MILANO – Anche il quotidiano La Repubblica ha celebrato la Giornata internazionale del caffè, con un articolo esplorativo del vasto mondo dietro alla tazzina. Per raggiungere un numero ancora maggiore di italiani e far scoprir loro che c’è tanto altro oltre il classico espresso consumato al bancone bar. Un universo di estrazioni alternative e di ricette legate ad altre culture è proprio dietro l’angolo: basta solo aprire la mente (e i palati). Con Lara De Luna, facciamo un viaggio nelle tante preparazioni praticate soprattutto fuori dall’Italia.
Espresso, sì, ma non solo
Arabica, monorigine proveniente dalla Colombia, robusta alla napoletana? Il chicco nella percezione media è ciò che ha più importanza, perché poi arriva direttamente nella tazzina che beviamo, magari andando di corsa tra un appuntamento e l’altro, per gratificarci e corroborarci. Che a regalarcelo sia una capsula o una macchinetta di tipo classico poco importa, e ancor meno differenza percepiamo tra una tipologia e l’altra delle attrezzature da bar, poco avvezzi a riconoscere una macchina con braccio a pressione da un’altra.
In Italia, di fatto, nonostante culturalmente il nostro Paese sia legato al caffè quasi da sempre, la scelta non è ancora molto varia e spazia tra moka, macchina alla napoletana – per una piccola fetta di persone -, macchina americana – per pochissimi – e tipologia in capsule, quella a cui per la comodità ci siamo affezionati quasi tutti. Ma non è tutto qui. Di pari passo con l’avanzata della cultura degli specialty coffee, caffè di elevata qualità “con profumi e sapori dal profilo unico” – furono definiti così per la prima volta nel 1974 dalla torrefattrice Erma Knutsen – si stanno diffondendo anche in Italia metodi di estrazione del caffè diversi da quelli a cui siamo abituati, capaci di portare nella tazza tutte le sfumature dei chicchi più pregiati, serviti per ora principalmente in caffetterie speciali – basti pensare a Faro a Roma, Campana a Pompei o Café 124 a Milano – che fanno della cultura del caffè la loro missione.
Non solo espresso e americano
Tutti i metodi (più importanti) di estrazione del caffè oltre a quella espresso. In un mondo piuttosto complesso, si può iniziare a fare una catalogazione dei processi per funzionamento di massima: dripping (o pour over), infusione e pressione. Nel primo caso si ha l’utilizzo di un filtro che viene attivato “manualmente” con l’immissione di acqua calda e non attraverso un macchinario come può essere quello per il caffè americano che siamo abituati a vedere nei film di hollywood e nei telefilm polizieschi; in questo caso il caffè macinato – solitamente una macinatura fresca, avvenuta poco prima – rimane del tempo a contatto con l’acqua prima di essere poi filtrato.
In questo metodo, nato nel 1908 a opera di Melitta Bentz, che per prima sostituì la carta alla stoffa come materiale di filtraggio, è proprio la presenza del cono-filtro che fa la differenza rispetto ai metodi a infusione, che invece – come il caffè alla turca – non prevedono l’utilizzo di alcun tipo di passaggio successivo, di alcun tipo di filtro.
Last but not least, i metodi a pressione sono quelli più vicini all’attuale cultura di massa del caffè in Italia e abbracciano i macchinari da bar e l’intramontabile moka, capaci di produrre per la loro natura tecnica caffè molto forti e robusti, intensi nelle loro note tostate e percepiti come più concentrati – anche se, di fatto, la quantità di caffeina non varia al variare della metodologia di estrazione -. Che siate curiosi o refrattari alle novità che vi allontanano dal rumore melodioso della macchinetta che gorgoglia sul fornello, amanti del caffè in tazza grande da sorseggiare lentamente o maniaci dell’espresso, nella Giornata internazionale del caffè vi raccontiamo le tipologie di estrazione più famose e importanti.
I metodi oltre l’ espresso: dripper
Dall’aria particolarmente vintage e romantica, queste macchine sono anche dei pezzi di design particolarmente accattivanti. Oltre a permettere l’estrazione delicata e lenta del nostro macinato di caffè. Cos’è il dripper da cui arriva il nome? Un cono scanalato posto al centro del macchinario, posto esattamente sopra la tazza di raccolta che, durante la preparazione del caffè viene rivestito da un cono fatto di carta alimentare, il vero e proprio filtro. All’interno di questo imbuto di carta viene aggiunta la polvere e poi viene versata l’acqua. Qui è il cuore del discorso: l’acqua deve arrivare quasi a ebollizione, riscaldata a parte, e poi versata stando attenzione a farlo con lenti movimenti circolari, come se stessimo preparando una maionese per non farla impazzire. Una volta finito di versare l’acqua, non dovremo fare altro che aspettare che il caffè si raccolga nella caraffa e il gioco è fatto. Il più famoso macchinario in circolazione è il V60 – si, sembra il nome di un’automobile – ed è stato brevettato dall’azienda giapponese Hario che ne detiene i diritti; venduto solitamente con una caraffa da 350ml o da 500ml, deve il suo nome dalla particolare angolazione del cono di estrazione, appunto 60°. Decisamente iconica, la Chemex, un pezzo di design perfettamente disegnato in cui filtro e caraffa sono un unico oggetto.
Aeropress
Dimenticate le atmosfere vintage, l’AeroPress è decisamente uno dei metodi di estrazione più futuristici. Anche perché è il più recente, in quanto a invenzione. Brevettato nel 2005 da Alan Adler, proprietario di un’azienda costruttrice di frisbee, leggenda vuole che sia nato per permettere agli sportivi di avere un caffè intenso e corroborante in poco tempo e anche in condizioni poco favorevoli. Tecnicamente riesce a conciliare l’estrazione per infusione a quella a pressione, che si esercita quando – dopo un tempo che va dai 30 ai 50 secondi – pressiamo il pistone nel cilindro che è il corpo centrale della macchina, al cui interno avviene poi l’infusione. Decisamente versatile, riesce a mantenere intatti gran parte degli aromi e delle parti dolci del caffè.
Siphon
E’ uno dei metodi di estrazione più complessi da gestire, lungi dalla dinamicità dell’AeroPress, ma anche uno dei più affascinanti da osservare. Innanzitutto, avete bisogno di spazio, per questa caffettiera che consta di due diverse camere di vetro, disposte in sovrapposizione, in cui quella bassa ha una forma sferica – che permette di distribuire il calore in maniera uniforme – e quella superiore aperta verso l’alto. Le due metà sono divise da un filtro, che può essere in carta, stoffa – materiali tradizionali – o metallo. Una volta inserita l’acqua nella camera inferiore, si accende il fuoco, qui però a differenza della moka non è l’acqua a passare nel filtro pieno di caffè, ma il vapore che porta l’acqua nella camera superiore permettendo che avvenga l’infusione. Terminato il procedimento, una volta spento il fuoco la pressione del vapore diminuirà e così il caffè infuso può essere raccolto senza problemi.
French Press
Insieme a quello per il caffè turco e alla cuccuma napoletana è uno dei metodi di estrazione del caffè più antichi in assoluto. E anche semplice da utilizzare: all’interno del contenitore in vetro si inserisce la quantità desiderata di macinato di caffè e l’acqua ben calda – ma mai bollente, sempre da tenere attorno ai 90° -, questa prima unione di ingredienti va mescolata delicatamente – magari con un bar spoon se lo avete in casa – e lasciata stazionare per una media di tempo che va dai due ai sei minuti. Subito dopo va inserito lo stantuffo che, dotato di un filtro in metallo, va spinto verso il basso; così si separa il caffè macinato, con i suoi residui, dalla bevanda vera e propria. Il risultato sarà un caffè intenso e corposo, con delle particelle in sospensione che il filtro in metallo, non essendo molto fitto, non riesce a trattenere.
Cuccumella ( o macchina alla napoletana)
E’ una delle metodologie di estrazione più local, oltre al tanto caro espresso, strettamente legata a un popolo e alla sua storia, tanto da portarne il nome. Questa tipologia di caffettiera, il cui design è già storia del caffè, è composta da un serbatoio che nella parte superiore è forato, al cui interno si incastra un cilindro – cavo e forato sulle superfici – in cui viene inserito il caffè e poi un secondo serbatoio, con beccuccio, in cui la bevanda andrà a raccogliersi. Facente parte a tutti gli effetti dei metodi di estrazione “dripper” o per percolazione, funziona grazie al vapore che fuoriuscendo dal foro del primo serbatoio segnala il momento in cui attivarsi: a questo punto del procedimento infatti il fuoco va spento e la caffettiera girata. Così l’acqua passerà attraverso il macinato, permettendo alla bevanda finita di raccogliersi nel secondo serbatoio. Il procedimento in tutto richiede dai 5 ai 10 minuti di lavorazione.
Caffè turco – Ibrik o cveze
Possiamo definirlo come il più etnico e affascinante dei metodi di estrazione per infusione. Detto anche caffè turco, è diffuso quasi in tutto il Medio Oriente e a differenza del tipico espresso, nonostante le dimensioni ridotte della tazzina richeide un tempo di lavorazione molto lungo. Il pentolino di rame – o ottone – andrà per prima cosa a contenere acqua fredda e caffè macinato – i grandi dovranno essere estremamente fini – e solo successivamente andrà posto sulla fiamma, delicata, fino all’ebollizione. Una volta finita questa parte del procedimento, il caffè andrà versato nella tazza, ma non è ancora finita: bisognerà attendere ancora dei minuti affinché la polvere si depositi tutta sul fondo, in modo che non vada a “guastare” il palato durante il sorso.
Moka
Brevettata da Bialetti, nasce ufficialmente nel 1933. Solo apparentemente semplice, questa tipologia di caffettiera è composta da tre parti distinte: la caldaia – la parte bassa -, il filtro dove si adagia il caffè e il bricco dove viene raccolto il risultato. Tutto funziona grazie alla pressione che l’acqua riscaldata provoca, spingendo il vapore verso l’alto, attraverso il filtro, fino a bagnare il caffè. Così, con il calore dell’acqua, si sciolgono le parti solubili del caffè e si estraggono le sostanza aromatiche. Il risultato è intenso ma non corposo al palato, molto spesso caratterizzato dal retrogusto amaro dovuto alle alte temperature.