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sabato 02 Novembre 2024
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ETIOPIA – Da Kaldi a Starbucks, come cambia la cultura del caffè nella patria della Coffea Arabica

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MILANO – Molti dei nostri lettori conoscono la tradizionale cerimonia etiope del caffè, per avervi assistito personalmente o per averla vista in uno dei tanti video disponibili in internet. Un rituale millenario di grande suggestione, che richiede però i suoi tempi: tra torrefazione dei chicchi e preparazione dell’infuso, oltre un’ora. Non proprio un caffè … espresso.
Ma, come spiega un reportage della Bbc, anche nella patria d’origine della Coffea Arabica, le usanze tradizionali segnano lentamente il passo, perlomeno nelle grandi città.
Complice il boom economico – il pil è cresciuto, l’anno scorso, del 10,4% – che favorisce l’emergere di un nuovo ceto urbano – fatto di imprenditori, professionisti, impiegati, dirigenti e manager – prendono piede modalità di consumo più moderne e al passo con i tempi. È possibile acquistare il caffè torrefatto nei negozi o degustarlo sul momento, in una delle numerose caffetterie che stanno spuntando come funghi nel centro di Addis Abeba.
La più vecchia coffee house della capitale etiope è Tomoca, che aprì i battenti nel lontano 1953. In oltre sessant’anni, questa azienda familiare è passata attraverso le epoche e i regimi riuscendo a sopravvivere anche durante il periodo buio della dittatura militare comunista, quando le attività private non avevano vita facile.
A partire dai primi anni novanta, le cose sono cambiate e gli affari hanno cominciato a girare per il verso giusto.
Tomoca è oggi una mini-catena con cinque punti vendita e dispone inoltre di un piccolo stabilimento di torrefazione, che rifornisce, oltre ai locali, anche la grande distribuzione.
Un’altra insegna molto frequentata è Alem Bunna, che ha quattro locali ad Addis Abeba e vende il suo caffè anche via internet. Secondo il marketing manager Getachew Woldetsadick, il successo dei coffee shop è legato ai ritmi di vita e di lavoro più serrati delle città (“la gente non ha più il tempo di stare un’ora a casa a tostarsi il caffè”). La qualità del caffè è il modo di tostarlo sono altrettanto importanti. Mokarar – un altro locale della capitale – usa per la torrefazione un vecchio forno a legna. “Gli avventori apprezzano la brillantezza e l’aroma che questo metodo tradizionale riesce a conferire ai chicchi” spiega il titolare Tigist Tegene.
Non per questo, gli etiopi sono insensibili al richiamo dei marchi occidentali. Kaldi’s Coffee, a dispetto del nome (Kaldi è il mitico pastore che, secondo la leggenda, scoprì il potere eccitante delle bacche di caffè osservando il comportamento delle capre dopo che le avevano ingerite), ha un logo che si ispira, nei colori e nella forma, a quello di Starbucks. D’altronde, la proprietaria Tseday Asrat ebbe l’idea di aprire una caffetteria all’americana in Etiopia proprio durante un viaggio fatto negli States, al seguito del marito, pilota di Ethiopian Airlines. Kaldi’s ha oggi 22 locali, nei quali gli arredi, gli allestimenti, gli accessori e, persino, i grembiuli del personale ricordano la celebre catena di Seattle.
E se un giorno Starbucks arrivasse per davvero ad Addis Abeba? Oggi ciò non è possibile, poiché le rigide norme attuali impediscono agli stranieri di aprire delle caffetterie in terra etiope. Ma il divieto potrebbe essere presto revocato, sotto la spinta delle liberalizzazioni.
Secondo Geoff Watts, vice presidente di Intelligentsia Coffee, una prestigiosa torrefazione di Chicago, il mercato etiope sarebbe allora nel mirino di molte grandi catene. “Si tratta di un paese dove la gente apprezza il caffè e che vanta elevati consumi pro capite” spiega Watts. È bene ricordare che, in termini di consumi interni, l’Etiopia, tra i paesi produttori, è superata soltanto dal Brasile e dall’Indonesia.
Intanto sono i torrefattori etiopi ha lanciare la sfida ai mercati internazionali.
Tomoca, ad esempio, vende in tutto il mondo attraverso il suo sito web, ha già un distributore in Giappone, e punta a trovare dei partner in Europa e nord America. I progetti più immediati prevedono l’espansione nei paesi vicini. A cominciare da Djibouti, Kenia e Sudan.

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