MILANO – Una base di vodka, espresso, liquore al caffè e una coppa Martini: ecco la ricetta del celebre Espresso Martini. Un cocktail nato negli anni ’80 dalla mente di Dick Bradsell che lo ha creato dietro al bancone del Freds Club di Londra. Quello che in origine si chiamava, piuttosto eloquentemente possiamo dire, “The Stimulant”, narra la leggenda che sia stato ispirato dall’ordinazione di una modella famosa di quegli anni che aveva bisogno di avere una scossa risvegliante e poi un secondo momento di relax. Il nome della modella non è mai emerso. Tuttavia questo cocktail è presto fatto: zucchero, espresso, vodka e liquore al caffè (la ricetta originale ne usa due, il Kahlùa e il Tia Maria), per una ricetta che deve fare il suo effetto.
Dopo il suo grande e iniziale successo, che lo ha consacrato come uno dei cocktail più gettonati dall’aperitivo al dopo cena – magari seguito da qualche dolcetto inglese – l’Espresso Martini fa parlare di sé ancora oggi. Ma è tornato di moda, oppure è nella sua fase di tramonto?
Cosa serve per prepararselo in casa
-5 cl Vodka
-1 cl Kahlúa
-Sugar syrup (in base al grado di dolcezza gradito)
-2caffè espresso
E ora l’ultima parola all’esperto: Andrea Lattuada
“Non tanto in Italia quanto all’estero, viene ancora preferito. E poi sta nella top 10 al mondo. L’Espresso Martini nasce negli anni ’80 e fa parte del ginepraio dei “martinies”, ovvero tutti quei drink serviti in quella coppetta. Riflettiamo però sulle due parole che lo compongono e che però nel caso del Martini neppure compare come ingrediente al suo interno. Mentre per quanto riguarda l’espresso, è un agente aromatizzante? E’ davvero un ingrediente fondamentale? Lo sarebbe se non ci fosse il liquore al caffè e quale poi? Il Kahlúa? Quest’ultimo sì che è un agente aromatizzante che connota nettamente il gusto. Avrebbe più senso quindi chiamarlo Kahlúa Martini. L’espresso perché c’è dentro? Non certo per il sapore.
Un Espresso Martini rivisitato in chiave moderna acquisirebbe maggior valore se preparato con un liquore estratto dallo stesso caffè che si utilizza per la preparazione del drink, quindi con la stessa origine per l’erogazione dell’espresso per coadiuvare il cocktail. E’ quella parte analcolica che durante la shakerata contribuirà alla formazione delle micro bolle che formeranno la schiuma in cima. L’espresso quindi non è valorizzato.”
E l’Espresso Martini specialty?
“Dovrebbe esserci anche lo specialty nel liquore al caffè. In Australia lo fanno. Ma ce ne sono tanti: ormai molte aziende artigiane fanno il loro liquore estratto di specialty coffee. Così avrebbe senso nel declinarlo con le specificità di ogni torrefazione e di ciascun barista che si diletta in questa preparazione.
L’Espresso Martini è molto commerciale fatto così com’è, chiunque potrebbe prepararlo a casa con materia prima non di alta qualità. Si può addirittura usare il caffè istantaneo, se non quello in capsule. Nelle ricette viene definito come semplice “caffè” senza andare a fondo sulle sue caratteristiche. Al contrario dei dettagli che si possono trovare sulla vodka e il liquore.
Quindi perché andare in un bar per bere un cocktail che posso miscelare a casa?
Certo, che sia ancora di moda, non è in discussione. Ma è proprio una questione di tendenza: le persone lo bevono senza farsi troppe domande. Se la paragoniamo alla storia del Negroni, che si è evoluto con dei vermouth particolari, artigianali, l’Espresso Martini non ha fatto lo stesso percorso. Potrebbe esser un passo avanti l’Espresso martini specialty: bisognerebbe estrarre un’essenza dal caffè che utilizzo come ingrediente che caratterizza il drink.
Noi l’abbiamo fatto nelle gare con Marco Poidomani usando un Geisha: l’abbiamo estratto con degli alambicchi particolari, ottenendone l’essenza e l’abbiamo usato in micro dosaggi per enfatizzare le note aromatiche dentro il cocktail in competizione.
Poi non trovo giusto shakerare l’espresso con gli altri ingredienti: una bevanda che ha il 90% di acqua si annacquerà ulteriormente durante il mix con tutto l’insieme e si perderà la caratteristica aromatica dell’espresso. Il freddo e la shakerata disperdono gli aromi: ci sarà solo un’idea vaga dello specialty nel risultato finale. Quindi l’espresso in questa ricetta è una forzatura.
Una possibile soluzione: se noi mettessimo un espresso per la shakerata con il liquore che deriva dalla stessa materia prima e l’altro lo emulsionassimo con un mixer elettrico, spindle mixer, singolo con degli addensanti naturali come acqua faba otterremo una mousse con bolle finissimi, quasi una crema, da usare come topping senza alterare le qualità aromatiche dello specialty.
Queste cose noi le facciamo già da 20 anni per gli espressi shakerati. Abbiamo “inventato” questa tecnica. E’ logico che ci vuole più tempo, ma si propone anche una storia diversa, si diffonde un po’ di cultura della bevanda. Diventa un drink unico per i locali. Credo che nessuno nei bar lo faccia.
Il caffè poi quando lo si raffredda, viene spesso rovinato salvo che non sia il cold brew. Se si usano prodotti di bassa qualità, si rischia con il freddo di enfatizzare i difetti del caffè. L’espresso è la parte variabile. Altro fattore è lo zucchero che può esser un modificatore del gusto: dipende da quale si usa, dal fruttosio al demerara, cambia. Deve sempre poi bilanciarsi con il caffè utilizzato o in alcuni casi persino esser superfluo.”
Insomma, i cocktail e il caffè sono cose serie: non resta che imparare a miscelare ad alti livelli, magari proprio nell’accademia 9bar, dove Lattuada è sempre pronto a trasmettere il suo know-how, con i suoi trainer.