucchero o il dabo kolo (pezzetti di pane fritto e zuccherato) che la padrona di casa offre nella lunga attesa.

Dopo la tostatura, la donna si occupa della macinatura col pestello, mentre l’acqua bolle lentamente sulle braci.

A questo punto la giovane che presiede alla cerimonia versa l’acqua nella Jebena, la caratteristica caffettiera etiopica di argilla nera, e aggiunge il caffè ormai ridotto in finissima polvere. Ogni famiglia custodisce gelosamente una o più caffettiere, diverse per capienza e decorazioni. Col passare degli anni la Jebena migliora la qualità del caffè prodotto, e per questo gli esemplari più vecchi vengono utilizzati per la Buna.

La prima degustazione, chiamata abol, è la più forte per via della concentrazione di caffè. La seconda tazzina viene chiamata hulutegna mentre la terza bereka. Ed è la più importante poichè è accompagnata dalla benedizione di tutti i presenti nella casa.

Non lontano, un’altra donna del villaggio spande i fiori nel cortile. Segno che un nuovo rito della buna sta per avere inizio.

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