domenica 22 Dicembre 2024
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Il genio di Caprotti? Già dalle etichette

Il patron di Esselunga dovette litigare anche con Confcommercio, che non voleva la diffusione dei codice a barre. In un discorso del 2014 all’Accademia dei Georgofili c’è la ricetta di un grande innovatore, che spiega molto della modernità della catena di supermercati

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MILANO – La scomparsa di Bernardo Caprotti, fondatore e patron di Esselunga, lascia il settore della distribuzione italiana e del largo consumo senza uno dei suoi principali protagonisti, l’imprenditore che, nell’arco di sessant’anni, è stato l’alfiere del retail italiano, rispettato dai concorrenti, ammirato per il successo della sua azienda.

Un successo che, mattone dopo mattone, si è andato rafforzando dall’apertura nel 1957 del primo supermarket a Milano (480 metri quadrati, 2500 articoli), fino a fare diventare la sua impresa leader, e si è sostanziato in una scrupolosa focalizzazione sull’innovazione. Non quella di facciata, ma quella pragmatica e concreta, risultato della commistione del suo essere brianzolo per nascita e americano per vicinanza.

Quella stessa idea di innovazione lo portava regolarmente a supervisionare i punti vendita, analizzare gli scaffali con i suoi manager e parlare con il personale per individuare gli ambiti di intervento, con l’obiettivo primario di migliorare l’esperienza del cliente e contemporaneamente l’efficienza dell’azienda.

Non a caso la nascita di Esselunga avviene dopo una visita negli Stati Uniti all’inizio degli anni Cinquanta quando cominciano a diffondersi i primi supermercati a self service.

È utile, quindi, ripercorrere la visione di Bernardo Caprotti e la sua idea di distribuzione alimentare moderna, prendendo spunti non tanto dal pamphlet “Falce e carrello”, che gli ha dato ampia visibilità pubblica dopo decenni nei quali si era sempre negato ai media, ma dal discorso tenuto all’Accademia dei Georgofili solo due anni fa, all’inizio del 2014.

Un discorso ampio e articolato che ripercorre lo sviluppo della distribuzione alimentare e che costituisce una testimonianza esplicita della passione per il supermarket come strumento per «portare i prodotti direttamente al consumatore finale al più presto, nelle migliori condizioni possibili e al prezzo più basso», creando anche «la propria marca, cioè i prodotti a marchio del distributore, la private label».

Bernardo Caprotti e i suoi manager hanno fatto da apripista per gli altri attori della distribuzione su moltissimi campi: l’e-commerce di Esselunga a casa, il self scanning, i pagamenti contactless, fino all’automated scanning in corso di sperimentazione

Le tappe del percorso
Questi principi sono stati la guida nel percorso verso l’innovazione seguito da Bernardo Caprotti e dai suoi manager nel corso degli anni, spesso facendo da apripista per gli altri attori della distribuzione. Possiamo citare, tra le varie tappe, l’e-commerce di Esselunga a casa e, più recentemente, il self scanning, i pagamenti contactless, l’automated scanning in corso di sperimentazione.

Il codice a barre e la nascita di Indicod
Il successo, l’orientamento al risultato sono stati il focus del suo essere imprenditore. Anche quando ricorda i motivi della pronta adesione all’utilizzo del codice a barre e l’impegno per la fondazione di Indicod.

«Già nei tardi anni ‘60 fummo informati della rivoluzione prossima ventura: terminali di cassa collegati col centro IT avrebbero sostituito i gloriosi registratori, tutti i prodotti sarebbero stati codificati con un codice a barre di nuova invenzione e un laser, alle casse, ne avrebbe letto e registrato il prezzo».

Caprotti rievoca poi i motivi per cui «eravamo frementi»: le continue agitazioni sindacali, con interruzioni del lavoro nei punti vendita, ponevano seri problemi. «Gli scaffali speso erano vuoti» a causa del lavoro necessario per prezzare uno a uno i prodotti con un’apposita timbratrice o etichettatrice. Operazioni ripetute più volte con il variare dei prezzi.

A valle, alle casse, le cassiere dovevano «trovare il prezzo, “batterlo” sul vecchio registratore e “battere” con esso il suo settore merceologico. Un lavoro pesante, lento e professionale, svolto da cassiere non sostituibili. Con il codice a barre il prodotto sarebbe andato direttamente a scaffale; alla cassa sarebbe passato davanti a un laser che avrebbe letto codice/prezzo e “registrato”. Automaticamente. E la “variazione prezzi” si sarebbe fatta dal “centro”, dal mainframe centrale.

Questo era l’obbiettivo che ci impegnò spasmodicamente: si trattava di recuperare una perduta efficienza operativa, di avere i negozi ben riforniti!». Senza contare che, a livello di organizzazione del lavoro, chiunque poteva stare alle casse.

Confcommercio era contrario a diffondere l’uso del codice a barre
In questo quadro, reso più difficile dalla contrarietà di Confcommercio a diffondere l’uso del codice a barre, ricorda Caprotti, «prendemmo allora l’iniziativa onde promuovere la fondazione di Indicod, l’organismo che – tra produttori e distributori – assegna il codice ad ogni prodotto. Incontrammo un nuovo ostacolo, la riluttanza dei produttori che non ne percepivano l’utilità e con alcuni che rifiutavano di “rovinare” la propria etichetta con un brutale codice a barre. Una bottiglia di vino di gran classe… e lo si può capire, ma in dieci anni si arrivò anche all’Armagnac!

A metà degli anni ‘80 fu messa la parola fine al completamento della rete.

Questo significò un rifornimento degli scaffali semplice, spedito e che il servizio alla cassa poteva essere svolto da chiunque. Ancora una volta più semplicità e più produttività. Si calcolava che il risparmio sui costi operativi fosse almeno dell’1% sulle vendite, un mezzo bilancio».

Altri tempi! Ma negli anni successivi non cambiò la spinta a percorrere nuove strade a sperimentare, a cogliere le occasioni man mano che si presentavano, avendo capito fin da subito che quella del retailer è un’attività che non consente di stare fermi. Anzi, richiede di guardare sempre avanti. Lo è stato con l’e-commerce, come abbiamo visto, e lo è stato, più recentemente, con il supporto all’avvio del servizio Immagino di GS1 Italy, oggi utilizzato da oltre 1.000 imprese del largo consumo.

Bernardo Caprotti è stato l’inventore di un modello straordinario
Senza dimenticare la scelta di affidare la progettazione dei nuovi negozi ad architetti importanti, consapevole com’era che il punto vendita dovesse avere anche qualità estetiche, oltre che funzionali.

Afferma ancora Caprotti: «Curiosamente nel nostro paese tutto viene rottamato: auto, frigoriferi, motorini […] magari con l’aiuto delle nostre tasse, ma, chissà perché, il “commercio al dettaglio” che c’è è considerato eterno. Mentre noi, Esselunga, demoliamo negozi che hanno vent’anni e sono già obsoleti per ricostruirli, lì dove stanno, aggiornati».

Conscio del fatto che condurre Esselunga è un «compito pesante, pesantissimo possederla, questo paese cattolico non tollera il successo», come ha scritto nel suo testamento, e che il futuro della distribuzione classica, con supermercati e superstore oggi in uso, «pone interrogativi ai quali è difficile rispondere», Bernardo Caprotti è stato nondimeno l’inventore di un modello straordinario.


Le parole di Pierluigi Bersani

Lo ha ricordato Pierluigi Bersani, con il quale era nata una profonda amicizia pur essendo i due su posizioni diverse: «Un insieme di tante cose. Innanzitutto, intuito nella localizzazione, poi un’idea chiara della pezzatura del negozio, capacità nella logistica, e soprattutto era un convinto sostenitore dell’importanza della formazione e dell’organizzazione del personale». E un grande innovatore.

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